Mannarino, talento “minore”?


(Adrian Mannarino)
di Sergio Pastena
C’è poco da dire: quelli che stabiliscono l’Order of Play agli Australian Open mi fanno incazzare, e anche parecchio. Ma come, dico io, già all’inizio i match interessanti si contano sulle dita di una mano, ne capitano due lo stesso giorno e tu, ameno organizzatore, li piazzi entrambi come secondi match? A meno che prima di loro non giochino Mahut e Isner le due partite finiranno col sovrapporsi, è inevitabile. Tradotto: dopo aver superato lo shock per la visione del tie-break di Roddick-Kunitsyn e aver visto Kohlschreiber (live), Fish e Florian Mayer (sul livescore) superati in quattro set rispettivamente da Berdych, Robredo e Nishikori… dopo tutto questo devo anche scegliere se vedere Tipsarevic-Verdasco o Mannarino-Gasquet? Non le merito entrambe forse? Non ho già sofferto abbastanza? Questo è sadismo puro, specie considerando che tra i match del gran finale di giornata spicca un aberrante Gil-Monfils, cocktail che consiglio di assumere solo in caso di stitichezza.
A nulla vale recriminare, però, e quindi scelgo: diversamente da quanto avrebbero fatto molti opto per Gasquet-Mannarino. Il confronto è curioso, a ben guardare, e il contrasto tra i due non potrebbe essere più stridente. Gasquet è il Predestinato del tennis francese, riviste e addetti ai lavori lo pronosticano da sempre come potenziale “quinto moschettiere”. Ha il rovescio a una mano, perfetto esteticamente, il fisico fragile ma una classe infinita, peraltro inversamente proporzionale alla sua tenuta mentale. Classe 1986, a 24 anni comincia a mostrare una certa stempiatura ben mascherata da fluenti capelli ricci. Mannarino, invece, fa parte del club di quelli che “Sì, è bravino, giochicchia bene”. Mancino, rovescio bimane, è costretto a svangarsela tra Futures e Challenger mentre il suo altolocato collega a 16 anni è già un habitué del circuito maggiore, al quale arriva giocando pochi tornei di secondo piano grazie ad un tappeto rosso di wild card steso in suo ossequio dagli organizzatori di mezzo mondo. Classe 1988, a 22 anni ha già i primi accenni di stempiatura mascherati meno bene da capelli ricci, ma meno ricci di quelli di Gasquet. Insomma, non c’è partita, persino nei cognomi: Gasquet significa “Originario della Guascogna” e comunemente il guascone è una persona brillante e sicura di sè (n.b. il prossimo che mi dice omen nomen gli rompo tre costole). Mannarino? Due le ipotesi: una derivazione di un cognome tedesco, forse barbaro, o tuttalpiù da mannarius, che vuol dire “mestolo di rame”. Roba povera, semplice.
Considerando che ha vinto Gasquet in tre set, sarebbe il giorno giusto per parlare di lui e aggiungersi alla schiera dei celebratori della sua classe e del suo rovescio. Subito dopo potrei fare coro con tutti quelli che maledicono la fragilità psico-fisica che lo ha sempre segnato e limitato, ma cosa direi di nuovo? Probabilmente nulla. Invece voglio parlare del brutto anatroccolo, di Adrian Mannarino. Avevo deciso di fare un pezzo su di lui dopo averlo visto ad Auckland sbarazzarsi di Monaco facendolo ammattire, superare Clement e cedere più che dignitosamente ad Almagro, uno che certo non ha la mano quadra. Ho aspettato il match con Gasquet ripromettendomi di scrivere l’articolo qualunque fosse stato l’esito: mantengo.
Per inciso, sono fortemente convinto che oggi Mannarino sia andato ad un passo dalla vittoria senza saperlo, nonostante il 6-3 7-6 6-4 finale. L’inerzia era simile a quella di tanti match di Gasquet: nel primo set il buon Richard è stato letteralmente ingiocabile a fronte di un avversario contratto, ha portato a casa anche il secondo con Mannarino che ha sofferto le pene dell’inferno per arrivare a un tie-break perso senza storia, quindi nel terzo Gasquet si è portato avanti subito di un break: 6-3 7-6 3-0. A quel punto l’ex enfant prodige ha cominciato a dare chiari segnali della Gasquettite da cui è affetto. Sintomi immediatamente identificabili e riassumibili in tre punti:
1) Drastica diminuzione delle prime (dal 75% al 50% circa)
2) Punti buttati via inutilmente (tre palle corte orribili)
3) Andatura ciondolante stile “Pippo al risveglio”

Ecco, a quel punto l’avversario non lo sa (e neanche Pippo) ma il trionfo è vicino, quasi già scritto. Persino la grafica tv con funesto presagio recitava GAS-MAN: mancava una S, ok, ma il melodramma comunque era nell’aria. Arrivati a quel punto basta vincere il set e per vincerlo non è necessario strafare, tanto l’errore di Gasquet prima o poi arriva (ormai sono giunto alla conclusione che lasciarlo arrivare a un passo dalla vittoria e aspettare che si batta da solo sia una strategia valida). Una sola cosa non si deve fare, ovvero risvegliare il campione che si è andato a eclissare sfidandolo sul suo terreno. Esattamente quello che ha fatto Mannarino, scendendo a rete quattro volte sul suo rovescio e ricevendo in risposta quattro prove dell’esistenza di Dio. Eppure… eppure si era arrampicato fino al 4-5 e ha mancato due palle per il 5-5 in un game oggettivamente sfigato (due overrules a favore di Gasquet) ma anche gestito male (due filippiche infantili per altrettante chiamate fuori). Insomma, un mezzo disastro non solo a livello di prestazione, ma anche tattico. In compenso grazie a lui ho fatto in tempo a vedere Tipsarevic buttare via un incontro vinto (tre match point annullati) per poi cedere di schianto al quinto contro Verdasco, che a livello di combattività non è che sia come Hewitt.
Ma torniamo a noi. Per quali motivi guardare Mannarino? I suoi estimatori ad inizio carriera (pochini) lo descrivevano come un “mini Rios” esagerando, ma qualcosa del cileno possiamo trovarla in lui. Ad esempio la sensibilità del polso: dal lato del diritto al posto della mano ha un compasso. Tutti son buoni a tirare botte incrociate, ma provate a tirare un inside-out in posizione decentrata: lì hai un angolo di pochissimi gradi a disposizione e se sbagli ti accomodi in corridoio. Lì ci vuole il compasso. Ecco, in “versione ON” Mannarino becca le righe o giù di lì, e quando si accontenta di tirare centrale i suoi colpi hanno una profondità notevole. Il rovescio è pulito, sia classico che in back, a rete il suo livello è buono (salvo che non vada a sfidare Gasquet sul rovescio), il gioco di piedi è efficace. A parlarne così sembra quasi che sia Federer, me ne rendo conto, ma abbiamo detto solo i pro: per intenderci, Mannarino ha una buona tecnica ma non ha le stimmate del numero uno.
Quali sono i contro? La struttura fisica, per quanto migliore di quella di Rios, non è a livello di quella dei top players, che gli danno la paga a livello di centimetri (di poco) e di muscoli (di molto). Tuttavia, per quelle che sono le sue caratteristiche di gioco, Mannarino non può spostare troppo la lancetta della bilancia: da ciò ne consegue che la sua palla è leggerina, specie sul lato del rovescio, che infatti gioca molto spesso in back e più raramente attacca “al salto”. Lo stesso discorso, ovviamente, vale per il servizio: la prima è tutto sommato solida e, anche se mette pochi aces, riesce a tenere buone percentuali perché è in grado di variarla (lo slice è tutt’altro che disprezzabile). La seconda, però, risulta davvero troppo leggera e attaccabile ad alti livelli: un kick centrale non basta se tiri una mozzarella. Tanto per fare un esempio, nel corso della partita con Gasquet le prime di servizio dei due giocatori avevano una velocità simile mentre sulla seconda la palla di Mannarino, viaggiava in media tra i 15 e i 20 km/h in meno rispetto aquella dell’avversario.
Eppure, che volete, questo francese “sfigato” a me piace, anche più di Gasquet. Se non altro lavora per alzare il suo livello e sfruttare al meglio il suo talento, mentre frère Richard da troppo tempo si limita a dilapidare sistematicamente quanto Madre Natura gli ha generosamente concesso, al punto che a soli 24 anni in tanti lo considerano uno con un brillante avvenire dietro le spalle. Purtroppo le cose vanno così e resta una domanda: se chi ha il pane non ha i denti e chi ha i denti non ha il pane… chi salverà il tennis dall’avvento degli Isner e dei Cilic?

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