Il mio 29° compleanno lo ricordo bene: avevo fatto piani titanici per l’ultima festa degli –enti e il giorno prima riuscii a beccarmi un virus intestinale. Passai la serata a letto con la nonna che mi portava il tè e pensavo “Peggio di così è impossibile”. Non sapevo, meschino, che era possibile eccome: tipo passare il 29° compleanno al Roland Garros a farsi sezionare da Novak Djokovic.
Rafael Nadal, tuttavia, è tipo molto meno lamentoso di me e la prima reazione non è stata certo quella di chiedere il tè alla nonna. Anzi, in conferenza stampa ha messo subito le cose in chiaro: vuole lavorare il doppio per tornare come prima. Varie volte ho scritto del maiorchino evidenziando lati del suo carattere che non apprezzo (l’ultima pochi giorni fa sull’affaire Bernardes), eppure non posso non ammettere che l’arrotino di Manacor possieda una dote che mi affascina. Qualcuno la chiama caparbietà, qualcuno costanza, qualcuno testardaggine: io dico che ha una testa talmente dura che potrebbe abbattere un bisonte.
Il tennis è fatto di corsi e ricorsi, e sono tanti: le stesse vicende vengono affrontate da interpreti differenti e ogni volta, a differenza del cinema, è più affascinante. Proprio Nadal in questi giorni sta partendo per una missione che, per l’ennesima volta, lo pone a confronto con l’atleta a cui più di tutti ha minato le certezze. Roger Federer. Il 14 novembre del 2011, infatti, lo svizzero si alzava dal letto con più di trent’anni sulle spalle e quasi 7.000 punti di distacco da Novak Djokovic. Nadal all’alba dei 29 ne conta oltre 10.000 che potrebbero facilmente aumentare ancora. Un distacco maggiore, ma tutto sommato paragonabile a quello dello svizzero se contiamo che è tarato su sei mesi di gioco effettivo.
Non ho chiesto in giro, ma sono sicuro che i tifosi di Federer, mettendo a paragone le due cose, sosterrebbero che il ritorno di Nadal è più facile anche per mettere un po’ le mani avanti. In verità avrebbero tante frecce al loro arco: un anno in meno, sei mesi senza punti da difendere, una crisi per buona parte imputabile a un lungo stop. Io, personalmente, credo che invece il percorso che attende Nadal sia molto più complesso e, se completato, lo proietterebbe definitivamente nella leggenda. Uno scenario suggestivo e forse puramente teorico, ma che difficilmente può non affascinare anche il peggiore dei suoi detrattori. Vediamo perché.
I Fab Four
Federer, nel 2011, aveva come principali ostacoli verso la sua risalità i soliti tre: Djokovic, Murray e Nadal. Il serbo era reduce da un’annata straordinaria esattamente come ora, ma adesso ha una maturità agonistica maggiore ed è nel pieno. Tra il Murray dell’epoca e quello di oggi ci passano di mezzo due Slam e un miglioramento enorme sulla terra. E se Nadal, all’epoca, non era il più temibile degli avversari per lo svizzero essendo reduce da un’annata con tre miseri titoli (e nel 2012 non avrebbe fatto tanto meglio) oggi Federer è ancora avversario insidiosissimo, con 5 corone portate a casa nell’arco di un anno e una finale Slam.
Gli altri Top 10
Se guardiamo gli altri 6 atleti della Top Ten del 2011 ci rendiamo conto che assieme collezionavano appena una finale Slam, raggiunta da Berdych nel 2010 a Wimbledon. Per il resto deserto. Oggi abbiamo in classifica due che uno Slam l’han vinto (Wawrinka e Cilic) e altri tre che han fatto finale (Berdych, Ferrer e Nishikori). All’epoca i problemi principali per King Roger si chiamavano Tsonga e Berdych: in un bilancio di 42-8 contro gli altri Top Ten ben 7 sconfitte erano arrivate da quei due mentre un Ferrer non gli aveva mai fatto neanche il solletico. Oggi per Nadal, invece, sono pericolosi anche gli avversari contro cui ha un record immacolato: con Nishikori, ad esempio, è avanti 7-0 ma le ultime due volte ha sofferto di brutto. E non era ancora il Nishikori di oggi.
La fiducia
Una caratteristica che ha dato sempre un enorme vantaggio a Nadal è la capacità di alzare mostruosamente il livello del proprio gioco nei punti decisivi. Ricordo che una volta un amico a digiuno di tennis mi chiese perché non giocasse sempre così e la mia risposta fu “Perché altrimenti sarebbe un robot”. Ecco, Nadal non è un robot: se fino ad ora prima di “certi punti” lo spettatore aveva la certezza che il maiorchino, salvo fulmini, li avrebbe portati a casa, oggi quella certezza è scomparsa. Per fare certe cose ci vuole tenuta mentale ma anche una grande fiducia: la prima c’è ancora, ma per ciò che riguarda la seconda mantenerla è sempre più dura.
Le opportunità
Federer nel 2011 arrivava al punto più basso in piena ripresa fisica, tant’è che di lì a poco avrebbe rivinto il Master dando avvio alla trionfale cavalcata conclusasi nel 2012 a Wimbledon. Nadal, nonostante i pochissimi punti da difendere da qui a fine anno, non ha le stesse opportunità. Difficile che in meno di un mese resusciti e arrivi a Wimbledon in condizioni tali da fare la parte del leone. Inoltre anche la qualificazione al Master è in dubbio: dovesse tenere la stessa media punti di inizio 2015 fuori dalla terra, non ce la farebbe, anche per quello è tentato di giocare tornei che fino all’anno scorso non avrebbe calcolato di striscio. Insomma, le incertezze nel suo caso abbondano.
L’età
Non sono impazzito, no: so bene che all’epoca Federer aveva quasi 30 anni e mezzo e Nadal ne ha 29 freschissimi, ma considerando caratteristiche del gioco e storia tennistica il peso dell’età è maggiore per il maiorchino. Federer, dall’alto della sua tecnica sopraffina, aveva sempre l’opzione di abbreviare gli scambi e, soprattutto, era arrivato ai 30 anni con il fisico immacolato come la fedina penale di San Francesco. Nadal, invece, porta sul corpo i segni di mille battaglie: se paragoniamo lui e Ferrer c’è a stento una stagione di differenza nel totale di partite giocate, ma il buon David ha quattro anni e rotti più di lui. Inoltre Rafa ha meno opzioni: il suo è un tennis dispendiosissimo, un “hit and run” che sottopone il fisico a sollecitazioni estreme. Riusciranno i muscoli, i tendini e le sue ormai fragili cartilagini ad affrontare con successo quest’ultima prova?
Insomma, di motivi che rendono questa sfida affascinante ma estremamente complessa ce ne sono tanti. Io personalmente starò a guardare. E nonostante l’antipatia che provo per certi atteggiamenti dentro e fuori dal campo, se l’uomo di Manacor dovesse celebrare il 30° compleanno portando a termine il miracolo, potete star certi che sarò il primo ad alzarsi in piedi e ad applaudire.
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