Di Giulio Gasparin
Il tennis maschile e il tennis femminile, pur condividendo gli stessi campi e, grossomodo, gli stessi attrezzi, risultano spesso due sport molto diversi: non sono solo la componente fisica, la velocità di palla e la tenuta mentale a differenziarli, ma sono innumerevoli le differenze tra i due, tanto da spesso dividere i fan tra quale sia la loro preferenza. Ha dunque senso comparare due atleti, uno per ciascun circuito, per vedere se il loro problema è comune?
L’opinione pubblica, ma anche quella degli esperti di settore, è fortemente divisa su quello che sarà il futuro di Rafael Nadal: c’è chi lo dà per per spacciato, finito e destinato ad un progressivo declino, mentre altri ne intravedono un ritorno di forza, soprattutto sull’amata terra rossa. Quello che è sicuro è che per un cannibale come lui, un bottino di due ATP 250 e un 500 sono una magra consolazione per le tante e severe sconfitte subite sui palcoscenici dove ha scritto i capitoli più belli della propria carriera tennistica. Per uno abituato a dominare in lungo e in largo, un record di 7 sconfitte in 9 scontri contro top 10 è un dato avvilente, ma sono un segnale forte soprattutto le 15 sconfitte subite in stagione, numero raggiunto solo 2 volte in carriera nel circuito ATP nel 2011 e nel 2007. Supponendo che difficilmente vincerà tutti i tornei da qui a fine anno, si potrebbe fare peggio che nel lontano ormai 2004, quando le partite perse furono 17.
Se sconfitte come quelle subite in stagione da Novak Djokovic, Andy Murray e Stan Wawrinka possono essere viste del punto di vista puramente tecnico e/o tattico, le ultime due subite in questa estate americana sono segno di un problema più profondo e di più difficile risoluzione: per un tennista che ha fatto della lotta mentale una, se non l’arma più forte nel proprio arsenale, perdere al tiebreak del set decisivo da Feliciano Lopez e poi subire agli US Open la rimonta di Fabio Fognini, primo a rovesciargli un divario di due set in un contesto di slam (oltre che primo a riuscirci da quando lo fece Roger Federer a Miami nel 2005), è allarmante.
Caroline Wozniacki sembrava risorta lo scorso anno, quando dopo un paio di stagioni opache si era riaffacciata alle posizioni che contano a seguito dell’ormai ben nota separazione da Rory McIlroy. Non aveva conquistato grandi titoli, è vero, ma è stata l’unica a mettere in discussione la predominanza di Serena Williams con continuità da Agosto ad Ottobre: la finale degli US Open, la seconda in carriera per la danese, sembrava un preludio ad un ritorno al vertice mondiali e forse al tanto agognato primo trionfo slam, ma quest’anno è stato un susseguirsi di delusioni ed infortuni, seppur minori. Quattro sconfitte in altrettanti incontri con Victoria Azarenka, 3 per mano di Belinda Bencic e 2 da Venus Williams sono tra quelle che spiccano di più, perché con Vika aveva un record positivo, la Bencic era stata umiliata con un doppio 6-0 lo scorso anno e Venus, nonostante un’annata positiva, non è più quella di diverse stagioni fa.
I problemi tecnici della danese sono sempre gli stessi: un dritto che fa poco male ed una seconda di servizio troppo tenera. Eppure non è che lo scorso anno, quando le vittorie arrivavano con continuità facesse cose eccezionali con questi colpi, nondimeno la sua difesa sembrava impenetrabile ed erano sicuramente più le occasioni in cui ribaltava lo scambio con un colpo vincente che quelle in cui regalava una palla comoda da attaccare o addirittura ne sbagliava una, soprattutto quando il punteggio si faceva importante. Confrontando due punti di questa e la scorsa stagione il raffronto è emblematico: lo scorso anno breccò Maria Sharapova in apertura di terzo set con un passante di dritto in corsa che la russa sicuramente ancora ricorda e da lì non si è più voltata; quest’anno sul 5-3 30-15 in suo favore nella finale di Stoccarda contro Angelique Kerber ha avuto una palla comoda sull’amato rovescio e ha sbagliato, finendo per perdere il match ed il titolo.
Siamo giunti al dunque, cosa accomuna dunque le sconfitte dei due ex numero uno del mondo? Entrambi sembrano aver perso quella sicurezza che li rendeva forti, quell’aurea di imbattibilità che li circondava. In una semplificazione assoluta, per vincere un match di tennis devi fare più vincenti, che errori, o almeno, finire con un saldo migliore del tuo avversario. Per farlo ci sono due modi, sostanzialmente, o colpire molti più vincenti, o fare molti meno errori: ma è la seconda opzione quella più dispendiosa, non solo fisicamente, ma soprattutto mentalmente. È frequente la denigrazione del tennis difensivo, senza comprendere la difficoltà mentale per chi sceglie questa via, che si condanna a dover pensare e pesare ogni palla, molto più di chi non faccia delle accelerazioni immediate la propria forza. In questo aspetto, sia la danese che il maiorchino sembrano aver perso la loro forza, non c’è vantaggio nel punteggio che gli dia sicurezza e non c’è match che sembri facile: ogni partita, ogni set ed ogni punto diventano una battaglia, non tanto contro chi si trova dall’altra parte, ma contro se stessi e gli spettri di un dubbio sempre più insito dentro di loro.
La risposta di entrambi alle due durissime sconfitte subite a New York palesa una finta fiducia nel futuro, una risposta già sentita da parte di entrambi, ma che non si riflette nell’atteggiamento in campo nel match che ne è seguito. I due non sono i primi campioni a vivere una profonda crisi di risultati, ma spesso, chi prima di loro è riuscito a ripartire, ha avuto il coraggio di cambiare e trovare nuovi stimoli. Ma saranno Nadal e Wozniacki capaci di cambiare, in quanto entrambi legati da relazioni familiari forti con il proprio staff?
Leggi anche:
- None Found