Con la notte prossima a terminare e la mattina che avanza a passi veloci, l’eco di una non indimenticabile giornata di gennaio si è fatta più forte giusto ad un momento dalla sua fine. Forse a noi che guardiamo al tennis come a un giusto compromesso tra passione e sacralità sarà detto che ci accontentiamo facilmente, però per rivalutare qualcosa di tanto ordinario quanto fantastico basta davvero poco, come un’esperienza nata quasi per caso che apre la mente alle mille sfaccettature nascoste di una partita come tante altre, con i due protagonisti che rappresentano di tutto o quasi.
Ad affrontarsi nel primo incontro di giornata valevole per il terzo turno degli Australian Open 2015 ci sono Grigor Dimitrov e Marcos Baghdatis, non privilegiati con la passerella delle arene più importanti dedicate a Rod Laver e Margaret Court, bensì riposti nel pianerottolo dello Show Court 3, divisi tra i sempre più nutriti tifosi del bulgaro e una nutrita platea formata da personalità che man mano diventeranno sempre più fondamentali nel corso della tenzone.
A Dimitrov il suo, dunque, featuring i soliti spettatori interessati ma a chi non si sa bene; e Baghdatis? Beh, a lui sono bastati quei baldi irriducibili che hanno trasformato quel campo periferico nel più imponente stadio calcistico o palazzetto di basket del circondario, con i loro cori da ultras e i loro modi da ragazzo alla sua prima finale di Champions League.
Già un così bel contrasto, senza ancora essere arrivati al cielo azzurro di Melbourne né soprattutto al match.
L’aria che si respira è quella di tante altre battaglie combattute precedentemente su quel campo, con gli sguardi dei due giocatori che vanno a perdersi tra il caldo importante dell’Australia ad inizio anno e gli scambi che li dividono dal loro posto nella storia del torneo.
Sicuramente al 2006 ci avrà pensato il buon Marcos, anno d’oro e di platino per il cipriota, che tra curve e ostacoli riuscì a raggiungere l’atto finale degli Open australiani battendo tra gli altri gente come Roddick, Ljubicic, Stepanek e Nalbandian, il tutto a soli 3 anni dalla conquista dello stesso torneo in ambito però juniores.
Anche se possono rimanere celati agli occhi di un qualsiasi appassionato di tennis, certi collegamenti restano vivi e determinanti anche se sottopelle, perché l’Australia è sempre stata per Baghdatis sia podio che ancora di salvezza, ed il suo rapporto con la terra dei canguri non ha intenzione di incrinarsi proprio adesso.
Grigor Dimitrov, da par suo, è sia prezzo che copertina di un libro già letto prima ancora di essere stato comprato: più chiacchierato di un tronista e First Man di Mrs. Sharapova, anche se questo può essere considerata altro che una conquista, il ragazzone di Haskovo studia da privatista i trattati e le ricerche d’avanguardia di Roger Federer, adottandone spesso e volentieri cambi di gioco e stile. La strada è lunga e in salita come fosse la via per lo Zoncolan, eppure le qualità ci sono eccome per fare bene, compreso un posto da n.11 del mondo che è solo di seguito al suo ingresso in top 10 avvenuto nella passata stagione.
Con le prefazioni ormai terminate, che altrimenti si rischierebbe di osservare una Guernica senza sapere chi sia Franco, eccoci al match nella sua essenza più profonda. Per vedersi un risultato bastano pochi “clic” ben assestati, eppure una partita come questa non può rimanere solo uno “score” su qualche cellulare: i primi due set del match sono i primi due colpi di due spadaccini decisi a lottare per la vita, fatti quasi più per inerzia rispetto a come sarebbe andata nei restanti tre, con le fasi di studio che hanno la meglio ed i punti di forza che sembrano rispettivamente avere la meglio sull’avversario.
Il terzo set, quello si che è poesia: Baghdatis diventa architetto, chirurgo e anche pittore, disegnando traiettorie tanto belle da vedere quanto efficaci, contro un Dimitrov in totale balia dell’avversario, costretto a giocare più rovesci in slice rispetto a qualsiasi altro colpo a sua disposizione, per tentare di arginare quello che stava diventando un fiume in piena.
Le tante palle break conquistate, anche se non tutte trasformate, sono frutto di un gioco quasi demodé, volto a mirare, puntare e colpire il proprio avversario nel suo punto più sensibile. Ed è qui che entra in gioco, ancora una volta, il signor Baghdatis.
Baghdatis Marcos di anni 29 ha vinto quel game contro il n.11 del mondo, e per il game che è stato, tutto o quasi è nato e morto lì, come può nascere uno spavento o un’emozione.
Da lì in poi solo la scena, a tratti straziante, di un giocatore che ha la testa estremamente lucida e razionale, con un fisico che ormai fatica a rispondergli, sfiancato dal caldo e da impegni di livello così ravvicinati. Come il livescore citato poc’anzi, le parole restano inutili a confronto di una visione tanto emozionante quanto formativa: si, formativa, perché se sul tabellone c’era scritto a chiare lettere “M.Baghdatis vs. G.Dimitrov[10]”, al posto di quei nomi adesso si potrebbe leggere di tutto e di più. La sensazione più vivida è che la lucida follia abbia perso dal tennis in giacca e cravatta, quello con tanto cemento e poche finiture, e che quel pugnetto di Dimitrov sul finire dell’incontro sia stato doloroso ed emozionalmente inaccettabile anche se lecito e pulito, come la morte inaspettata di un co-protagonista di un film, caduto per salvare baracca e burattini tra rammarico e giustizia.
Se l’input di apprezzare nuovamente le gesta dei due giocatori non ha raggiunto neanche un po’ la vostra curiosità, la missione può ritenersi miseramente fallita, anche perché non c’era tanto da raccontare un incontro oggi quanto la bellezza nella scoperta di emozioni rimaste lì nascoste eppure sempre nuove e di stimolo per una sana passione sportiva.
Dimitrov potrà dunque continuare il suo cammino verso l’Olimpo del tennis, il tutto mentre Baghdatis Marcos lascia Melbourne, comunque con un sorriso stampato in faccia, e nonostante gli infortuni e le varie debacle, la speranza di rivederlo ancora una volta sul titolone della prima pagina è grande, anche se per quelli come lui non ci sono date di arrivo o di partenza ben definite.
Rubando e reinterpretando le parole dello Stregone Gandalf, interpretato in maniera eccezionale da Sir Ian McKellen nella trasposizione cinematografica del best seller “Il Signore Degli Anelli”: ”Un Baghdatis non è mai in ritardo, né in anticipo. Arriva precisamente quando intende farlo.”