Carlos Moya ha ufficializzato il ritiro dall’attività agonistica. Il tennis spagnolo, classe 1976, ha vinto il Roland Garros nel 1998 ed è stato numero 1 del mondo nella stagione successiva. Vincitore di 20 tornei in carriera (il primo, diciannovenne, in quel di Buenos Aires, sino ad arrivare all’ultimo, nel 2007, nella “sua” Umago), ha conquistato anche una Coppa Davis (portando 3 punti in finale) contro gli Stati Uniti nel 2004.
Il nostro non vuole però essere un omaggio alla sua carriera, bensì una raccolta (della nostra redazione) di ciò che, per noi, è stato Carlos in questi anni. Leggerete quindi commenti positivi, altri neutrali e anche alcuni negativi..
Alessandro Nizegorodcew: Non mi dilungherò molto. Moya non era un giocatore che mi facesse impazzire dal punto di vista tennistico. L’unico match che mi esaltò, in parte, fu una partita che vidi al Foro Italico, in primissima fila. Era il 2004 e lo spagnolo distrusse letteralmente Andrei Pavel nei quarti di finale, sul campo centrale. Mi ero messo di proposito dietro i giocatori, all’altezza dei colpi portati. In effetti il dritto di Moya, in quella settimana devastante, mi fece impressione…
Stefano Grazia: MOYA WHO? Quello che usciva con la Pennetta? No, scherzo a parte, Moya puo’ essere considerato il primo tennista spagnolo moderno dell’Era Open, quello che ha aperto la via, che ha traghettato i vari Ferrero, Ferrer, Verdasco, Lopez e ovviamente Nadal ad una carriera costruita non piu’ solo sulla terra. Ma questo lo sanno e lo dicono tutti: a pensarci bene la prima cosa che mi viene in mente di lui non e’ tanto la bellezza da sciupafemmine (che onestamente con quei suoi dentoni separati, non mi e’ mai sembrata cosi’ fulminante: evidentemente aveva anche altre doti…), e’ la sua amicizia apparentemente priva di gelosie con Nadal. E’ questo che me l’ha fatto diventar simpatico.
Fabio Colangelo: Ho sempre stimato moltissimo Moya come giocatore e professionista per quello che aveva fatto e stava facendo in carriera, ma era uno di quei campioni che non mi faceva “ne caldo ne freddo”. Fino a quel giorno di metà febbraio del 2006, quando mi trovavo all’Atp di Buenos Aires e mi chiesero se potevo giocare 40-50 minuti con lui prima del suo match di secondo turno contro Nicolas Massu. Al tempo era “solo” nei top 30, ma il mio nervosismo era comunque alle stelle visto che non mi ero mai trovato di fronte ad un ex numero 1. Mi stupi’ la sua incredibile umiltà e disponibilità. Mi fece contattare nella players lounge per avvisare che avrebbe tardato rispetto all’orario concordato, e ad ogni pausa si dimostrò molto gentile e simpatico, dimostrando un’ottima proprietà di linguaggio con la nostra lingua. Da quel giorno seguii le sue gesta con più attenzione e nonostante fosse già sul viale del tramonto (anche se A Buenos Aires trionfò) riusci talvolta ad esprimere un livello di gioco straordinario, come con Nadal in semifinale a Chennai tre anni fa. Si ritira il primo spagnolo veramente competitivo ad alti livelli anche su superfici rapide. E non è poco.
Sergio Pastena: Quando un grande campione si ritira di solito si ricorda una sua vittoria, io invece vorrei ricordare una sconfitta: quella patita con Rafa Nadal nelle semifinali del torneo di Chennai del 2008. Erano di fronte due maiorchini, il maestro e l’allievo. Il maestro aveva stupito il mondo tornando a ridosso della Top Ten a oltre trent’anni, dopo che tanti lo davano per finito… l’allievo stava stupendo il mondo e quell’anno avrebbe conquistato il numero 1 delle classifiche. Confronto impari, in teoria, e invece… invece uscì fuori uno degli incontri più combattuti degli ultimi anni. Tre tie-break, il primo a Carlos e gli altri due a Rafa, che continuava a procurarsi palle-break per poi vedersele annullare. A un certo punto, nel secondo set, sembrò davvero che Moya potesse mandare l’avversario in corto circuito e alla fine della battaglia i match-point annullati da Nadal furono quattro. Molti pensavano che l’ideale passaggio del testimone fosse avvenuto l’anno prima, ai quarti del Roland Garros, ma un 6-4 6-3 6-0 sarebbe stato troppo severo. Il passaggio del testimone è avvenuto con la battaglia di Chennai. I due si incontreranno ancora una volta, vincerà Nadal a mani basse. Ora il maestro va in pensione e l’allievo ha già fatto molto meglio di lui: però Moya lascia un bel ricordo.
Roberto Commentucci: Carlos Moya ha rappresentato per il tennis spagnolo l’Evoluzione della Specie… E’ stato il simbolo vivente, la personificazione del salto di qualità della scuola iberica in termini di completezza tecnica. Fosse stato un software, o un videogame, lo avrebbero battezzato “Spanish tennis – version 2.0” Eravamo abituati a tennisti iberici spesso piccolotti, tutti gambe e topspin, con impugnature estreme, servizio così così, i piedi spesso nei pressi dei teloni di fondo campo… gente che ti sfiancava dopo lunghe maratone, e comunque abituata più a correre e a remare che a far correre l’avversario. Carlos ha cancellato lo stereotipo, quello dei Berasategui, dei Mantilla, degli Albert Costa e anche – in fondo – dei Corretja e dei Bruguera. Moya è stato il primo tennista iberico davvero moderno, non solo rapido, ma anche alto e potente, in grado di fare male con il servizio, di tenere i piedi vicini alla riga, di aggredire in risposta e quindi di adattarsi benissimo al veloce, tanto che probabilmente il suo tennis migliore lo ha espresso sul cemento all’aperto. Ciò gli ha consentito di essere il primo iberico in grado di arrivare al n. 1 del mondo dai tempi di Manolo Santana. Il suo diritto inside-out è stato a lungo uno dei colpi più devastanti del circuito. E forse, se non ci fosse stato Carlos Moya, il fromboliere balearico, il tennis non avrebbe mai conosciuto Rafa Nadal, il Minotauro di Maiorca.
Luca Brancher: Era ora. Un altro di quei tennisti che hanno cercato, con buoni risultati, di affossare questa pratica. L’unica partita che mi viene in mente è Stefan Edberg – Carlos Moya 6-2 6-2 6-1 al Roland Garros del 1996, secondo turno. Davvero detestabile. Mi rendo conto non sia un gran modo di celebrarne il ritiro. Più che altro rinnovo il rimpianto che non l’abbia fatto prima, tipo 15 anni fa.
Gianfilippo Maiga: sono sempre stato diviso su Carlos Moya. Non sul suo talento tennistico, indiscutibile.
Da esteta del tennis, da amante di un tennis di “gesti bianchi” sono sempre stato (puerilmente, lo ammetto) condizionato dalle sue mises: per me Moya, oltre che il primo tennista moderno veramente in grado di esprimersi ad alto livello su tutte le superfici, è stato lo sdoganatore delle orribili canotte senza maniche, per di più accoppiate con una bandana di stampo piratesco. Naturalmente, da statistico assolutamente svagato, è molto probabile che lui non sia stato il primo a mostrarci le ascelle sudate e il bicipite ipertrofico, ma è il tennista di spicco che associo a quell’immagine. Sono – devo dire – rimasto un po’ deluso quando ho saputo che era fidanzato con Flavia Pennetta, che ha una figura così classicamente elegante, ma la coppia non è durata, anche se non sono sicuro che la ragione sia da ricercarsi nelle differenze di allure. Fatta questa importante premessa, lo ringrazio di aver cancellato l’angosciante prospettiva dei match estenuanti che al momento dei suoi esordi mi accompagnava prima di (e durante) l’esibizione di molti tennisti spagnoli dell’epoca: quella sottile sensazione della mancanza di definitivo nei loro colpi, di palle imprigionate in traiettorie scomode ma raramente penetranti che mi rendeva stanco alla fine del match quasi vi avessi giocato io. Lo ringrazio di aver cancellato il ricordo di Bruguera, antitesi del gesto tecnico naturale, del “gioca facile”, e di Berasategui, che colpiva la palla innaturalmente rovesciando la racchetta al momento dell’impatto, un orrore per i razionalisti del tennis. Sento che a Maiorca ha una palestra: questo significa che non imposterà tennisti in erba; peccato, prevarranno i Nadal.
Renato Lugarini: Ammetto di non aver mai nutrito una eccessiva simpatia per Moya, sia tennisticamente sia per il personaggio un po’ fighetto, almeno per i miei gusti (invidia maschile? chissà..). Ma forse il vero motivo della mia relativa antipatia risiede nel non avergli mai perdonato quella finale del ’98 a Parigi, quando sconfisse senza appello il mio beniamino Corretja. Alex era un giocatore che, al contrario, mi trasmetteva una grande simpatia umana e che a mio avviso avrebbe meritato più di altri la vittoria di uno Slam. Tuttavia onore al merito per un tennista che ha certamente fatto scuola, almeno in patria, sfatando un taboo e dimostrandoci che anche uno spagnolo era in grado di espremere un gioco completo e propositivo. Fu un vero choc per noi che seguivamo il tennis degli anni ’90
Laurent Bondaz: Il mio pensiero rivolto al ritiro a Carlos Moya e’ che piano piano se ne “stanno andando” dal palcoscenico del grande tennis tanti personaggi che ci hanno regalato tanti match spettacolari, tante rivalita’ altrettanto importanti, campioni che ci hanno fatto sognare e ai quali ci siamo spesso rapportati sperando un giorno di poterli raggiungere ed emulare. Carlos e’ stato uno di quelli….
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