Su un campo secondario, lontano dalla gloria delle telecamere, gli spalti sono deserti. La pioggia ha martoriato il manto erboso. A Stoccarda si gioca il primo turno del tabellone cadetto della Mercedes Cup 2016. Per il ritardo accumulato, in televisione sono trasmesse in chiaro le qualificazioni di un ATP 250, cosa più unica che rara. Mentre Stepanek e Ward si giocavano già l’accesso in main draw in diretta internazionale, Frank Moser, su quel campo secondario deserto, ha sconfitto in tre duri set Axel Michon servendo la bellezza di 21 ace. “Il gigante tedesco che tira catenate e gioca spesso il doppio con Ivo Karlovic, un altro che di bombe se ne intende”, ricordo perfettamente il biglietto da visita sintetico ed efficace stilato dal telecronista per Frank. Fu Sergiy Stakhovsky poche ore dopo ad impedirgli di giocare quello che sarebbe stato appena il suo terzo tabellone principale in un torneo del circuito maggiore dopo ‘s-Hertogenbosch 2003 e Mumbai 2006. Frank Moser si è focalizzato sul doppio più di dieci anni prima del torneo tedesco, ma ogni volta che ha la possibilità di giocare anche il singolare non se lo fa dire due volte. Il tennis è la sua più grande ossessione.
L’appassionato medio ignora chi sia Frank Moser, gli addetti ai lavori e gli esperti sanno che è stato un buon doppista, capace di raggiungere la top-50 di specialità. Non un fenomeno né tantomeno un giocatore istrionico ed appariscente da ricordare negli annali. Un onesto mestierante e poco più. L’amore e la passione che Frank ha però sempre espresso per il tennis superano di gran lunga il talento ed i mezzi tecnici che probabilmente ogni critico riterrebbe carenti. Soltanto grazie a determinazione e a grande perseveranza è riuscito a realizzare quello che era un sogno.
Tutto comincia in quella che è stata già a partire dal XVII secolo “la capitale estiva d’Europa”, sede di un noto centro termale, di hotel di lusso e casinò ma anche del più antico circolo tennistico della Germania intera: Baden-Baden. È qui che i Moser portano per la prima volta ad una delle loro partite il piccolo Frank. “I miei genitori giocavano per divertirsi e già dopo la prima volta che li vidi in azione capii che mi piaceva davvero. Cominciai ad andare sempre al circolo ed è tutto sostanzialmente palleggiando contro un muro. Me ne sono innamorato da subito…”. Quel ragazzino che sognava un giorno di diventare un campione come il suo idolo Ivan Lendl, cresciuto, prese a soli diciotto anni una decisione importante: biglietto di sola andata per gli Stati Uniti ed iscrizione al college. “La mia esperienza è stata fantastica. L’America è perfetta se si vuole abbinare lo studio con lo sport! Di mattina ci sono normalmente le lezioni e di pomeriggio hai gli allenamenti oppure i match. È come lavorare part-time durante gli studi universitari. In Germania è molto difficile studiare e giocare a tennis allo stesso tempo. Consiglio vivamente i college negli USA per chiunque sia portato ed appassionato per lo sport ma che al contempo non è in grado oppure non ancora pronto per guadagnare da viversi tramite esso. Il college può essere fondamentale per muovere i primi passi nel mondo del professionismo. Se poi va male, hai sempre una laurea e puoi cominciare una carriera totalmente diversa. Se si capisce dopo qualche anno che l’esperienza nel mondo agonistico è stata deludente, non vedrai tutto ciò come qualcosa di negativo. Viaggiare in giro per il mondo per seguire la tua passione è qualcosa che porterai per sempre con te nella tua vita ovunque essa ti condurrà alla fine.”
Arrivato inizialmente in Florida, Frank si è poi stabilmente trasferito in Virginia. Prendendosi il suo tempo, senza alcuna fretta e nessuna voglia di strafare, raggiunge la posizione numero 5 in singolo e numero 2 in doppio delle classifiche NCAA, trascinando per la prima volta il suo team alle playoff-finals. È su queste basi che decide dunque di cominciare, tardi e partendo dal basso, la sua carriera tra i pro, senza però dimenticare lo studio. Nel 2001, già venticinquenne ed aspirante tennista di professione da qualche mese, si è infatti laureato cum laude in Studi Internazionali presso la Virginia Commonwealth University.
Dall’alto dei suoi 196 centimetri, il tennis di Moser è da sempre impostato sul suo micidiale servizio e sulla potenza del dritto, che colmano le sue lacune negli spostamenti. Inizialmente si dedica sia al singolare che al doppio, giocando i tornei minori. Dopo aver collezionato in singolare tre finali Futures e la sua unica finale Challenger a Bangkok nel 2002 ed aver toccato il suo best ranking alla posizione numero 288 nell’estate del 2003, Moser decide di concentrarsi sul doppio, senza però mai tralasciare l’ipotesi di iscriversi nelle qualificazioni in singolare ogni volta ve ne fosse la possibilità. La sua carriera in singolare non era riuscita mai a decollare, ma la scelta di diventare doppista di professione lo porterà a vivere in pieno per quasi venti anni la vita che aveva sognato da bambino.
Cominciando dal basso per svariati anni Moser ha girovagato per tornei dimenticati dal mondo, campi con righe storte e montepremi quasi irrisori. “Caspita, me ne son capitate di cose strane! Nel corso degli anni ho avuto alcune decisioni arbitrali a sfavore clamorose ma se devo dire qual è la situazione più strana in cui mi sono ritrovato… Beh, ricordo che una volta stavo giocando un Future in Giamaica e durante uno scambio uno dei giudici di linea rispose, come se niente fosse, ad una chiamata sul cellulare. Nello stesso torneo dovevo andare al bagno durante un match ed il giudice di linea mi portò nella cucina del ristorante dove vidi uno chef in stile Bob Marley che cucinava mentre fumava in tutta tranquillità una canna enorme. Sul serio, non sto scherzando!”
Nella sua lunga carriera ha visto il doppio, specialità ormai sempre più bistrattata e disertata dai grandi nomi, cambiare ed evolversi tristemente fino al suo ruolo di disciplina relegata a palcoscenici minori dei giorni d’oggi. “Ho giocato il mio primo doppio nel Tour in un torneo satellite in Belgio nel 1997 in coppia con Bernard Parun. La densità del gioco è molto più alta oggi rispetto a quando ho cominciato. Prima notavi una grande differenza tra un tennista classificato al numero 80 ed uno al 250 ed ancora un gap tra questo ed un altro che si trova al numero 450. Oggi credo che questa differenza sia molto minore. Devo però ammettere che i giocatori che si trovavano in fondo alle classifiche che ho incontrato quando ho cominciato erano più forti di quelli che puoi trovare adesso. Ciò accade perché quando io ero un neo-professionista c’erano solo 2-3 tornei satellite a settimana. Oggi in alcune settimane del calendario ci sono più di trenta tornei Futures! Ed è per questo che, essendoci più tornei che danno punti ATP, più giocatori sono nel ranking mondiale. Credo che oggi sia più facile ottenere punti validi per le classifiche ufficiali. Anche se ai miei tempi c’era la possibilità di ‘comprare’ un punto ATP pagando per ottenere una wild-card in un Challenger! Anche i tabelloni per i doppisti sono più difficili da quando anche i singolaristi sono ammessi nelle enter list. Agli inizi della mia carriera non c’era questa possibilità. Non sono un grande fan del “nuovo” doppio, preferisco ancora il vecchio sistema di punteggio anche se poco mi importa… Penso che in questo modo i singolaristi siano invogliati ad iscriversi anche al torneo di doppio.” Il giocatore tedesco è stato sempre un esponente di primo piano nella difesa del doppio e dei doppisti, e la sua opinione sul perché i singolaristi disertano ormai da anni la specialità è molto semplice: “L’unica ragione è perché il montepremi del doppio è troppo basso!”
A differenza di molti altri specialisti, Frank Moser è stato un doppista atipico per il fatto di non avere mai avuto un vero e proprio partner fisso. In 19 anni di carriera ha giocato con 182 partner diversi a fronte di 450 tornei di doppio complessivi a cui ha preso parte. Ha condiviso il campo con grandi amici come Bernard Parun , Alexander Satschko e Benjamin Becker, con specialisti come Ivan Dodig, Jean-Julien Rojer, Lukasz Kubot, Aisam-Ul-Haq Qureshi ma anche con gente come Xavier Malisse, Ivo Karlovic, Tommy Haas, Fabio Fognini, Marin Cilic e Kevin Anderson. “Non so perché ho avuto così tanti partner diversi. Ho avuto alcuni periodi della mia carriera in cui ho giocato sempre con lo stesso giocatore ma poi ho avuto bisogno di cambiare. Oggi penso sia molto più semplice avanzare nel ranking facendo coppia sempre con lo stesso compagno.” Nella lunga lista di tennisti con cui Moser ha giocato, tra Dustin Brown e Florian Mayer, compare anche il nome di una vecchia conoscenza che il tennis ha cercato di cancellare per sempre: Daniel Koellerer. “Mi divertivo con Daniel. Anche se devo ammettere che a volte mi ha fatto arrabbiare e mi sarebbe venuta voglia di uscire dal campo. Ammetto che probabilmente l’avrei fatto se non ci fosse stata la regola secondo cui per incassare il prize money devi completare il tuo match. Ma ho passato anche bei momenti, come quando abbiamo sconfitto Berdych e Safin. Non ho avuto mai problemi con lui, neanche quando abbiamo giocato contro da avversari. Con Daniel il ruolo dell’arbitro era fondamentale: se era fermo e deciso, il suo comportamento ne risentiva parecchio in positivo.”
Moser ha giocato in tutto 64 finali tra circuito ATP, Challenger e Futures. Ha vinto il suo unico torneo ATP a San Josè in coppia con Malisse mentre ha ottenuto le due vittorie più prestigiose contro i gemelli Bryan quando erano al primo posto delle classifiche sconfitti entrambe le volte in casa, agli US Open ed a Delray Beach, giocando sempre con Karlovic. Nessun acuto nei tornei dello Slam, ma una carriera che con grande forza d’animo Frank è riuscito a far girare. Ha ottenuto i tutti i migliori risultati a più di trent’anni, dopo un inizio difficile passato a lottare per sopravvivere nelle retrovie del professionismo. La girandola di partner si è conclusa nel suo ultimo torneo giocato lo scorso ottobre ad Anversa con il russo Mikhail Youzhny. Franky, come ama farsi chiamare, aveva compiuto appena un mese prima quarant’anni, ma la voglia di continuare ancora oggi non l’ha abbandonato. “Spero sempre di poter ritornare a giocare, ne ho una voglia matta. Chi sceglierei come partner? Domanda difficile. Forse rigiocherei con Ivo, ho ottenuto con lui i migliori risultati. Ma vorrei far coppia anche con Malisse, Anderson, Bachinger, Parun. Giocherei con tutti loro!”
Quando parli con Frank il ventennio passato sui campi di tutto il mondo sembra non sentirsi affatto. E’ intatta in lui la voglia, la passione, l’amore incondizionato per il tennis. Nonostante sia da poco diventato padre, nonostante non sia più un ragazzino, nonostante sarebbe giustificata la nausea di una vita che per lunghi tratti è nomade e stressante, quella pallina gialla continua ad essere inevitabilmente la sua ossessione più grande.
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