di Fabio Ferro
L’andatura ciondolante, lo sguardo sempre un po’ sofferente e le movenze un sgraziate e così ampie avevano relegato Leonardo Mayer nel limbo dei tennisti “vorrei, ma non posso” . Negli scorsi anni l’argentino non era certo uno scoglio per i suoi avversari top 50, troppo cedevole, troppo spesso poco convinto delle proprie potenzialità.
Poi, all’improvviso si è accesa una luce, una convinzione fatta di tennis solido e potente. È febbraio, a Vina del Mar, secondo turno dell’ATP 250 e dall’altra parte della rete c’è un certo Tommy Robredo, uno che non molla e di tennis ne ha da vendere, specie sulla terra. Mayer entra in campo convinto, potente e prepotente, contrastando le ottime velleità del suo avversario, specie quelle difensive. Va sotto di ben 4 match point, li recupera tutti e va a vincere una partita bellissima al tie break del terzo set. Qualcosa è cambiato, ma Leo perde comunque in finale contro Fabio Fognini, che gioca il suo miglior tennis della stagione.
Dopo l’exploit di Vina del Mar, Mayer, su otto tornei è uscito al primo turno in sei di questi. È probabilmente questo il momento in cui è scattata la molla agonistica. Leo si presenta al Roland Garros, raggiungendo il terzo turno, cedendo a Rafa Nadal, mostrando una solidità di gioco superiore e una pesantezza di palla davvero notevole. La conferma che il brutto anatroccolo stia diventando cigno arriva sull’erba di Wimbledon, non certo il suo terreno ideale, dove Mayer raggiunge il quarto turno, battendo Seppi, Kuznetsov e Baghtdatis, perdendo solo da un fortemente ispirato Dimitrov, ma soprattutto esprimendo un gioco fisico e davvero profondo, condito da una continuità al servizio davvero sorprendente.
Con i tornei, nonostante ancora qualche calo che lo porta a perdere al primo turno, cresce la sicurezza, la consapevolezza dei propri mezzi e Mayer comincia ad esprimere un gioco più cattivo. Lo fa ad Amburgo, ATP 500, battendo, nell’ordine e senza perdere un set, Gojowczyk, Garcia-Lopez, Thiem, Lajovic e Kolhschreiber, prima di affrontare in finale un Ferrer in cerca di punti. La finale è uno scontro pesante, tra la resistenza dello spagnolo e la tenacia all’attacco dell’argentino, che va a vincere 6-7 6-1 7-6. È il suo capolavoro, il suo maggiore risultato in carriera. È tempo di Slam e il nuovo Mayer non sfigura, uscendo al terzo turno e perdendo con Kei Nishikori in formato Ken Shiro.
Il finale di stagione, complici alcuni fastidi muscolari, è travagliato. Troppi primi turni, troppe sconfitte con avversari di livello inferiore. Poi, di nuovo l’illuminazione tennistica. Master 1000 di Shangai, secondo turno, il tabellone pone Mayer di fronte a Roger Federer, uno scoglio insormontabile, l’esito sarebbe scontato. Ma non lo è. Federer è messo in un angolino a cercare di contrastare la furia, è il caso di dirlo, di Mayer, che lo tempesta di vincenti sull’1-2, oltre che negli scambi più lunghi. La partita è a senso unico nel primo set, ma cambia faccia nel secondo, quando Federer fa suo il parziale, per poi passare nuovamente nelle mani di Mayer nel terzo e, nonostante una serie di match point consistente, non riesce a chiudere un match ormai vinto. Federer lo punisce. L’ultima immagine di Mayer è in lacrime, per aver giocato da grande e per non aver sfruttato l’occasione di battere un Federer in forma. Ci consoliamo sapendo che il 2015 ci restiuirà un Leonardo Mayer, partito nel 2014 da numero 98, al numero 28 della classifica mondiale, un posto più degno del suo tennis. Ma la partita con Federer avrebbe dovuta vincerla lui…
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