La mia trasferta verso il Tennis Club Mestre in questo torrido 2 giugno comincia a bordo di un pandino 4×4 color oliva. Come compagna di scorribande scelgo la mia fedele partner nel doppietto della domenica, buon diritto, solidità a rete ma zero senso dell’orientamento.
Riusciamo a perderci alla prima rotonda di Mestre (noi, padovane a non più di 40 km di distanza da casa) mentre la Carrà alla radio canta noncurante dei nostri drammi stradali di come sia bello fare l’amore da Trieste in giù. Finalmente, grazie all’ausilio di potenti mezzi tecnologici del tipo: “Scusi, da che parte è il Tennis Club?” ma funestate da atroci dilemmi municipali (“Ma il 2 giugno è festivo no? Quindi parcheggiamo sui posti blu…o no???”) giungiamo all’agognata meta appena in tempo per assistere al primo 15 di Arnaboldi-Clezar, il primo match sul campo centrale.
Il maratoneta di Parigi sembra subito infastidito dal potente servizio dell’avversario (con una prima registrata dai miei innocenti occhi a 224 km/h) tanto da tradire il suo aplomb con contrariate affermazioni quali “Madonna oh, come serve sto’ qua??” e “Giuro che non ho mai visto saltar così la palla”. Nonostante non riesca sempre ad anticipare il suo avversario nella risposta come saggiamente gli intima il suo coach Fabrizio Albani, Arnaboldi resiste all’offensiva e i due danno vita ad un primo set spettacolare chiuso da Andrea al tie break (7-5) in un’ora di gioco. Bastano invece a Clezar altri 15 minuti per vincere il secondo 6-1. La candela dell’una e mezza sopra le nostre teste si fa sentire (forse perché siamo sprovviste di cappello e crema solare??) e in aggiunta Arnaboldi lamenta a metà del terzo set un dolore al piede destro a cui l’intervento del medico non riesce a porre rimedio. Il nostro non riesce più a essere né preciso né incisivo e anche il terzo set scivola via velocemente con un nuovo 6-1.
Amareggiate e soprattutto disidratate ci dirigiamo verso il bar per rifocillarci, non prima di aver dato un’occhiata al match di Podlipnik-Castillo contro Gonzalez per motivi non esattamente professionali (per la cronaca ha vinto l’argentino testa di serie numero 4 del torneo, 6-4, 6,2).
Gelatino veloce perché sul centrale è di nuovo tempo di italiani e Thomas Fabbiano fa il suo ingresso in campo, in un incontro che lo vede opposto al promettente cileno Nicolas Jarry. Immediatamente soprannominato GGG (Grande Gigante Gentile, Rodari docet) per la sua imponente altezza, Nicolas è un ragazzone biondo di 19 anni e 198 centimetri, ex numero 8 a livello juniores ma ancora tentennante nel circuito professionistico. Il primo set si combatte a suon di sportellate e vede vittorioso proprio il giovane cileno in un tie break conquistato per 8 punti a 6. Nel secondo Fabbiano ritrova continuità e si porta in scioltezza sul 4-0. Certe di vedere una partita allungata al terzo set ci spostiamo dall’infuocato centrale per posizionarci sotto il dolce refrigerio della pergola deliziosamente rivestita da un fitto glicine, la tribuna ideale per chi vuole seguire i match sui campi 2 e 3 ed in particolare le sorti di Guido Pella contro Jozef Kovalik. Contrariamente a ciò che dice la classifica, lo scarto di 100 posizioni non sembra intimorire lo slovacco che grazie al break in apertura porta a casa il primo parziale per 6-3. Pella aggiusta il tiro nel secondo set che chiude per 6-1 proprio nel momento in cui mi siedo di fianco al suo allenatore che si sgola a forza di “Vamoooossss”.
L’eco di alcune grida quali “Eeeeh…aaaah…noooo!!!” riporta la mia attenzione sul campo centrale dove si sta consumando la seconda tragedia italica. A forza di caricarsi con il pugnetto ad ogni 15, Jarry si è riportato in parità e dal 4-0 iniziale ora siamo sul 5 pari. Il disappunto del pubblico squagliato in tribuna deriva dai tre set point che Fabbiano ha sprecato, o meglio che Jarry ha astutamente annullato, sul 5-4, 0-40. Altro tie break vissuto col magone, anche se dopo 16 infiniti punti in cuor mio sono contenta quando il ragazzone biondo si porta a rete e stringe la mano a un Fabbiano che non si capacita di come si sia fatto sfilare dalle mani quel set.
Dopo aver preso la saggia decisione che forse Quinzi è meglio vederlo dalla terrazza del bar assieme alla meglio gioventù del circolo (con birretta e spriss della casa in dotazione), mi rendo conto di aver abbandonato il povero Pella al suo destino e raggiungo il campo 3 giusto in tempo per vedere le ultime fucilate di Kovalik che giustiziano il terzo favorito del torneo con un netto 6-2. Quinzi intanto furoreggia contro Eremin (entrambi wild card) e sul centrale non più torrido non si trova un posto nemmeno tentando vilmente di corrompere il capo dei raccattapalle. Il vincitore di Wimbledon juniores 2013 ha perso il servizio in entrata di partita e ha anche rischiato di andare sotto 3-0; invece vince il primo set 6-3. Il secondo è una sfilata di tutto il repertorio, elargito al pubblico con eleganza e soprattutto con l’obiettivo di chiudere in fretta per non rischiare di giocare il match di doppio al buio.
Mentre lo staff del circolo è in subbuglio per gli ingenti preparativi del player’s party, noi siamo assalite da un dubbio atroce: seguire il doppio Arnaboldi/Viola contro X o Quinzi/Berrettini versus la coppia americana Buchanan/Fratangelo che potrebbe avere seria rilevanza giornalistica per il mio direttore?
Niente, non ci riesco, come si fa a non amare perdutamente Arnaboldi, memore ancora delle sue imprese parigine? Desiderosa di vederlo trionfante nel riscatto di una giornata da dimenticare mi posiziono nell’unico posto disponibile (per terra) ai piedi del suo coach e del clan Viola. Mi trattengo dall’esibire un tifo altrimenti da stadio mantenendo una professionalissima compostezza da reporter, ma quasi mi viene un colpo quando il duo spagnolo agguanta il secondo set pareggiando i conti sul 3-6, 6-3. 10 punti mi dico, 10 punti ed è fatta. Non senza brividi il risultato finale sperato arriva ed è ora del mio momento di gloria. Mi avvicino con l’imbarazzo di una sedicenne ad Andrea e gli chiedo se è disponibile per una breve intervista (cosa che avevo accuratamente evitato di fare la mattina). La sua gentilezza è impagabile e ancora grondante di sudore mi concede una piacevole chiacchierata all’ombra del glicine.
Sfatta di fatica, sole, sudore ed emozioni mi dirigo verso casa con la mia fidata galoppina, non senza perdere nuovamente l’orientamento e finire sulla via per l’aeroporto di Venezia. Ma nulla di ciò ha importanza , perché stanotte anche la Luna ha il colore della terra rossa.
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