di Marco Mazzoni
Il day 4 di Wimbledon è stato una piccola magnifica follia. Ore 12.30: sotto un bel sole tutt’altro che british vanno in scena una serie di match di grande interesse e… tutti in contemporanea! Il passare da un courts all’altro è stato ogni volta un “piccolo dramma”. Come abbandonare il tennis sontuoso del “Bole”, che menava i suoi miglior colpi in totale scioltezza, disegnando il campo… ma c’è Kyrgios che sta risalendo contro Gasquet, il tutto all’interno di un match di altissima qualità tecnica ed agonistica. Sul campo 3 Raonic vs Sock, con la mia lente puntata sul footwork di Milos, per vedere se il lavoro splendido portato avanti dal trio delle meraviglie Ljubicic-Piatti-Pizzorno produce risultati anche sull’erba, le condizioni paradossalmente meno favorevoli per i piedoni del gigante canadese. Come non buttare un occhio sul 18, dove la leggerezza del gioco e dell’incedere di Nishikori non passa mai inosservato… E poi pure Jiri Vesely, uno dei miei osservati speciali dalla scorsa stagione, che contro Monfils sta lottando, soffrendo e pure conducendo… Help! Tanto, troppo tennis, come mille temi da approfondire e gustare. Mal di testa assicurato, insieme ad un vortice di emozioni che solo Wimbledon (finalmente… i primi tre giorni così così…) ti regala.
In questo coacervo di match ho seguito troppo poco Vesely per poterne parlare diffusamente; ho letto da colleghi presenti on court di un Jiri eccezionale al servizio, e che nonostante abbia “preparato” la trasferta ai Championships sulla terra del suo paese, sembrava giocasse da mesi a Londra. Segnale di qualità, di quella classe tecnica troppo evidente per restarmi indifferente. A Parigi ammetto che mi aveva in parte deluso nella sua sconfitta contro Raonic. L’atteggiamento troppo difensivo non mi era piaciuto, attendeva troppo a lasciar partire i suoi colpi, quelle traiettorie mancine velocissime a tagliare il campo che possono diventare ingestibili. Sui prati pare abbia esploso tutta la sua potenza. Un segnale importante anche da come ha vinto. E’ stato rimontato da un fighter doc come LaMonf, ma non si è scomposto, e ha vinto al quinto. Ha vinto tiebreak, dove conta tecnica e testa, per tirar fuori in pochi punti tutto il meglio dalle proprie corde. Non vedo l’ora che arrivi sabato, per vederlo in campo (…spero con tutta la calma del mondo!) contro Nick Kyrgios.
Già, proprio il 19enne australiano, che come Jiri è stato beneficiato di una wild card, e che ieri si è reso attore del match of the day, e serio candidato a diventare uno dei match of the tournament. Aspettavo con estrema curiosità questa partita, perché sulla carta gli ingredienti per produrre spettacolo c’erano proprio tutti: classe tecnica, contrasto di stile, contrasto di personalità e di schemi di gioco, di potenza. Diversi davvero in tutto i due, e non a caso ne è scaturito uno show davvero notevole.
Nick aveva una grande chance per testare il suo livello di gioco e cercare l’impresa, visto che il francese è uno che sui prati sa giocare eccome (semifinalista a Wimbledon) grazie alla velocità di braccio, ma che non sta vivendo un gran momento, reduce da seri problemi alla schiena da poco superati. Inutile fare oggi una cronaca del match, è quasi superfluo, chi l’ha vissuta sa di cosa sto parlando. E’ stato un susseguirsi, anzi un crescendo emozioni, per la ricchezza e varietà di scambi, situazioni tecniche e tattiche. Inclusa quella “garra” finale che ha reso addirittura epica la faccenda. La statistiche dicono 396 punti giocati, una continua alternanza di situazioni d’attacco e di difesa, di scambi in spinta e di uno-due fulminanti. 76 vincenti per il francese (su 24 errori) e 86 per il “canguro”, segno evidente di qualità, e di come entrambi hanno mosso il gioco, a produrre un grande spettacolo. Applausi.
L’erba di quest’edizione, veloce ma non velocissima e soprattutto non scivolosa, è ideale per premiare il talento in accelerazione e le aperture ampie di Gasquet, che infatti veleggiava sicuro avanti di due set. Kyrgios non riusciva a salire di livello, pareva trattenuto. Le sue poche smorfie celavano un fuoco interiore vivissimo, pronto ad esplodere ma ancora incapace di scatenarsi. Nel secondo set cede al tiebreak, ma qualcosa accade, il braccio inizia ad esser sciolto, ci sono concreti segnali che Nick sta salendo di livello, e di fiducia nel proprio tennis. Quel che di sicuro non gli manca è il coraggio, mostrando il DNA “Aussie” anche se non in purezza, perché gli piace fin troppo sparare colpi con i fondamentali, attaccare dopo essersi aperto il campo con una bordata in contropiede; meglio se tirata con quel dritto preparato in modo assolutamente personale, con la racchetta che scivola indietro e poi entra nella palla velocissima, non dando alcun punto di riferimento all’avversario che spesso è colto impreparato. E quando avanza è capace di chiudere bene al volo, più di forza in stile Rafter che di tocco. Kyrgios è un prototipo interessante del “nuovo” australiano: esplosivo, muscolare, ricco di adrenalina, in pieno spirito “Aussie” 2.0.
Ieri l’ho trovato molto cresciuto rispetto a quell’attaccante spavaldo ma spesso sprovveduto che avevo scoperto con sorpresa al Roland Garros 2013. Si vede che i tecnici stanno lavorando e completando il suo tennis verso un giocatore votato a comandare il gioco, molto strutturato, che per certi versi mi ricorda il primissimo Monfils prima che indietreggiasse irrimediabilmente il suo raggio d’azione diventando un “vil pedalatore”. Una metamorfosi quella di Kyrgios che segue i canoni vincenti del tennis di oggi, ma che a mio avviso non dovrà castrarne l’istinto e la sua differenza, ossia la facilità di accelerare ed aggredire il campo. Il tutto ricordando che Nick è un ragazzone sostenuto da un fisico importante, non così agile da poter scattare e reggere il pressing arrotato dei grandi colpitori che dominano il tour. Non deve cercare di far la corsa su chi gioca il “corri e tira” di consistenza, ma deve restare un tennista d’attacco, pronto a correre in avanti dopo essersi aperto il campo. Con un servizio così buono e con una seconda palla “illegale”, ha tutto per comandare il gioco e sfruttare il suo istinto innato per avanzare e raccogliere i frutti della spinta. C’è ancora un gap evidente tra quando comanda rispetto a quando difende; però ha un asso nella manica: può girare l’inerzia del match con la risposta. Ancora non trova subito il ritmo, ma quando sente il colpo e risponde bene tutto cambia, perché con quel cross di rovescio stretto o con l’improvvisa pallata lungo linea può subito prendere il comando delle operazioni, e l’orchestra del match a quel punto la dirige lui. Infatti quando ieri ha iniziato a rispondere bene ha girato tecnicamente la partita. Oltre alla tecnica e tattica, ieri ha mostrato tutte le sue doti di fighter, una personalità che l’ha fatto letteralmente sovrastare Gasquet nei momenti caldi di quarto e soprattutto quinto (e lungo set). Ogni volta che Gasquet l’ha messo sotto pressione, Kyrgios ha esploso la sua aggressività, si è preso rischi pur di non finire in difesa, e ha servito alla grande. Annullare palle break e anche match point con grandi prime di servizio è il segno più evidente del predestinato, di chi possiede dentro quel qualcosa di speciale che fa reale differenza. Come la forza mentale di rischiare col colpo meno sicuro (il rovescio) per sorprendere l’avversario e ricavare punti importanti. L’ha mostrato più volte ieri, sorprendendo Gasquet e ricavando punti decisivi. Nella risposta e nelle fasi di scambio, tra colpi coperti e back, Nick tende ad usare quasi esclusivamente la diagonale; ma all’improvviso nei momenti più caldi (come le risposte sui 15-30 o le palle break) spesso ha cambiato all’improvviso sul lungolinea, trovando buona precisione e lunghezza, il tutto con un effetto sorpresa letale. Attributi più che confermati dai 9 match point annullati, senza mai tremare col servizio.
Sensazioni importanti su questo ragazzo, che ha tantissime qualità per emergere e diventare un giocatore importante nei grandi eventi. Sarà davvero stimolante vederlo sfidare Vesely, ho già messo qualche birra belga in fresco…
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