E’ una ricetta vista già tante volte. C’è un giovane tennista molto talentuoso che vince il torneo junior di Wimbledon e nello stesso anno raggiunge la finale agli Us Open, sempre nella stessa categoria. Dopo un breve passaggio tra futures e challenger arriva nell’arena dei grandi in maniera roboante: a 21 anni batte David Nalbandian al Roland Garros e raggiunge gli ottavi di finale, grazie a questo risultato è nei primi 100. L’anno successivo, poi, arriva anche la sua prima vittoria di un torneo ATP, la Mercedes Cup di Stoccarda, e la stagione viene chiusa da 32 del mondo a 22 anni. Un futuro lanciatissimo nella top 20. Ma come vedremo andrà diversamente.
Jeremy Chardy è una delle tante promesse che non sbocciano mai e se lo fanno è solo per qualche settimana come quella appena passata sui campi di Montreal, in cui ha raggiunto un’inaspettata semifinale, suo miglior risultato in carriera dopo il quarto di finale raggiunto agli Australian Open del 2013. Proprio grazie a quel risultato raggiunse la piazza numero 25 del ranking, un traguardo a cui è tornato ad avvicinarsi dopo l’exploit canadese.
La sua è una particolarità che in Francia conoscono fin troppo bene. I transalpini continuano ad aspettare l’arrivo di un futuro numero 1, una loro lacuna clamorosa in tutta l’ “Era Open”, e la generazione dei nati negli anni ’80 è stata piena di illusioni: Gasquet era il predestinato e non è riuscito a rispettare le attese (forse troppe), Monfils poteva essere un ottimo top 5 ma in campo è costretto ogni volta a battere prima se stesso e poi l’avversario. Con Simon e Tsonga, invece, le cose sono andate un po’ meglio dato che i due sembrano aver tirato fuori il meglio dal loro tennis. Il primo ha fatto della solidità un suo marchio di fabbrica evidenziando, però, alcuni limiti troppo evidenti di fronte ai primi del mondo, mentre per “Jo-jo” le cose non sono andate poi così male: diverse volte in fondo agli Slam e una finale agli Australian Open, 2 Master 1000 vinti e tante stagioni tra i primi del mondo. Dietro di loro c’è stato un gruppo di tennisti di gran qualità sempre fuori dai giochi più importanti: Benneteau, Roger-Vasselin, Mahut, Llodra, Mathieu, Serra e gli ultimi arrivati Paire, Mannarino e Chardy.
In questo invidiabile elenco sembra naturale che il percorso di Chardy sia passato sotto traccia. Ma il Master del Canada ha cambiato nuovamente questa prospettiva ripuntando i riflettori sul talento francese. Il suo percorso nel torneo è stato particolarmente atipico, soprattutto per la natura del giocatore. Solitamente avulso dalle grandi battaglie, Chardy è riuscito a inanellare tre splendide rimonte dopo aver vinto senza problemi il primo turno (6/1 7/5 su Mahut). Nel turno giocato contro Leo Mayer era sotto 4/6 ed è riuscito a ribaltare il match aggrappandosi al tiebreak del secondo set, lo stesso copione si è visto contro Ivo Karlovic, uno che di tie break se ne intende. Mentre nel quarto di finale contro Isner i tiebreak sono diventati tre (266 punti giocati in tutto) e anche in quest’occasione Chardy si trovava in svantaggio di un set: a sorprendere sono stati i 7 match point annullati all’americano prima di staccare il pass per la semifinale. Niente male per un tennista che perdeva l’80% dei suoi match dopo aver perso il primo set.
Nonostante si sia trovato due battitori come Karlovic e Isner, Chardy ha fatto vedere dei passi avanti nel suo gioco soprattutto nella gestione del match dal punto di vista mentale (una delle poche carte da giocare per battere le piogge di aces dei due giganti), una lacuna che in passato ha bloccato il suo tennis in più di un’occasione.
Come ricordato in apertura, Chardy aveva (ed ha) tutte le carte in regola per essere un buon top 20, ma da quel lontano 2009 ha vissuto di continui stop and go riuscendo a centrare prestazioni notevoli battendo diversi top 10 e allo stesso tempo perdersi nei primi turni del circuito.
Pur chiudendo sempre la stagione abbondantemente nei primi 50 del mondo (eccetto il 2011), il francese non gioca una finale ATP da più di sei anni, un dato se vogliamo bizzarro considerando che tra i top 50 è noto avere tanti vincitori o finalisti di 250 e 500, tornei che sempre più raramente vengono frequentati dai top player. Ma Chardy oltre alla finale di Johannesburg e alla vittoria a Stoccarda del 2009 non è riuscito ad andare. In tutto questo è bene aggiungere la sua media di oltre dieci primi turni all’anno che riesce a disseminare per tutto il circuito.
Eppure le grandi soddisfazioni non sono mai mancate: sempre in Canada (ma a Toronto) aveva raggiunto i quarti di finale nel 2010 battendo Verdasco e Davydenko (entrambi top 10 in quel periodo), mentre due anni dopo è stato Cincinnati il teatro della sua piccola impresa: 6/4 6/4 a Murray. Nel 2013 il risultato di punta lo ha conseguito nei quarti di finale degli Australian Open raggiunti aprendosi il tabellone nei primi turni con l’eliminazione eccellente di Del Potro in cinque set. Mentre nel 2014 è arrivato il fiore all’occhiello della sua carriera: battere Federer dopo avergli annullato un match point, gli spettatori del Foro Italico se lo ricordano bene.
Tutti questi ottimi risultati di colpo vengono dilapidati nel corso della stagione e allora si che l’anomalia di Chardy trova una giustificazione. La sua buona classifica spesso è frutto di un paio di risultati “pesanti” che si aggiungono a dei modesti piazzamenti. Non avendo l’atteggiamento esuberante alla Benoit Paire spesso riesce a far passare le sue crisi sotto traccia, ma quando la giornata è quella buona riesce a recuperare quel filo che lo ha portato nei primi 100 circa 8 anni fa. In mezzo ci sono tante, troppe montagne russe che solo il peso dell’esperienza potrà modellare.
Come nella scorsa stagione, Chardy sembra avviato a rimanere stabilmente nei primi 30 del mondo e grazie alla semifinale di Montreal sarà una delle teste di serie ai prossimi US Open. Anche quest’anno è riuscito a guadagnarsi una seconda settimana di Slam (dopo Australian Open 2013 e Wimbledon 2014) al Roland Garros battendo Isner e Goffin, andando a ripetere quel risultato che gli riuscì quando era solo una wild card alle porte del circuito maggiore.
A differenza di tanti altri incompiuti a Chardy sembra non mancare proprio quell’assenza di risultati nei tornei più importanti, il paradosso è proprio questo: non riuscire a cogliere i punti necessari nei tornei minori e rifugiarsi in quelli più importanti per restare a galla. Un’anomalia tutta francese che la stagione asiatica o quella indoor (buon terreno di caccia per il suo tennis) potrebbero cancellare.
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