di Daniele Sforza
Abbiamo intervistato l’esperto doppista Jaroslav Levinsky, classe 1981, ex top 25 del ranking di doppio. In carriera ha conquistato 5 titoli Atp 250 a cui si aggiungono 10 finali. Il tennista ceco ha cominciato ad allenare diversi giocatori e giocatrici nel circuito Atp-Wta. In questo momento segue la giovanissima Olga Fridman, ucraina classe ’98, tra le maggiori promesse del panorama internazionale.
Come hai iniziato a giocare a tennis?
“Inizialmente giocavo a tennis solamente durante l’estate, in quanto praticavo hockey su ghiaccio. Ero abbastanza bravo in entrambi gli sport, ma sapevo che prima o poi avrei dovuto scegliere. All’età di 13 anni ho optato per il tennis, spostandomi al centro tecnico nazionale della Repubblica Ceca. Non è stato semplice perché ero senza i miei genitori ma, tornando indietro nel tempo, è stata un’ottima esperienza per la mia crescita personale, sono diventato indipendente e ho cominciato a dovermi prendere cura di me stesso (responsabilità, riuscire a gestire il denaro, essere in orario, ecc)”.
Hai giocato in un lungo periodo di tempo (1999-2013), pensi che durante questi anni il tennis sia cambiato?
“Il tennis è cambiato totalmente negli ultimi 10 anni. Se prima c’erano giocatori nella top 100 con talento, ma senza essere pronti dal punto di vista fisico, ora senza essere un ottimo atleta hai davvero poche possibilità di entrare nel gotha. Si sta inoltre tornando a uno stile di gioco aggressivo, si possono vedere giocatori andare a rete e anche i top 4 stanno lavorando per migliorare nelle volée, questo perché quando i giocatori sono tutti pronti dal punto di vista atletico è davvero difficile chiudere il punto da fondocampo. I giocatori lavorano sul gioco a rete in modo da risparmiare quei 10 colpi in più nello scambio e chiudere il punto con una volèe”.
Hai iniziato la carriera giocando sia il singolo che il doppio, poi hai deciso di dedicarti completamente al doppio, perché hai preso questa decisione?
“Ho iniziato giocando singolo e doppio soprattutto per motivi economici. A 19 anni quando non ho avuto supporti finanziari dalla federazione e non ho trovato uno sponsor, ho dovuto giocare ogni torneo sia in singolo che in doppio, con quest’ultimo che la maggior parte delle volte mi pagava le spese dell’hotel e di altro. Giocando ogni settimana il doppio, il mio ranking è salito e raggiungendo finali a volte ero costretto a non giocare le qualificazioni del singolare e per questo ho cominciato a perdere posizioni, così sono arrivato ad un bivio: giocare entrambi al 50% o dedicarmi completamente a una disciplina? Ho scelto il doppio, anche perché essendo cresciuto come un giocatore di hockey, giocare in un team era qualcosa che avevo già provato. Amo parlare con il mio partner in campo, condividere tutte le vittorie e le sconfitte e devo dire sinceramente che non sono dispiaciuto per questa decisione, nonostante ci sia qualcuno che dica che ho lasciato la carriera di singolare troppo presto. Queste persone purtroppo non sanno tutta la storia che c’è dietro…”.
Nonostante questo non è stata una scelta sbagliata, hai raggiunto la top 25 e hai vinto 5 titoli Atp 250, quali sono stati i migliori momenti nella tua carriera?
“Ho degli ottimi ricordi di queste vittorie. Sono stato fortunato a giocare a San Jose contro John Mcenroe, in coppia con Jonas Bjoerkman: ricordo la presenza di più di 10 mila persone nella Ice Hockey Arena, lì perdemmo il match ma è stata un’esperienza fantastica, così come quella partita con Marat Safin contro Roger Federer e il suo partner a Montecarlo, un centrale pienissimo e dei ricordi pazzeschi. Giocare con leggende di questo sport è stato qualcosa di fantastico. D’altra parte ricordo anche un’esperienza spiacevole. Ero fuori di una posizione dal tabellone degli Australian Open e così sono andato lo stesso in Australia, sfortunatamente quell’anno non si cancellò nessuno dal tabellone, così andaì li senza giocare. Nonostante questo penso che se mi trovassi nella stessa situazione, farei la medesima scelta. Non si può non rischiare per giocare un torneo Slam.
Hai sempre avuto lo stesso compagno di doppio?
“Ho dovuto cambiare spesso compagno perché fino a quando non sei in top 20, e di conseguenza sai di entrare in ogni torneo, devi trovarti con qualcuno anche se non è il migliore per te. La miglior cosa è trovare un compagno con cui puoi entrare nel tabellone. Il tennis è una grande famiglia, tutti hanno contatti e quindi c’è un giro di email, messaggi, chiamate, solitamente tutto questo è anche più stressante del torneo in sè. Solitamente ho giocato con tennisti cechi o slovacchi, con cui sono vicino sia dentro che fuori dal campo”.
Hai giocato anche in doppio misto nei tornei dello Slam, com’è stata quest’esperienza? Hai raggiunto anche una finale, con la Makarova agli Australian Open, ricordi qualcosa di quella splendida settimana?
“Ho giocato poche volte il doppio misto, ma è sempre stato solamente un divertimento e un allenamento. Di quell’Australian Open ricordo tutto, è stato l’highlight della mia carriera ma anche il torneo che l’ha chiusa. Dopo aver perso in doppio al primo turno ho sentito un forte dolore al gomito destro ma ho continuato a giocare e a vincere, al terzo turno ho giocato sentendo un dolore fortissimo ma abbiamo continuato a vincere, quando abbiamo conquistato la semifinale non ero in grado di passarmi la doccia nella mano destra, sapendo di avere ancora un match da giocare in un paio di giorni il dolore era pazzesco e ha finito per distruggermi. Dissi al mio partner di non allenarmi il giorno dopo ma di vederci in campo il giorno del match, se potessi tornare indietro a quel giorno, avrei lasciato il doppio misto e curato il mio infortunio subito e sono sicuro che in questo momento ti parlerei da giocatore e non da allenatore… ci sono voluti due anni per sbarazzarsi del dolore e nel frattempo ho cominciato ad allenare.
Cosa pensi a riguardo delle affermazioni dei Bryan, che si sono lamentati per la mancata messa in onda televisiva della finale di Miami?
“I Bryan hanno assolutamente ragione riguardo a questo argomento, non costa praticamente niente e puoi raggiungere un gran numero di appassionati di tennis in tutto il mondo. Se si vuole promuovere questo sport e specialmente il doppio, dovremmo avere tutti gli show court visibili via Internet. È una vergogna e una mancanza di personalità da parte delle persone responsabili dei media (a meno che non ci siano problemi a riguardo dei contratti televisivi)”.
Lo scorso anno penso sia stato il tuo ultimo anno da pro, giusto?
“Si, ho utilizzato il mio ranking protetto mentre allenavo Yen Hsun Lu. Ho giocato un paio di tornei con l’obiettivo di vincere almeno un match. Avendo già raggiunto quest’obiettivo al mio secondo torneo, a Derlay Beach, ho deciso di aggiungerne un altro. Volevo che mia figlia Gloria potesse vedere suo padre vincere una partita di tennis, sfortunatamente non c’è riuscita agli Us Open ma a Vienna mi ha visto vincere un paio di match. Purtroppo dopo il torneo austriaco il gomito ha cominciato a far male ancora quindi l’Atp ha congelato i miei tre tornei, perciò penso di giocarne altri tre solo per divertirmi e ritrovare le sensazioni di veri e propri match”.
Chi alleni in questo momento?
Dopo aver lavorato con Schuettler, Stakhovsky e Lu, ho deciso di iniziare ad allenare una ragazza di 15 anni ucraina, Olga Fridman (nella foto a sinistra). Lei ha fatto ottimi progressi passando dall’essere 350 nel ranking junior ad essere numero 13 (in Sud America ha raggiunto, in quattro tornei, tre vittorie e una semifinale). Sono anche manager nel torneo di Projestov, dove faccio firmare contratti ai top 100, poi faccio altre cose sempre relative al tennis. In questo momento siamo in Italia a giocare le qualificazioni dei 10 mila dollari di Santa Margherita di Pula e sto apprezzando moltissimo il cibo italiano!”.
Ti ricordi di una situazione divertente o strana, accaduta nella tua lunga carriera?
“In Croazia giocavo in singolare ed ero riuscito ad arrivare al tie break (conducevo 4-2) del secondo set, dopo essere stato sotto nel punteggio per 62 51. Quando ero avanti 4-2 l’arbitro ha chiamato un toilette break, io guardavo l’avversario stupito chiedendomi il perché volesse chiamare il toilette break nel bel mezzo del tie break, e allo stesso modo mi guardava lui. Dopo poco ci siamo accorti che il break era per l’arbitro. Tornato dopo 10 minuti, ho perso i successivi 5 punti anche a causa del freddo, erano 5 gradi più o meno, e sono tornato a casa. Se ci penso ora, trovo la cosa divertente ma sono sicuro che in quel momento, dopo aver stretto la mano all’arbitro non ridevo così…”.
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