“La palla era lunga, e non l’hanno chiamata. Ma è normale, quando di fronte hai un grande giocatore, e sei in casa sua. In Brasile l’avrebbero giudicata out”. È un insolito giorno dell’ira per Guga Kuerten, il campione del sorriso che disegna cuori sulla terra del Roland Garros. Ma sul 6 pari nel tiebreak del quarto set, su quel passante che a rivederlo oggi sembra davvero lungo, senza l’appello tecnologico dell’Hawk-Eye a cui attaccarsi, il senso di ingiustizia si fa insostenibile. E quasi non lo riconosci più, il Guga che fa innamorare le folle, quando lo vedi testardo ignorare l’arbitro Steve Ullrich mentre spara una pallata più in alto della luna e punta verso il giudice di linea, perché la rabbia non annebbia il suo senso di integrità e dal suo punto di vista è quel giudice di linea che l’ha derubato. E che ha tolto ai 14.145 spettatori sul centrale di Miami, in maggioranza ma non troppo dalla parte di Pete Sampras, l’emozione di un quinto set in una delle più belle finali nella storia del torneo, la prima del terzo millennio.
Niente succede per caso, avrà pensato Kuerten, che al primo turno si è trovato a un punto dall’eliminazione contro Arnaud Clement, e in semifinale ha lasciato cinque game a un Andre Agassi che ha voluto onorare il torneo nonostante il danno al legamento della caviglia destra sofferto nel quarto di finale contro Tim Henman. Agassi non ha un gran rapporto con Miami: nel 1994 è sceso in campo per la finale con un’ora e mezza di ritardo per un’intossicazione alimentare. Da allora, Pete Sampras non ha più vinto il titolo a Key Biscayne. In semifinale, ha giocato un primo set perfetto contro Lleyton Hewitt, ha stampato nove ace nei primi nove turni di battuta e perso solo 4 punti al servizio. Ma nel secondo ha regalato il secondo break con due doppi falli e una pessima volée di rovescio. Il terzo si è di fatto deciso al secondo gioco, con il break di Pistol Pete arrivato dopo lo scambio più memorabile del match: cinque volte Sampras ha accelerato col dritto inside-out sul rovescio di Hewitt, cinque volte si è visto la palla tornare indietro ma ogni limite ha una pazienza e l’ultima volta ha tagliato il campo e chiuso con la volée di rovescio. È il preludio al 63 36 61 che vale la speranza del quarto titolo a Key Biscayne e il secondo confronto diretto con Kuerten in pochi mesi.
Il brasiliano, che ha perso da Pistol Pete al Masters qualche mese prima, sceglie una tattica incomprensibile per tutto il primo set. Risponde con i piedi sulla riga, prova a giocare d’anticipo: 6-1 Sampras in 28 minuti.
Il cambio di strategia è inevitabile. Dal secondo, il brasiliano rimane diversi metri dietro la riga ad aspettare le prime e le seconde di Sampras. “Così sono entrato un po’ di più in partita. E potevo cercare anche di giocare il passante sulla seconda” ha spiegato Kuerten. Sampras, alla prima finale stagionale dopo la semifinale persa da Agassi in Australia, il ritiro al secondo turno a Scottsdale e i quarti a Indian Wells, fa quel che vuole col servizio slice da destra. Guga, che inevitabilmente perde campo, è costretto fare passi avanti e spostarsi tanto verso l’esterno per rispondere; le volée a campo per Sampras diventano praticamente elementari. “Oggi non ho servito forte, ho servito con intelligenza” commenta Sampras. “Non è facile fare ace a un avversario come Kuerten, che si mette così dietro”. Nel quinto game del secondo set, Sampras va avanti di un break, sul 5-4 va a servire per il set ma perde il servizio per l’unica volta nel match. “In cinque minuti la partita è cambiata” ha spiegato Sampras. “Il pubblico si è fatto trascinare, Guga mi ha fatto lavorare di più e il match è diventato una lotta”. Kuerten allunga al tiebreak e domina 7-2.
Sul 3-3 40-0 nel terzo, Sampras si incarta in due doppi falli consecutivi. Il perfetto lob di Guga porta il game ai vantaggi, ma due robuste prime tengono Pistol Pete avanti. Sul 5-5, il brasiliano forza ancora Sampras ancora sul 40 pari al servizio, e ancora l’americano stampa l’ace per il 6-5. Si va al tiebreak, e l’americano dimostra ancora di essere un giocatore di volo che a rete fa della reattività atletica, più che dell’eleganza stilistica alla Edberg, il suo punto di forza. Una qualità che gli consente una imprevedibilità di interpretazione tra un punto e l’altro quasi impossibile da neutralizzare, anche per Kuerten che cede il tiebreak 7-5.
Nel quarto, Sampras sembra col passar del tempo più stanco del brasiliano. Quel suo tipico modo di tenere un po’ la lingua di fuori non sembra solo un atteggiamento. Sul 6-5, in risposta, Kuerten ha due chance di completare il break che porterebbe il match al quinto set. Sampras, che dall’Australian Open non gioca un incontro così duro dal punto di vista fisico, alza l’asticella quando conta di più: seconda in kick che si innalza altissima e costringe Kuerten alla risposta lunga per salvare il primo set point, perfetta lettura del passante di rovescio per cancellare il secondo. L’allungo nel terzo tiebreak del match è fulminante: 6-2 Sampras. Sembra finita. E invece il meglio deve ancora venire.
Perché Kuerten annulla tutti i quattro match point e solo la chiamata contestata e discutibile del giudice di linea gli toglie il quinto punto di fila e il set point. Ancora una volta, sembra finita. Sampras ha il quinto match point, e può giocarlo sul suo servizio. Ma ancora una volta, succede quel che non ti aspetti. Doppio fallo: 7 pari. “Capita a tutti” ammette Sampras. “Chi dice che non gli è mai venuto il braccino, mente”.
Kuerten ne salva altri due, di match point. Al settimo, però, vede il suo dritto deviato dal nastro viaggiare oltre la racchetta di Sampras e soprattutto oltre la riga. Stavolta è finita davvero. Kuerten sbatte la racchetta a terra e poi la lancia verso rete. “Mi liberavo delle sensazioni negative” dirà. Sampras chiude 61 67(2) 76(5) 76(8): ha commesso 50 gratuiti, contro i 19 di Kuerten, ma ha vinto 109 punti a rete. Ha alzato il suo 62mo trofeo in carriera, l’undicesimo nei Super Nine, diventati proprio nel 2000 Masters Series e oggi Masters 1000. È la sua ultima vittoria in un torneo non dello Slam.
Si ritroveranno a Lisbona, al primo Masters del terzo millennio. E sarà rivincita. E sarà storia. Nella terra dei colonizzatori, Kuerten batte Sampras e Agassi, diventa il primo e unico brasiliano a vincere i Championships in singolare, e chiude l’anno da numero 1. “Quella vittoria per me vale più di uno Slam” ha spiegato a Marca. “È stato il momento migliore della mia carriera”. Dopo il 2000, non succederà più che l’ultima partita dell’anno serva anche a determinare il numero 1 del mondo. Il sogno di Guga sarà breve ma intenso. “Il tennis è semplice ma non è facile, essere numero 1 poi è difficilissimo” ha spiegato. “Era impensabile che un brasiliano riuscisse a fare ciò che ho fatto io. Mi restano l’allegria, la felicità che arrivarono dieci anni dopo”. E il ricordo della più grande vittoria della sua vita. Un successo che cancella la rabbia e l’ingiustizia nella più bella finale del Masters 1000 di Miami.
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