(Max Dell’Acqua, a sinistra, con Potito Starace)
di Luca Fiorino
Spesso nel tennis il talento non è garanzia di successo. Una naturale predilezione per i campi veloci, uno stile di gioco aggressivo e divertente, ma soprattutto un servizio micidiale, non sono stati sufficienti a Massimo Dell’Acqua per consacrarsi nell’élite del tennis mondiale. Il suo nome viene spesso associato all’impresa sfiorata nel 2004 al Foro Italico contro Nicolas Massu, vincitore della medaglia d’oro alle Olimpiadi di Atene e semifinalista l’anno dopo al Roland Garros. Tra piani futuri e ricordi del passato, il maestro comasco, a breve tecnico nazionale, si è raccontato a Spazio Tennis. L’ex numero 148 del ranking mondiale oggi lavora nel team dell’Arezzo Tennis Academy, progetto ambizioso in cui crede fortemente e al quale, da quest’anno, ha deciso di parteciparvi.
Partiamo dal presente: Da quest’anno ti occupi di un progetto, l’Arezzo Tennis Accademy. Ci spieghi di cosa si tratta?
L’anno scorso ad Arezzo è nato un progetto dal nome Arezzo Tennis Academy, realizzato da due persone molto qualificate come Lorenzo Salvini e Nicola Valenti. Il primo è stato un buon giocatore, ha frequentato per tre anni la Van der Meer Tennis University negli Stati Uniti ed è cresciuto nel Team Piatti, accumulando un’esperienza tennistica notevole. Il secondo ha portato avanti molto bene insieme ad Umberto Rianna il progetto Blue Team. Quest’anno, colpito dall’entusiasmo e dalle prospettive attorno a tale progetto, mi sono inserito anche io. Il team nel quale lavoro oggi è composto dalle due persone sopra menzionate e dal preparatore atletico Marco Vannutelli. L’obiettivo principale è quello di far crescere un nuovo movimento in una nuova struttura che nasce nel Junior Tennis Club di Arezzo. La struttura è composta da due campi nuovi “PlayIt”, due di ultima generazione in terra battuta sintetica, più altri tre campi in terra battuta classica e in aggiunta, da Giugno, sarà messa a disposizione una palestra di 120 mq. Inoltre i campi dispongono di una copertura con palloni per l’inverno, garantendo l’attività anche in caso di avverse condizioni atmosferiche. E’ un investimento importante quello fatto dall’attuale proprietario del circolo, Lorenzo Salvini, è lui infatti il primo a credere fermamente nel progetto. Grazie a queste condizioni disponiamo di un grande potenziale di lavoro potendo agire senza particolari limiti, uniti dalla nostra grande passione, l’amore verso questo sport. La struttura è pronta ad accogliere i ragazzi che vogliono avvicinarsi al professionismo, assistendoli quindi nel passaggio dal Mini Tennis a quello agonistico.
Hai dichiarato a fine carriera di esser stanco di viaggiare e di avere pochi stimoli. Ora che rivesti un nuovo ruolo, quello di allenatore, saresti disposto a seguire qualcuno a tempo pieno?
Sicuramente ora le cose sono cambiate. Sono trascorsi quattro anni dal mio ritiro agonistico e quindi un po’ di stanchezza maturata nel corso della carriera è passata. Al momento confesso che non è ancora mia intenzione avere quel tipo di impegno. E’ vero che qui ad Arezzo ci sono ragazzi che vogliono provare a dilettarsi in qualche torneo ITF, per cui qualche volta certamente andrò con loro, ma seguire assiduamente una sola persona e fare l’allenatore a 360 gradi non è ancora nei miei piani. D’altronde ho appena intrapreso questo nuovo progetto e voglio dedicarmi totalmente ad esso e alla mia famiglia. Queste sono le mie priorità ed è su queste che voglio spendere le mie energie. Avendo poi un passato da tennista e conoscendo quel tipo di vita so per certo che non è semplice stare sempre e costantemente con una valigia in mano…
La figura del coach: credi che oggi l’aspetto mentale sia più curato rispetto al passato? Come giudichi gli allenatori in Italia?
Il coach odierno deve essere completo. L’aspetto mentale oggi è davvero importante perché ci sono molteplici situazioni dall’esterno più difficili da gestire rispetto al passato. Un esempio è la famiglia che è spesso molto presente nel percorso di formazione dei ragazzi mentre prima lo era decisamente meno. Sul piano mentale occorre dunque essere molto ben preparati per scegliere poi la soluzione migliore. Inoltre gli allenamenti si sono evoluti, perché la stessa tecnologia è andata avanti. Io rimango comunque scettico su questi nuovi mezzi poiché credo che un giocatore ,con o senza macchinari e test di vario tipo, se ha le potenzialità e la testa sfonda in ogni caso. Riguardo gli allenatori in Italia penso che ve ne siano di ottimi. Posso fare qualche nome come Sartori, Piatti, Rianna,Infantino e Caperchi, ma ripeto ce ne sono davvero tanti. Esistono anche tante persone che magari non si vedono ma che lavorano molto bene. In generale sono del parere che la preparazione e la passione in Italia non manchino di certo. Per non parlare poi degli ex giocatori come me che hanno tanta voglia di imparare e di crescere. Gli strumenti ci sono, molto probabilmente manca un nostro metodo che possa risultare vincente. Un qualcosa che ci differenzi rispetto gli altri paesi e che ci dia un’etichetta. Il giocatore italiano ritengo possa essere definito come un mix di varie scuole. Il fatto che comunque in Italia ci sia questa promozione volta a promuovere il tennis su campi veloci ,incentivando i circoli, penso possa essere un ottimo inizio per ottenere una maggiore varietà di tennisti in grado di poter competere su più superfici.
Hai seguito in passato Nastassja Burnett. Come giudichi il periodo in cui hai lavorato con lei?
Molto positivo, è stata una bellissima esperienza. Quando iniziai a lavorare con lei, Nastassja veniva da un momento difficile. A causa di un infortunio era infatti scivolata oltre la 800esima posizione mondiale. Abbiamo collaborato per circa nove mesi poi abbiamo interrotto questo rapporto per motivi suoi familiari, ha preferito infatti tornare a Roma, a casa sua. Qualche giorno dopo il trasferimento, ottenne il suo primo titolo ad un torneo ITF ed infilò un filotto incredibile di vittorie tanto da farle guadagnare tantissime posizioni in classifica. Questo mi ha reso felice, in quanto ero contento per lei ma allo stesso tempo mi sentivo gratificato del lavoro di recupero svolto con Nastassja in quei mesi. Ancora oggi ci sentiamo, tra di noi c’è una profonda stima reciproca.
Il tuo gioco era molto aggressivo, basato su pochi scambi. Eri e saresti un tennista atipico rispetto al classico prototipo di tennista italiano. Credi che il tuo tennis al giorno d’oggi possa essere più efficace?
Credo che incontrerei più difficoltà perché il gioco si è rallentato, complici anche le superfici più lente, le palle più pesanti e le racchette che permettono di recuperare palle che prima erano quasi impossibili da rimettere in gioco. Basti vedere le nuove leve che scambiano fondamentalmente da fondo campo. Il tennis si è evoluto molto più sul laterale che non in avanzamento e di conseguenza i tennisti sono diventati molto bravi a difendersi. Vedo che comunque si sta perdendo quell’attitudine che avevo io di guadagnarsi il campo, forse perché prendono come esempi tennisti che giocano molto, forse troppo da dietro. Questo non va bene perché ne viene meno lo spettacolo, non si può essere sempre passivi e aspettare l’errore dell’avversario, il punto va anche conquistato. Ad oggi, durante il corso di tutta la stagione penso che faticherei molto di più ma in altre circostanze potrei sfruttare l’effetto sorpresa, visto e considerato che si aggredisce poco l’avversario e non si è abituati a tirare troppi passanti. Quando giocavo io mi limitavo a 3-4 scambi, ma ripeto, questo modo di interpretare il tennis mi sfavorirebbe e oggi molto probabilmente non pagherebbe.
Il servizio è stato la tua arma in più. Come mai questo colpo è un pochino tralasciato da tanti tennisti italiani?
Vero, è un problema che noto anche tra i giovani. Trovano poche soluzioni col servizio ed è un discorso credo legato all’abitudine. Mi spiego meglio: si punta molto alla solidità da fondo campo tralasciando il servizio, né dunque lo si perfeziona né di conseguenza i ragazzi sanno come variarlo (piatto o in kick) a seconda delle superfici e degli avversari che incontrano. Quand’ero piccolo sono cresciuto guardando Edberg e Becker, tennisti che avevano nel servizio un’arma micidiale e sapevano valorizzare questo colpo al meglio. Oggi non è che non ci siano grandi servitori, anzi, ma certamente sono meno rispetto al passato. Le strutture stesse dove vengono formati i ragazzi danno più importanza ai fondamentali come il dritto e il rovescio facendo passare in secondo piano il servizio. E’ importante per un giovane che approccia al tennis fargli acquisire quanto meno il movimento ideale, poi la sua evoluzione dipenderà ovviamente dalle capacità sia tecniche che fisiche. Un ragazzo a 10 anni è più portato ad allenare gli altri colpi perché difficilmente ha un servizio potente, per cui allenando costantemente il dritto e il rovescio porterà a casa più risultati ma sarà poi penalizzato quando crescerà perché non favorirà il proprio sviluppo a lungo termine.
Torniamo indietro nel tempo: dell’epica partita contro il cileno Nicolas Massu, persa in tre set combattuti, cosa ti porti ancora con te?
Il tempo, soprattutto dopo 10 anni, cancella tante cose. Ad essere sincero non riesco a rivivere le emozioni di quei momenti. Pensando a mente fredda penso alla bella esperienza, avevo l’opportunità di giocare a Roma e ci ero riuscito dopo aver vinto due turni di qualificazioni non facili contro Hanescu e Koubek. Il mio tennis però è sempre stato poco costante e molto altalenante. Non essendo poi abituato a certi palcoscenici fare un passo falso non sarebbe stato così difficile. Poi rifletti e pensi che se fossi stato al tempo più maturo e conscio dei miei mezzi molto probabilmente quella partita sarei riuscito a portarmela a casa. Inoltre ricordo come il tabellone fosse anche abbastanza favorevole, avessi vinto col cileno avrei giocato un secondo turno abbordabile contro Labadze (battuto l’anno prima al Challenger di San Marino) ed un eventuale terzo turno con un Safin non al meglio, insomma c’erano tutti i presupposti per far bene ma purtroppo andò diversamente. Chiamiamola pure occasione mancata, ma non ci fu solo quella. Un mio grande rimpianto riguarda il fatto di non essermi mai qualificato per una prova del Grande Slam, soprattutto a Wimbledon. La stessa sconfitta contro Ivan Ljubicic in tre set a Dubai, fu un match in cui anche lì volendo poteva girare diversamente ma purtroppo persi. Il tennis offre spesso delle opportunità per dare una svolta alla propria carriera, bisogna essere poi bravi e maturi a coglierle.
Cosa ti è mancato dunque per il definitivo salto di qualità?
Dal punto di vista tecnico credo di non aver nulla da rimproverarmi. Le colpe se non sono riuscito a sfondare sono solamente mie, è inutile addossare responsabilità ad altre persone o alla federazione. Non sono mai stato maturo per questo sport. Di fronte a certe difficoltà bisogna essere molto attenti e fermi nelle proprie decisioni e io credo di non esserlo stato in più frangenti. Quindi le cause del mancato salto di qualità sono da imputare in primis a me stesso, un po’ per pigrizia mia e un po’ per mancanza di altre prerogative, tipo quelle mentali e volitive. La mia immaturità mi ha portato anche a fare una programmazione sbagliata, sceglievo i tornei in base a dove volevo andare, senza tener conto della superficie e di tanti altri aspetti. Girare per il mondo comporta grossi sacrifici che io non ero francamente disposto a fare. Ho sempre avuto una grande passione per questo sport ma allo stesso tempo avevo delle priorità e non volevo né potevo vivere di solo tennis.
In passato hai affrontato e battuto un giovanissimo Andy Murray e anche Jo-Wilfried Tsonga. Avresti mai pensato all’epoca che potessero ricoprire queste posizioni in classifica?
A dire il vero no, non credevo fossero in grado di raggiungere posizioni così alte in classifica. Uno che giocava davvero molto bene era Joachim Johansson, quando colpiva la palla sentivo che effettivamente c’era qualcosa di diverso in lui. Lo stesso Tsonga col servizio variava molto e mi metteva in difficoltà col suo dritto, rallentava e poi lasciava andare il braccio in maniera improvvisa ma da qui a dire che sia lui che Murray potessero spingersi sino alle posizioni che ricoprono tuttora , direi proprio di no. Vero anche che era giovani ma tutta questa differenza sinceramente non la sentivo, difficilmente mi sentivo sovrastato da qualcuno, almeno al livello in cui ho giocato.
Un’ultima domanda legata ai nuovi talenti emergenti. Chi ti sta impressionando di più?
Al momento i nomi più in evidenza sono Kyrgios, Kokkinakis, Coric e Zverev. Sono i classici giocatori che spingono la palla senza paura e che a me piacciono. Soprattutto i primi due sono tennisti divertenti, dotati di un tennis aggressivo, dal servizio molto potente che consente loro di comandare il gioco. Finalmente vediamo una nuova generazione di tennisti che si cerca il punto, creando i presupposti giusti senza essere troppo remissivi da fondo campo. Spero proprio che i ragazzini possano prendere esempio da loro all’insegna di un tennis meno passivo e più attivo. Pare proprio che il tennis stia evolvendo, vedremo giocatori meno di rimessa ma molto più solidi e aggressivi nelle loro scelte di gioco. Credo proprio che l’Australia nei prossimi anni non se la passerà poi tanto male!
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