di Alessandro Mastroluca
Lo vedi tu com’è. E’ fare e disfare. E’ battere e levare, prendere o lasciare. E Seppi lascia, non raddoppia. Domina Kyrgios per due set poi la partita gira. Kyrgios sale di servizio e personalità, in un amen chiude il terzo set. Seppi gioca il quarto d’esperienza, l’arte di vivere in difesa contro l’insostenibile leggerezza dell’essere idolo di casa e campione annunciato a meno di vent’anni. L’azzurro manca un match point, perde un tiebreak troppo timido in cui mette in campo una sola prima e si ritrova sotto 1-4 al quinto con l’Hisense che diventa plaza de toros. Seppi però se la riprende ancora la partita: parziale di 12 punti, 4-4 e tutto ancora aperto, improvvisamente, inaspettatamente. Rallenta per poi accelerare, contro un Kyrgios che sotto la cresta mohawk, l’atteggiamento da spaccone, ha l’arroganza del campione in divenire, di chi pensa, o quanto meno si pone come obiettivo, di essere lui a determinare l’andamento delle partite. L’Aussie non si risparmia nella lotta, anzi. E nella giornata in cui Tomic ha pagato ancora una patologica passività nello scambio e in risposta contro Berdych, è fin troppo netto il divario fra chi ha un grande futuro dietro le spalle e chi affronta da teenager un quinto set in casa, con la concreta possibilità di fare un pezzo di storia del tennis, con l’attitude del veterano, di chi si prepara da una vita, di chi arriva pronto perché partite così quando era piccolo le immaginava già.
Due rovesci eccezionali, però, preparano il match point di Kyrgios, che salva una palla break sul 4-4 nel quinto con un ace esterno a 205 kmh, epifania di quel che sarà. L’australiano rimonta, vince 5-7 4-6 6-3 7-6(5) 8-6 con il brivido finale del Falco che aumenta ancora l’attesa, e scrive un pezzo di storia del tennis. E’ il primo giocatore dopo Federer a giocare due quarti di finale Slam prima di compiere vent’anni, e il 14mo nell’era Open. A 19 anni e 280 giorni, è il più giovane nei quarti all’Australian Open dopo Andrey Cherkasov (1990), il terzo teenager australiano nei primi otto nello Slam di casa dopo Brad Drewett nel 1976 e Pat Cash nel 1982 e nel 1984.
E’ un Seppi restituito al tennis d’elite, quello che emerge dagli ultimi due giorni di Melbourne. L’Andreas che deve giocarsi la permanenza in top-50 a fine stagione in un Challenger è solo una curva ormai nella memoria. L’Andreas ritrovato è lo stesso che ha quasi battuto Djokovic a Parigi, che ha dato all’Italia la più importante vittoria in uno Slam dalla finale di Parigi di Panatta, che ha mostrato una evoluzione più vicina alla rivoluzione che al fisiologico risultato dell’esperienza. Il giocatore che si affacciava alla top-100 con due fondamentali equilibrati, solidi ma prevedibili, con un servizio così così non c’è più. C’è un giocatore che ha saputo usare lo schema servizio esterno – dritto nell’angolo aperto con l’insistenza e la facilità di esecuzione dello specialista delle superfici veloci, con l’efficacia del consumato giocatore d’attacco. C’è un regolarista creativo che adatta le geometrie e le impreziosisce con passanti di mezzo volo, non ai livelli della gemma incastonata sul match point contro Federer, segno di una fiducia senza precedenti e di un ventaglio di soluzioni, di variazioni, di assi di un colore solo nella manica, che il certosino lavoro con coach Sartori ha aggiunto senza sacrificare, senza rivoltare le fondamenta del suo tennis.
L’approccio di Seppi cancella subito ogni timore di un possibile appagamento dopo la grande vittoria su Federer. Serve meglio, 71% conto il 52% di prime in campo, è più centrato, più reattivo. Gioca più vicino alla riga, muove il gioco, tiene d’autorità i suoi turni di battuta contro un Kyrgios che resta attaccato ma un po’ arranca, che salva due palle break nel nono gioco (ace sulla seconda, e non sarà l’ultima) ma perde il servizio a zero nel game successivo. Seppi allunga la tensione, manca due set point, ma dopo 44 minuti il terzo è quello buono. Kyrgios la pressione la vede, la sente, la tocca, la affr0nta ma non ancora la supera, e la racchetta spaccata a fine set dà la misura di una frustrazione che solo dal terzo parziale riuscirà a trasformare in energia, in opportunità.
La partita gradualmente si complica per l’azzurro. L’australiano alza le percentuali al servizio e al quarto gioco del secondo set si porta per la prima volta a un punto dal break. Sulla prima Kyrgios affossa l’ennesimo dritto (saranno 74 i gratuiti a fine partita, come per Seppi cui non bastano cinque vincenti in più), sulla seconda il nastro gli devia il rovescio incrociato. Deve vincere il primo gran punto del match per procurarsi la terza occasione, ma il rovescio lo tradisce ancora. Seppi vince un game fondamentale, che mantiene dalla sua l’inerzia della partita: l’azzurro vince ancora tutti gli scambi medio-lunghi, vede la sua prima palla break del set cancellata con una prima robusta, una costante del match, ma non permette all’entusiasmo giovanile dell’avversario di prendere il sopravvento. L’Hisense Arena è un potenziale di energie in attesa di diventare sostanza, e Andreas fa di tutto perché quell’attesa sia frustrata, vanificata. Un dritto da applausi in avanzamento all’incrocio delle righe lo porta a servire per il secondo set, una magia in back di rovescio lo spinge al set point, che converte sulla palla corta di Kyrgios.
Sotto due set a zero, l’australiano riscrive la sceneggiatura della partita. Più veloce, più potente, più forte, si libera di tutti i pensieri pesanti che sarebbero già da soli tutto carico in più. E’ pensiero veloce e volontà di precisione. Seppi reagisce tardi al cambio di scenario, in un quarto d’ora o giù di lì è sotto 5-2 nel terzo. Vince il punto più bello del match, passante in demi volée dopo un recupero di Kyrgios che fa scorrere la palla al lato del paletto, ma il set è andato, si va al quarto.
Adesso la prima dell’australiano è una banca, tra ace, servizi vincenti e chiusure sull’uno due, l’arma migliore di Kyrgios illumina l’Hisense in tutta la sua efficacia. Seppi però tiene ancora. Il campo sembra farsi più lungo e più largo, l’altoatesino regge anche la battaglia degli ace, e ne estrae più di uno in momenti chiave del set e del match. Il settimo game rischia di diventare spartiacque dell’incontro, come da luogo comune mai così vero come in questo set. Avanti 0-30 in risposta, Kyrgios si ferma per chiedere un challenge (sbagliato) durante lo scambio, Seppi che aveva sbagliato il dritto sul colpo successivo ringrazia e si salva: ace e rovescio vincente per chiudere e difendere il 4-3. Ogni punto ora vale doppio, ogni errore fa salire l’entusiasmo dell’avversario, due destini uniti da un filo sottile, da un principio di azione e reazione. L’azione che scatena tutto è di Seppi, che si porta a match point. La reazione prelude al finale: due ace di fila di Kyrgios che allunga al tiebreak. E’ la “sudden death” di un sogno. Seppi mette in campo solo una prima, troppo poco. Eppure vince lo scambio fino a quel momento più lungo della partita, 17 colpi, che lo porta per la prima volta in vantaggio nel tiebreak, sul 5-4. Ma qui i pensieri pesanti son tutti i suoi, l’appuntamento con la storia grava sulle sue spalle. Gli ultimi tre punti li perde l’azzurro più di quanto non li vinca Kyrgios: la sintesi è nel dritto anomalo diagonale fin troppo innocuo che spalanca all’australiano il passante del 7-5 e la prospettiva di giocare un quinto set da favorito e con il vantaggio di servire per primo.
Vantaggio quanto meno psicologico, se è vero come è vero che uno studio sugli Slam tra il 2005 e il 2013 dimostra che tra gli uomini la percentuale di vittorie è leggermente superiore per chi risponde nel primo game dell’ultimo set (50.6%). Kyrgios lo sfrutta al massimo e sale 4-1, Seppi ricuce con un parziale di 12 punti a zero che arriva, come dicono da queste parti, “out of the blue”, dal nulla. Nel blu dipinto di blu Seppi e l’Italia si destano ancora, e la folgorante risposta che vale la palla break sul 4-4 30-40 è un’illusione di luce, un raggio di sole che si ferma su un biglietto scaduto per la storia. L’ace esterno a 205 segna l’ultimo spartiacque della partita, si fa premonizione dell’inevitabile, preludio e anticipazione di quel che sarà.
E quel che sarà è il terzo successo in quattro partite giocate al quinto set da Nick Kyrgios. E’ una vittoria che in tre ore e mezza sembra spazzare definitivamente la generazione di mezzo, i Dimitrov, i Raonic, i Tomic, forse anche i Nishikori, inviluppati nella prigionia del sogno, campioni del quasi, quasi campioni. E’ una vittoria che al tempo stesso evidenzia e misura quanto ancora manchi all’australiano perché il campione in potenza diventi sostanza. Kyrgios è ancora fenomeno da grandi palcoscenici, che annulla 9 match point a Gasquet a Wimbledon, che ha vinto 13 partite negli Slam e due in Coppa Davis. E’ fenomeno da accenti e presentimenti, da illuminazioni repentine e fugaci momenti di gloria, che in tutti gli altri tornei, tra 250, 500 e Masters 1000, ha vinto solo una volta, al primo turno a Toronto. Ma da oggi il futuro sembra più chiaro. Il ragazzo si farà, e non ha nemmeno le spalle strette.
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