di Sergio Pastena
Ci sono situazioni che nella vita mettono estremamente a disagio, nelle quali non vorresti mai trovarti. A mio avviso un esempio chiaro di tutto ció é la conferenza stampa che ha dovuto sostenere Rafael Nadal prima della finale contro David Ferrer.
Il suo avversario, infatti, davanti ai microfoni ha avuto vita facile: si é limitato a dire di essere felicissimo per la finale, di essere intenzionato a vendere cara la pelle ma di non considerarla “l’occasione della vita”. Facile e giusto: quando giochi contro Nadal in finale sulla terra non é mai “un’occasione”, perché sul rosso lui é il piú forte.
Mettetevi, invece, nei panni del povero Rafa. Se avesse voluto descrivere la realtá per com’era avrebbe dovuto dire qualcosa come: “La mia finale l’ho giá giocata e l’ho vinta, contro Djokovic. David é un tennista molto forte ma sulla terra contro di me, specialmente tre set su cinque, ha pochissime possibilitá”. Ma immaginate se avesse detto una cosa del genere: l’avrebbero crocifisso.
L’alternativa, ovviamente, era la diplomazia e la sagra delle banalitá: “David é sempre temibile, finora non ha perso un set, sará una finale difficile…” e bla bla bla. E altrettanto ovviamente qualche critica é arrivata, perché una finale sulla terra contro Ferrer, per uno come lui, é ben piú di un’occasione, tant’é che il maiorchino ha vinto in scioltezza in tre set breakkando l’avversario cinque volte nei primi otto turni di servizio e lasciandogli appena otto games totali. Prevedibile.
Cosa resta di questo Roland Garros?
– Senza dubbio una semifinale memorabile tra Rafa e Djokovic, ma ormai quando i due si incontrano in uno Slam l’aggettivo “memorabile” puoi prepararlo da prima.
– Una grande impresa di Ferrer, arrivato a 31 anni suonati alla prima finale Slam della carriera.
– Rimpianti forse eccessivi per uno Tsonga che sulla terra é obiettivamente piú debole dell’uomo di Javea.
– Delusione forse eccessiva per un Federer che all’apparenza, dopo un 2012 storico, puó mirare soltanto a un canto del cigno.
– Applausi a scena aperta per il sempre piú sorprendente Tommy Haas, che meriterebbe davvero un ritorno tra i Top Ten.
Ah, giá, quasi dimenticavo: resta una sensazione. La sensazione che, per vedere un ricambio ai vertici, il rischio é di dover aspettare che i vari Djokovic, Nadal e Murray vengano battuti da un’avversario che, alla fine, ha la meglio sempre su tutti. L’etá.
Ce la fará qualcuno, tra le nuove leve, a portare una ventata di freschezza in un tennis che, se escludiamo l’impresa di Del Potro agli Us Open e il primo sospirato trionfo di Murray, vede trionfare gli stessi tre tennisti dal gennaio del 2005 (Safin, Australian Open)? Otto anni e mezzo sono tanti, due terzi di una carriera da pro: non ce ne vogliano i tifosi (di Nadal, di Djokovic, di Federer, di chiunque) se ogni tanto lo sbadiglio scappa…
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