di Luca Fiorino (@LucaFiorino24) e Alessandro Nizegorodcew
La felicità è sempre sul gradino più alto di quello su cui ti sei fermato pensando di averla raggiunta. Luca Vanni è stato lì, ad un passo dal sogno più grande: entrare stabilmente tra i primi 100 al mondo sfiorando la doppia cifra. Nessun torneo giovanile, un’esplosione tardiva ed una storia unica, tutta da raccontare. Una rincorsa verso la top 100 iniziata anni e anni fa alla guida di una Fiat Bravo e in giro per tornei di caratura minore fino a quell’esplosione tanto sorprendente quanto insperata. Una consapevolezza maturata attraverso il lavoro ed il sacrificio, vittoria dopo vittoria, torneo dopo torneo, mettendosi alle spalle infortuni di vario tipo che avrebbero tagliato le gambe a tanti, meno che a lui. In occasione del “Trofeo Città di Brescia”, torneo challenger in cui il tennista aretino ha raggiunto la semifinale, ci siamo concessi una piacevole chiacchierata davanti ad un caffé per analizzare la stagione ormai quasi conclusa e per capire quali siano gli obiettivi in vista dell’anno venturo. Questo e molte altre curiosità nell’intervista realizzata da Luca Fiorino ed il direttore Alessandro Nizegorodcew.
La sensazione è che in questi ultimi tornei ci sia una consapevolezza diversa. Sotto questo livello medio-alto sembra proprio che tu non scenda ora.
Appena tornato dalla trasferta asiatica ho giocato Mons e Rennes ma francamente con la testa non ci stavo proprio. Iniziava la Serie A, se mi fossi tolto dai tornei non l’avrei potuta giocare. Da ormai più di un mese sto esprimendo un buon tennis e sono consapevole di ciò che posso fare. A livello di concentrazione in campo mi sento bene, non penso più di tanto all’avversario che ho davanti e sono più sicuro di me stesso. Ho imparato a non sottovalutare mai qualsiasi partita o avversario.
Tornando indietro nel tempo, anche a due anni fa, avresti mai immaginato di giocare così bene anche indoor? È scattato qualcosa a livello mentale? Tra l’altro oggi rispondi decisamente meglio…
Devo ammettere che a parte Brescia dove le condizioni sono molto veloci, altri tornei come Mons o Rennes si sono rivelati piuttosto lenti, paragonabili alla terra. D’accordo con Fabio Gorietti, visto che dovevo giocare la Serie A e non potevo muovermi dall’Europa, abbiamo deciso di optare per questo tipo di programmazione evitando di fare trasferte in Asia. Fabio mi ha visto stanco fisicamente e scarico mentalmente, ma questo non era un buon motivo per rassegnarmi a quel che sarebbe arrivato, questo non mi piace, non mi è mai andato giù. Al contrario ho deciso di aumentare il livello di attenzione e di gioco, per dimostrare a me stesso che posso fare qualcosa di buono anche su questa superficie.
Cosa pensi ti sia mancato per rimanere al livello del best ranking (num 100 al mondo) raggiunto a maggio? Hai qualche rammarico?
Quello che mi è mancato quest’anno è stato riportare in campo ogni settimana la stessa motivazione di vincere. È una cosa a cui non pensi, direi un qualcosa che accade a livello inconscio, difficile da spiegare. Non so dirti quanti tornei abbia giocato in stagione ma so solo di aver disputato almeno 10 tornei al 50% della condizione fisica, e parlo prettamente di dolori. Mi recrimino parte della stagione in Cina, dove tolto un torneo, ho avuto sempre un male lancinante alla schiena. Avrei potuto fare più punti, ma non potevo fare miracoli in quelle condizioni. L’ideale per il prossimo anno sarebbe portare fisso dietro un fisioterapista e un osteopata ma tutto dipenderà dai risultati.
Quali sono gli obiettivi per la prossima stagione? Quali saranno i primi tornei del prossimo anno?
L’obiettivo è entrare tra i 90 e i 100, poi magari andare a gradini. Uno rispecchia la classifica che ha, non è detto che se vinci lo scontro diretto con un 50 del mondo allora di conseguenza vali quel ranking. Devi giocare bene e in maniera continua per 12 mesi l’anno, non è affatto facile. Giocherò Chennai e può darsi Doha, di cui conosco già i campi. Chennai è un pelino più veloce, probabilmente andrò lì ma dipenderà anche dalla lista. Poi sarò in Sudamerica a giocare sulla terra.
Ci racconti qual è stato l’impatto coi tornei dello Slam o i vari Masters 1000?
Dicevano riguardo la mia programmazione d’inizio anno di essere impostata su un livello troppo alto. Alla fine da Chennai al primo challenger di Surbiton a giugno ho giocato solo Atp facendo quasi 300 punti. Non sono molti eventi ma comunque ho giocato i tornei top. Era un rischio ed una scommessa ponderata e voluta. L’ambiente è diverso ed è tutto molto più organizzato. Dove girano i soldi è sempre più bello, no? Giocare grandi tornei non mi ha fatto però avvertire emozioni di chissà che tipo. Avevo dei ricordi di quando ho visto a Madrid Gimeno contro Roddick, o di quando sul vecchio centrale di Roma giocavano Sampras ed Edberg col sogno di poterci giocare anche io un giorno. Quando sto dentro al campo non ho mai provato palpitazioni particolari. Ciò è positivo, sono riuscito ad estraniarmi dalle cose futili tipo transportation col Porsche Cayenne, stadio colmo, cibo a volontà e quant’altro. Quello che conta è il campo da tennis, con le righe e tutto il resto. Magari quando giocherò sul centrale di Wimbledon sarà diverso, e pensare che quando Ferrer si ritirò un’ora dopo usciti gli orari, se si fosse ritirato prima, Kohlschreiber sarebbe scalato come testa di serie e io avrei giocato contro Djokovic sul centrale…
Rimanendo in tema Atp: sei favorevole ai soli due turni di qualificazione?
È buono per i giocatori di fascia dal 100 al 180 perché si evita magari il doppista, o il senza punti della situazione che non conosci. Ti evita un turno di qualificazione e, a quanto ho capito, nell’ultimo turno di quali prendi il 55% in meno di quello che gioca il primo turno di main draw. Questo almeno so che è stato proposto. Sono favorevole comunque, almeno così sai con la preliminary list chi va e non va e ti fai un’idea sul campo partecipanti.
Quale match dell’anno ricordi con più piacere? Com’è stata la stagione su erba?
Con Youzhny ad Eckental ho giocato il miglior match della mia vita, sicuro uno dei best 5. Ho avuto l’occasione per portarla a casa ma gran meriti vanno a lui per come si è difeso. Ho solo il rimpianto di essere stato 6-3 3-0 con due palle per il doppio break. Anche a fine partita sono stato molto aggressivo, scendendo a rete ed innalzando il livello di gioco ma è andata come andata. Ho debuttato sull’erba a Surbiton con il cortisone nelle orecchie, se prendo freddo mi si tappano e non posso volare. Dovevo partire il venerdì e sono arrivato la domenica, un freddo allucinante e di conseguenza non ho potuto dare il meglio. Con Ward pure a Wimbledon non stavo bene, fosse stato un challenger non avrei giocato, ma Wimbledon è Wimbledon. L’erba più che le articolazioni, ti massacra a livello muscolare, direi che è stata una grande esperienza.
Thomas Fabbiano arriverà nei 100 a breve pure lui? Ho visto qualche partita in cui esprimeva un livello pazzesco.
Da quando siamo partiti per la Cina, non so quanti punti abbia fatto ma ne ha raccolti molti dove ha lottato e mostrato continuità. Thomas ha dei picchi di gioco impressionanti, poi gli capita, come nel match che giocò contro di me al Roland Garros quest’anno, di sbagliare una palla ed uscire un po’ dal match. Al momento è arrivato dov’è per quella fase di continuità che ha avuto negli ultimi tempi. I picchi alti ci sono e ci saranno sempre, ma quando hai un down devi cercare di uscirne fuori subito. Ci ha lavorato molto e si sono visti i risultati, può stare in quella posizione perché ne ha le qualità e ha battuto diversi top 100 in carriera. Certo per stare lì bisogna ottenere oltre 550 punti, non è affatto semplice in realtà. Sono 140 punti tra la posizione numero 110 e 150, spesso dicono sono lì vicino, in realtà sono due vittorie challenger di differenza, mica poco.
Sei un ragazzo dal cuore d’oro. Come ti spieghi però tanto affetto dalla gente?
Leggo campione di là, campione di qua, ma dove? Per un primo turno vinto di un challenger? Ogni volta che vinco un match ricevo un sacco di messaggi Whatsapp e cerco sempre di rispondere a tutti. È come se in un certo senso mi immedesimassi in loro e ripercorra anni e anni in cui cercavo di muovere i miei primi passi nel tennis. Quand’ero più piccolo ricordo con piacere Starace, una grande persona prima che un grande tennista. Mi sarebbe piaciuto essere come lui per la semplicità del ragazzo che è e per quello che ha dato alle persone. È stato un vero e proprio punto di riferimento. “Starace mi ha risposto“. Ecco, questa è la sensazione che provo quando leggo e rispondo ai vari messaggi. Poto mi ha sempre considerato e non perché fossi chissà chi, ma perché ha un cuore enorme. Per cui se io sto bene mi piace far star bene anche gli altri, non mi costa nulla ringraziare, anzi. Ricordo anche un’esibizione con Paolo Lorenzi e pensavo a quanto fosse bravo, magari un giorno diventerò come lui mi dicevo. Io ora sono dall’altra parte e ho un grande piacere a stare coi bambini e scambiare con loro, perché in fondo mi rivedo in loro e so quanta soddisfazione può dare anche il gesto più semplice.
E poi i doverosi ringraziamenti…
Il giocatore da solo non può fare niente se non ha accanto delle persone speciali. Ringrazio la Tennis Training, la mia famiglia, ma soprattutto la mia ragazza. A volte lo dicono per battuta ma è proprio vero: dietro ad un grande uomo c’è una grande donna. Non far pesare determinate situazioni è importante, capire magari che vado in Francia per noi e che non lo farò fino a 60 anni ma per altri 4-5 anni, si spera (ride,ndr), mi fa star bene. Siamo insieme da quasi 7 anni, il 10 gennaio è il nostro anniversario e non ci sono quasi mai, ma lei, nonostante tutto, mi sopporta e supporta in tutto quel che faccio. È una compagnia straordinaria e se oggi sono arrivato dove sono gran parte del merito è anche suo…
“Se hai un sogno, lo devi proteggere” recitava Will Smith in un famoso film. Un sogno da custodire e inseguire tralasciando numeri, chiacchiere e soldi perché in fondo il suo segreto è semplice: è veramente ricco soltanto colui che possiede il cuore di una persona amata.
E in questo, ancora una volta, Lucone ha solo che da insegnare.
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