di Emanuele De Vita
Esistono degli anni nefasti, disgraziati, deleteri, che nessuno vorrebbe mai aver vissuto. L’annata 2013 nel tennis, falcidiata da annunci di ritiri di giocatori importanti, è certamente uno di quegli anni che si vorrebbero cancellare. Fatte le debite proporzioni, cercando di non essere blasfemo, e nutrendo grande rispetto per gli interpreti di cui parlerò, tenterò di fare un parallelismo tra il 2013 del tennis e il funesto 1980 che sconvolse il mondo della musica, con la perdita di personaggi che hanno scritto la storia della musica.
Come John Lennon, assassinato proprio nel 1980, è stato un personaggio di un carisma incredibile, un’icona intramontabile di stile e di pace, anche James Blake, ritiratosi dopo gli ultimi Us Open, ha saputo essere un modello da seguire per i giovani, soprattutto per il suo spirito di sacrificio e la voglia di rialzarsi. Il suo libro, intitolato “Breaking Back”, riassume in maniera precisa tutti gli episodi importanti della vita e della carriera del tennista statunitense, soprattutto quando la sfortuna si accanì beffardamente su di lui nel terribile 2004, quando nel giro di poche settimane, dovette sostenere la perdita dell’amato padre, e anche un infortunio al collo, subito in allenamento al Foro Italico, che sembrava doverlo costringere addirittura sulla sedia a rotelle. Tutto questo non abbattè James, anzi nel 2005 centrò il suo migliore risultato negli Slam, raggiungendo i quarti di finale nel suo torneo preferito, Flushing Meadows, e non è un caso che abbia scelto di dire addio proprio lì, nel palcoscenico di casa, dove fu protagonista di un memorabile quarto di finale che giocò e perse contro Andre Agassi. Quel giorno James giocò un tennis da play station, con risposte fulminee e colpi tirati sempre a tutto braccio, ma tutto questo non gli bastò per vincere. Gli è sempre mancato quel qualcosa in più per raggiungere il grandissimo risultato. Non ha mai accettato di giocare colpi interlocutori, cercando di attuare un tennis alla continua ricerca del vincente da tutte le zone del campo. Sognava di vincere così, divertendosi ed esaltando il suo pubblico. Il capolavoro“Imagine” di John Lennon racconta di un sognatore che immagina un mondo vissuto in armonia e in pace. Un inno alla libertà, proprio come erano improntati alla “libertà” e al divertimento tutti i match di James Blake. “Getting better” è il titolo di una canzone composta dai Beatles, ma è anche la frase con cui Blake s’incoraggiava con il padre da giovane dopo ogni allenamento, come spiega nel suo stupendo libro. James ha deciso di ritirarsi soprattutto perché il suo fisico non ce l’ha fatta più reggere e sostenere il suo tennis rischioso, divertente e, per certi versi, geniale, proprio come erano geniali tutti i pezzi scritti e cantati da John Lennon, che è stato molto di più di un musicista, dotato di un talento fuori dal comune che, unito alla sventura, hanno reso leggenda.
Durante gli Us Open 2013 ha deciso di comunicare il ritiro dall’attività agonistica anche il belga Xavier Malisse, altro giocatore dotato di una classe immensa. Talento, stabilità mentale e cuore sono di solito i tre elementi che, miscelati assieme, possono fare la differenza tra un buon giocatore e un campione. Malisse, tennista tanto folle quanto fragile psicologicamente, è stato tradito sul più bello proprio dal suo cuore , che batteva a mille nel giorno dell’occasione della vita, sul palcoscenico più importante della semifinale a Wimbledon, persa in cinque set da David Nalbandian. Anche Ian Curtis, morto suicida sempre nel 1980, cantante e paroliere dei “Joy Division”, è stato prigioniero della sua fragilità, e per certi versi non ha saputo gestire il suo immenso talento, ma che tuttavia, non ne hanno scalfito la grandezza nel mondo nella musica. “Love will tear us apart”, recita uno dei versi più famosi scritti dal cantante inglese, e si può dire in questo caso, che l’amore per il tennis straordinario di Malisse non ci farà a pezzi, ma purtroppo non ci potrà più deliziare con i suoi colpi magici.
Poche settimane fa, ha detto basta anche David Nalbandian. La motivazione ufficiale è un infortunio alla spalla, che gli ha impedito di coronare il suo più grande sogno, la vittoria con la sua Argentina della Coppa Davis, agognata per anni e sempre, solo, sfiorata. Personaggio unico, carattere ribelle e poco incline all’allenamento, è stato un giocatore sublime. Dotato di un fulgido talento, ha messo in difficoltà e battuto spesso i più forti giocatori del mondo. Il suo rovescio bimane è stato un fendente di abbacinante bellezza e precisione, una vera e propria frustata con cui disegnava il campo e “spaccava” le partite, proprio come “spaccava” la batteria John Bohnam, detto Bonzo, la cui morte, avvenuta nel maledetto 1980, ha decretato lo scioglimento del gruppo più importante della storia del rock, i mitici “Led Zeppelin”. Il suo stile aggressivo e creativo di suonare la batteria ha lasciato un segno indelebile nella musica contemporanea, come lascerà certamente un segno il tennis estroso di David Nalbandian. La “Stairway to Heaven” del tennista argentino è stata senz’altro la vittoria della Master Cup a Shanghai nel 2005, ma non bisogna dimenticare la finale a Wimbledon nel 2002 e altre splendide vittorie come i Master 1000 indoor vinti consecutivamente prima a Madrid e poi a Parigi Bercy. John Bonhan è pacificamente considerato il più grande batterista della storia del rock, non solo per la sua tecnica, ma anche per le innovazioni da lui portate in ambito batteristico. David Nalbandian non è stato il più grande, ma sicuramente uno dei tennisti che più di tutti, ha trascinato ed esaltato il pubblico, proprio come lo sono stati James Blake e Xavier Malisse, e il loro ritiro lascerà certamente un vuoto incolmabile nel cuore di tutti gli appassionati di tennis.