di Marco Mazzoni (@marcomazz)
Il count down al 2015 tennistico è finalmente scattato. C’è fermento nell’aria frizzantina (o meglio gelata!) di questo fine anno, con varie notizie che arrivano su più fronti, alcune direttamente dai giocatori per mezzo degli amatissimi social networks. Petra Kvitova mostra su Instragram le sue valigie e bording pass per il primo viaggio stagionale, mentre Berdych produce l’immancabile selfie post allenamento, pronto alla pugna. Continuano i cambi di coach, molti “part time” come ora va di moda. Fresco di giornata quello del talento aussie Kokkinakis, che dopo un’intensa sessione di training a Dubai con sua maestà Federer ha annunciato raggiante un nuovo membro nel suo staff: Jason Stoltemberg, connazionale che nei ’90s sfoggiava mano assai educata, un senso naturale per il gioco d’attacco ed una lucidità in campo spiccata. Nome molto intrigante per imbrigliare talento ed esuberanza del gigante Thanasi.
Arrivano notizie importanti anche sul fronte economico/sponsorizzazioni. Dopo i rumors delle scorse settimane, è ufficiale (con tanto di foto di rito) il matrimonio tecnico tra Murray (che lascia Adidas) e Under Armour. Un nome che non dirà molto a chi segue poco lo sport USA, ma che invece contraddistingue un brand molto interessante ed in grande crescita grazie a capi molto tecnici, studiati appositamente per la performance sportiva. Infatti l’azienda americana (che ha sede a Baltimora) è famosa proprio per la sua ricerca nel segmento “Performance Apparel”, ossia capi che aiutano la prestazione sportiva grazie a qualità dei materiali e vestibilità. Il nome Under Armour significa letteralmente “sotto l’armatura”, e viene dal football americano, lo sport che ha lanciato l’azienda grazie all’esperienza diretta del suo fondatore, Kevin Plank, ex capitano del team di football dell’università del Maryland. Andy Murray non è il primo tennista della Under Armour: in scuderia troverà Sloane Stephens. Ancor più forte la presenza in altri sport: tra gli altri la sciatrice Lindsay Vonn, il campionissimo di Football NFL Tom Brady ed il giovane Cam Newton, la star della NBA Stephen Curry ed il golfista Jordan Spieth. Murray percepirà in 4 anni 15 milioni di sterline, andando a pareggiare (anche se con un anno di contratto in meno) il contratto appena terminato con Adidas. Non è chiaro se sia stata più Adidas a “mollare” lo scozzese o viceversa; più facile che sia stato un reciproco accordo. Curiosa semmai la scelta (voluta, o forzata?) del gigante tedesco delle 3 bande di “mollare” i suoi due principali testimonial tennistici nel giro di un paio di stagioni, con Djokovic passato ad Uniqlo ed ora Murray al marchio della grande H, puntando tutto sui grandi nomi rosa (Wozniacki per dirne uno notissimo) ed i giovani rampanti come Coric e Zverev. Lungimiranza o marketing low cost? Il tempo dirà.
La notizia di Murray fornisce uno spunto interessante, che apre la strada ad una analisi tecnico-economica potenzialmente molto vasta, che qua accenno solamente con il proposito di ritornarci in futuro con focus più mirati ed approfonditi nel 2015. Il rapporto tra tennisti e sponsor sta cambiando rapidamente, per una serie di fattori. I grandissimi sponsor tecnici hanno “bliandato” alcuni anni fa i top players, con contratti quasi impossibili da rompere. Federer, per citare la punta dell’iceberg, ha un accordo esclusivo con Nike (e quindi senza alcun altro sponsor invasivo) per 140 mln di dollari in 10 anni. E la cifra è assai per difetto perché non include i bonus che in questi anni The King avrà maturato, copiosissimi. Nadal è a ruota, con cifre mica tanto inferiori.
Sotto il magic duo, le cose stanno cambiando velocemente, perché altri sponsor tecnici tradizionali stanno rivedendo le proprie strategie (come Adidas, appunto); altri hanno perso mercato e un pizzico di appeal, magari per minori investimenti; ma soprattutto perché sono entrati o rientrati negli ultimi anni marchi nuovi extra settore o di ritorno, che hanno smosso il mercato dando un vero scossone e differenziando molto l’offerta.
Il treno era già partito qualche anno addietro, con l’ingresso di alcuni marchi nuovi dalla Cina (o l’acquisizione di Tacchini sempre dai cinesi, per dirne uno a noi assai vicino e “caro”). Un fenomeno che non si riusciva a prevedere del tutto vista la sua assoluta novità, ma che potenzialmente sembrava poter rompere equilibri fortissimi, e chissà, attaccare pure i giganti. In realtà ad oggi sembra quasi esser stata più una “bolla speculativa” (se mi passate il termine) poiché i cinesi sono o scappati (Tacchini…), o hanno ridimensionato la loro offerta/presenza visto che la crescita del nostro sport nel proprio paese va assai a rilento, ed invadere mercati già saturi o molto strutturati con un marchio nuovo e senza grande appeal o testimonial non è impresa semplice.
Allora è assai più interessante la scelta di molti brand già forti ma extra-tennis di provare ad entrare nel nostro mondo, con una manciata di sponsorizzazioni ad hoc, per testare il polso del mercato e valutare il ritorno. Ci sono più casi: il più clamoroso è quello di Djokovic, che passò da Adidas ad Uniqlo, dopo una breve e vincente parentesi con Tacchini nel suo magico 2011, proprio alla vigilia di Wimbledon, insieme a Kei Nishikori. Il giocatore “mito” del Giappone con un marchio nazionale, più il n.1 al mondo, tennista molto riconoscibile ed amato soprattutto in Asia, guarda caso il mercato potenzialmente più emergente… Mossa di marketing soprattutto, poiché Uniqlo non era non solo nel tennis ma proprio nello sport, ed ha dovuto creare ed inventarsi uno stile, restato assai minimal anche on court come la filosofia del marchio nipponico. Ha fatto molto parlare anche la scelta di H&M di entrare nel tennis con un altro top10 come Berdych, che ha accettato di misurarsi con t-shirt quasi psichedeliche ed al limite del cattivo gusto… Altra scelta curiosa, da parte di un colosso dell’abbigliamento mondiale ma assai lontano dallo sport della racchetta. Altri marchi importanti sono entrati nel tennis venendo già dallo sport: è il caso di New Balance, leader mondiale nelle calzature sportsware, che oggi veste Milos Raonic. E’ un altro tentativo interessante, che sarà da studiare ed analizzare a fine 2015, dopo un paio d’anni di presenza per valutare il ritorno e la forza del tentativo stesso.
Ancor più intrigante il ritorno di Ellesse, marchio d’eccellenza del nostro Made in Italy negli anni 70-80, quando tantissimi campioni vestivano il cotone pregiatissimo dell’azienda perugina di Servadio (Vilas, Evert, Becker…), grazie anche alla intuizione della “volpe” Tiriac ed altri manager. Ellesse – da anni non più di proprietà italiana – si è affacciata in punta di piedi, con Tommy Haas e Elina Svitolina come testimonials, ma i suoi prodotti sono assai riconoscibili ed il potenziale per tornare in auge a livello globale ci sono tutti. “Casualmente” all’edizione 2014 degli Internazionali ho notato che il loro stand commerciale era tra i più pieni… La storia e classe non sono acqua, e la forza per uscire dalla nicchia penso ci sia tutta se la strategia nel tennis sarà di medio periodo.
Nicchia. Questa forse la parola magica. In un mercato sempre più globale ma allo stesso tempo complesso, andare a fare la guerra a colossi come Nike & C. è quasi impossibile; ma probabilmente ci sono ampi spazi per strappare piccole (ma redditizie) quote di mercato, soprattutto in certi paesi, con prodotti di qualità, facilmente riconoscibili e con la giusta politica promozionale. A questo credo stiano puntando anche alcuni storici produttori di materiali (come Yonex) che si sono lanciati pure nell’abbigliamento, per rafforzare il proprio marchio ed offrire qualcosa di diverso.
Per ora mi fermo qua, con un’ultima domanda: 30 anni fa l’Italia era leader incontrastata tra i produttori di abbigliamento tecnico. Tutti i grandi campioni sceglievano la nostra qualità, buon gusto e classe. Sicuri che in un momento di così particolare fermento nel settore non ci possa esser spazio per provare a rilanciare e rilanciarci?
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