La motivazione dei sognatori. La rassegnazione dei fatalisti. Due opposti che si attraggono e si combinano nella voce, e nella storia, di Lamine Ouahab, algerino di nascita, marocchino di passaporto, tennista per vocazione e intima illuminazione.
Popolare per il suo gioco così diverso dalla standardizzazione, icona dei nostalgici di un tennis genuino e meno robotizzato, fatto più di colpi di genio che di fisici uguali e perfetti, Ouahab incontra ovunque rispetto e ammirazione. “Credo che questo succeda perché gioco comunque da molti anni, perché ho battuto diversi top players, sia da junior che da pro. Mi fa piacere, ma il mio lavoro è fare del mio meglio, indipendentemente dal supporto dei tifosi” ci spiega.
L’Algeria non ha certo una grande tradizione tennistica, prima di Lamine si ricorda Saoudi con un best ranking di numero 212 al mondo: non si può dire sia una nazione di successo. Eppure a Wimbledon, nel torneo junior, l’argentino Ouahab, che a quattordici anni è emigrato in Spagna per allenarsi, batte Soderling e Nadal, che ancora non è il campione che avrebbe riscritto tutti i record di precocità. È un segnale, l’indice di un potenziale mai del tutto espresso fino in fondo. Perché quella parte di Maghreb è una culla per altre discipline sportive (in Egitto dopo El Shafei, n.34 del mondo nel 1975, hanno prodotto quasi solo Karim Maamoun, n.300 ATP, e in Tunisia non si va tanto oltre Jaziri e Ons Jabeur). Perché Lamine va su del suo passo, regolare e graduale a dispetto di un gioco che vive di improvvise fiammate. Ma soprattutto perché essere arabo e tennista non è come essere tennista e basta. Gli ostacoli logistici e burocratici aumentano, ingabbiano, restringono le opportunità, nascondono alla vista una parte dell’orizzonte.
Nonostante abbia la residenza in Spagna, ci sracconta Ouahab, che abbiamo intercettato dopo la vittoria al primo turno al Challenger di Biella proprio contro l’iberico Ramirez-Hidalgo, “non ho mai pensato di chiedere la nazionalità spagnola, o francese”. Sì, perché da algerino ha avuto anche l’occasione di giocare per gli ex colonizzatori, e chiudere una storia che avrebbe potuto trovare posto in un romanzo di Camus. Ma “lo straniero” Ouahab, numero 4 junior e semifinalista al Roland Garros junior, ha scelto di continuare a giocare per la sua nazione. “E se non l’ho fatto quando ero giovane, adesso ormai è tardi, non è più il momento ormai. Ho affrontato anni difficili, con una serie di problemi da risolvere. Avrei voluto pensare solo a giocare a tennis, ma purtroppo non è possibile. Tuttavia, non c’è niente che io possa fare per cambiare le cose. Non posso aspettarmi che mi diano il visto per andare a giocare in certi Paesi, è così, non posso farci niente, nessuno può farci niente. Posso solo cercare di fare il mio lavoro, ma nessuno capisce quanto ho sacrificato per la mia carriera”.
L’anno scorso, ha raccontato in una recente intervista a una delle principale testata sportiva del mondo arabo, Sport 360, non ha ricevuto in tempo i visti per poter giocare le qualificazioni a Wimbledon, e a giugno ha dovuto aspettare più di tre mesi per partire insieme alla moglie in direzione di Parigi per il Roland Garros. “Per noi arabi” spiegava, “questo tipo di problemi fuori dal campo influenzano la nostra carriera. Diciamo che quando sparisco dal circuito, non si tratta di una decisione volontaria”.
Ma quando riappare, sa regalare e regalarsi prestazioni che quell’orizzonte nascosto dalle difficoltà lo lasciano intravedere, a metà tra l’aorta e l’intenzione, tra l’illusione e la storia, tra palco e realtà. “Lamine è un talento puro, è una delle gemme nascoste del circuito ATP” scriveva Joze Izquierdo, giornalista spagnolo della radio Cadena SER, che l’ha visto battere Guillermo Garcia-Lopez e raggiungere i quarti a Casablanca. In Marocco, dove si è trasferito per ragioni economiche e si è sposato, ha ottenuto il cambio di nazionalità e la garanzia di un maggiore supporto. “Sono algerino, i miei genitori sono algerini come tutta la mia famiglia” spiega, “ma a un certo punto devi prendere delle decisioni”. E le decisioni lo portano in una nazione dalla tradizione tennistica più densa dell’Algeria. Qui nei primi mesi della stagione era seguito da Hitcham Arazi, che l’ha seguito anche nell’exploit di Casablanca. Ma non è stato l’inizio di una bella amicizia. “Mi ha aiutato molto nei primi mesi della stagione” ci racconta, “ma è coinvolto anche con la Federazione, e la federazione non si è comportata benissimo ultimamente, quindi ho deciso di continuare da solo”.
E solo vuol dire proprio solo. Non ha un coach da quasi cinque anni, non ha un preparatore atletico né un manager. Non ha uno sponsor né aiuti di qualche tipo per i visti e i documenti. Eppure se la gioca con i migliori del mondo, e quando è in giornata li batte anche. Quest’anno, nonostante una carriera che sempre più si trasforma in una corsa a ostacoli, è riuscito a vincere tre Future in Marocco, con una serie di 17 vittorie di fila tra marzo e aprile, e il Challenger di Casablanca con successi su Ungur nei quarti, Rufin in semifinale e Marti in finale. “Il tennis del marocchino-algerino oversize (10-15 kg in sovrappeso, ad essere buoni) è paradisiaco: smorzate, pallonetti, accelerazioni di rara potenza, strettini e, nonostante il peso, una inimmaginabile capacità di vincere punti in difesa” scriveva Alessandro Nizegorodcew. Un tennis che potremo ammirare anche in serie A. Perché Ouahab, che ha sempre provato ove possibile ad arrotondare con le competizioni a squadre in Germania e in Belgio, per la prima volta giocherà la serie A italiana, a Maglie, la rivelazione del 2014. “Sicuramente potrà darci quel valore aggiunto per affrontare, con un certo ottimismo, i migliori delle squadre avversarie” ha spiegato al Corriere dello Sport il direttore sportivo del CT Maglie Antonio Baglivo. “Chiaramente sono stati confermati tutti i protagonisti della fantastica stagione 2014, l’argento Arturo Gaston Grimolizzi, Erik Crepaldi, Francesco Garzelli e Giorgio Portaluri, con l’inserimento dell’altro elemento del vivaio Alessandro Moretti”.
Non è la prima volta, però, che viene contattato da una squadra italiana, ma in passato aveva rifiutato questo tipo di offerta perché preferiva rimanere più legato alla nazionale in Coppa Davis, ci spiega. E le sfide con l’Algeria, insieme alla vittoria su Nadal a Wimbledon junior, alla qualificazione per l’Australian Open 2009, l’anno in cui ha raggiunto il suo best ranking di numero 114 del mondo, e i quarti di Casablanca rimangono, conclude, “tra i suoi migliori ricordi tennistici”. Ma questi risultati rimangono perle isolate di una carriera che non può essere come le altre. La carriera di un uomo “calmo e appassionato, che sbaglia ma cerca sempre di fare del suo meglio”, come si descrive al termine dell’intervista. La carriera eccezionale di un giocatore che vorrebbe solo essere normale.
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