di Marco Mazzoni
Con la stagione del tennis che si avvia alla sua conclusione, abbiamo pensato di focalizzare l’attenzione sulla off-season, ossia il periodo che passa tra l’ultimo match giocato e l’inizio della nuova stagione. E’ un momento di straordinaria importanza: l’atleta ha la necessità di riposarsi e rigenerarsi dopo le tante fatiche fisiche e mentali accumulate in mesi di continui viaggi e tornei, ma anche quella di impostare un lavoro a 360° per perfezionare tecnica, tattica e prestazioni atletiche. In questo periodo si possono fare esperimenti e miglioramenti determinanti a crescere nella prestazione. Per illustrare come si lavora nella off-season, ho avuto il piacere di fare qualche domanda a Stefano Baraldo, tecnico toscano che sta lavorando con Zarina Diyas e Saisai Zheng, che nel 2014 hanno vissuto una stagione molto positiva.
Stefano, con te vorrei affrontare il tema del lavoro che si effettua nella off-season, ossia come si imposta la preparazione di una nuova stagione. Ma prima, un plauso sincero per i grandi risultati ottenuti da Zarina Diyas e Saisai Zheng (nella foto a sinistra). Ti aspettavi 12 mesi fa un salto del genere, e quale credi che sia stato il “segreto” (se c’è)?
“Intanto grazie! Per entrambe il goal 12 mesi fa era logicamente entrare nelle 100. Poi Zarina ha fatto meglio, mentre Saisai ha avuto un presunto infortunio diagnosticato in Australia dalla Wta… Praticamente per un loro “dubbio” ci siamo persi 4 mesi… Comunque siamo carichi per aver fatto una bella stagione”.
Quale può essere un obiettivo realistico per il 2015 delle tue ragazze?
“Gli obiettivi sono una cosa, le speranze e i sogni un’altra. Vorrei che si potessero raggiungere i 2000 punti con Zarina perché ha il livello per stare nelle top30; anche Saisai può puntare molto in alto, ha una “mano” spettacolare! Spero il 2015 sia divertente, ma certo questo 2014 è stato da incorniciare”.
Andiamo nello specifico nel tuo campo, quello della preparazione. Lo stacco tra una stagione e l’altra è breve, come si imposta il lavoro? Quali sono le varie fasi e su cosa in particolare ci si concentra?
“E’ tutto molto individualizzato. Per esempio: Saisai sta ancora giocando, quindi è stagione piena; invece Zarina ha iniziato già i primi di ottobre a preparare il 2015. In pratica, anche se Zarina ha giocato dei tornei importanti, abbiamo già lavorato un po’ di più rispetto alla fase centrale della stagione. Se possibile, a novembre consiglio di sviluppare un mesociclo di esercizi generali a bassa intensità per incrementare la capacità aerobica. Poi sviluppo un mesociclo di 5/6 settimane a dicembre dove si lavora più sullo specifico. Ad ogni modo Zarina rimarrà piuttosto “leggera” nella prima parte di stagione perché ci piacerebbe lavorare sui cambi di ritmo, e quindi il lavoro sarà progressivo”.
E poi durante l’anno come vengono effettuati dei richiami? Dipende tutto dai risultati oppure ci sono dei periodi in cui è necessario fare un certo tipo di lavoro indipendentemente dalle vittorie?
“Sui “richiami” faccio sempre sempre molta ironia, “richiamo della foresta”, “richiami dei vaccini” ecc… Mi diverto a scherzarci sopra. Il tennis è cambiato rispetto a 20 anni fa! Il lavoro fisico viene svolto con continuità anche durante i tornei. Poi ovviamente ci sono dei periodi dove si spinge di più, in genere 4/5 volte a stagione si fa 2 settimane di carico o lavoro mirato, ma non mi piace definirli “richiami” perché sono diversi rispetto al training preseason. La programmazione di un top 200 è dettata dalla presenza di 4 tornei fondamentali, quindi le fasi sono relative a questi 4 eventi e i cambi di superficie sono i punti chiave. Se sei in grado di gestire questi cambiamenti allora si è già fatto un bel lavoro, perché sono sempre accompagnati da un nuovo adattamento e quindi problemini di vario genere. Prima dell’Australia sai che ci sono tornei con temperature attorno ai 40 gradi; appena si inizia con la terra battuta saltano fuori gomiti, polsi, spalle per via delle palle e del numero di scambi che incrementa; poi vai sull’erba e metti in crisi ginocchia e caviglie; poi ripassi dall’erba al cemento e devi recuperare la forma che sull’erba perdi in termini di resistenza ed elasticità; poi ci sono tantissimi altri particolari… Alla fine, è corretto affermare che il concetto di “richiamo” è passato, mentre si può parlare di una vera e propria periodizzazione con mesocicli mirati”.
(Roberto Antonini, coach di Yen-Hsun Lu, in compagnia di Stefano Baraldo)
L’importanza del riposo, cosa che molti sottovalutano. Risultati a parte, come capisci che la tua assistita ha bisogno di staccare, e come si organizza questa fase?
“La gestione dei recuperi è dipendente da quella dei carichi. È scontato che dopo una fase di stress vi sia un momento dedicato alla rigenerazione. Durante la stagione bisogna essere bravi anche a gestire il Jet-lag. Non è facile, si riposa male e la melatonina non aiuta così tanto… Poi ci sono sempre imprevisti e cambi improvvisi di programma. Alla fine uno si riposa quando è stanco, ma stanco veramente! Stanco di testa… E i segni sono sempre gli stessi: si inizia a perdere l’attenzione con più facilità; si manifestano comportamenti di insofferenza alle piccole cose; si comunica di meno. Poi i giocatori, così come anche noi allenatori o pure gli arbitri, facciamo sempre il conto alla rovescia per tornare a casa! Il massimo per un giocatore sarebbe avere il centro di allenamento a casa! Questo può essere un fattore molto incisivo sulla carriera di un tennista proprio per una questione di qualità del recupero”.
Raccontaci una giornata tipo di lavoro nel periodo di preparazione, e come cambia nell’avvicinarsi all’inizio dei tornei, tipo una giornata di fine novembre e poi di fine dicembre o gennaio.
“In preparazione è tutto calcolato e schematico, ecco un esempio. Sveglia presto per colazione, poi si parte. Alle 8:30 scattano 30/40 minuti di esercizi fisioterapici e funzionali, poi 20/30 minuti di footwork. Pausa spuntino, quindi 1 ora e mezza di tennis, e a seguire fisioterapia. Pranzo alle 12:30 e riposo in camera fino alle 14:30. Quindi si riprende con tennis e fitness, o solo fitness. A seguire terapia e poi si cena alle 18:30. Segue il massaggio verso le 20:30 per 20 minuti. Durante la settimana si lavora mezza giornata il mercoledì e il sabato. Domenica “libertà vigilata”. In torneo più o meno sono le stesse cose ma i tempi sono dimezzati come tennis e fitness, mentre la parte terapica rimane in genere intorno ad un’ora al giorno”.
Come ti accorgi che il fisico e la testa della tua assistita è al limite, e come si lavora per alzare l’asticella degli obiettivi?
“Il corpo parla! Attraverso la maniera in cui l’atleta si muove, ma anche osservando il colorito del viso, gli occhi, ecc… E’ molto importante essere puntigliosi e non fermarsi al classico monitoraggio dei principali fattori limitanti, bensì creare una forte comunicazione professionale all’interno del team di lavoro. L’atleta per fare risultato deve essere molto concentrato sulle cose che vuole fare. Le persone con le quali interagisce devono essere in grado di risolvere i problemi che emergono via via. Per fare un esempio, è facile notare quando il giocatore ha una carenza o commette errori; dal momento in cui comunichi al giocatore che ha un “difetto” devi anche provare a risolverlo, se possibile. Il processo di allenamento è anche un gioco di ruoli e quindi sia il tennista che il team hanno dei compiti piuttosto precisi, che vanno rispettati. Per quanto riguarda il fisico, è proprio quando l’atleta è centrato mentalmente che vengono fuori i segnali del corpo. Il giocatore si fa male o quando è fuori forma o quando è al top. Se si ha un po’ di fortuna e si è attenti allora si può leggere questi “segnali” all’inizio e quindi si riesce a modulare gli interventi in maniera tale da prolungare la fase “magica” del giocatore, ossia lo stato di “forma”. Poi o mentalmente o fisicamente il calo arriva e si lascia un po’ la presa per aspettare il momento giusto per ricominciare a spingere. E così via. Gli obiettivi sono fondamentali specialmente a medio termine: da una parte ti distolgono dalla pressione che arriva dal torneo che stai giocando, nel quale comunque darai tutto; dall’altra ti spronano a mantenere un atteggiamento costruttivo per un futuro prossimo. Il tennista professionista è come “un’azienda molto delicata”, ma che può incassare cifre considerevoli nell’arco di qualche settimana, pertanto viene coinvolto un certo livello di responsabilità”.
(Massimo Dell’Acqua, Stefano Baraldo e Zarina Diyas)
Quanto è importante confrontarti con Zarina (e Saisai) per capire quello di cui lei ha bisogno? E quanto è diverso lavorare con una ragazza piuttosto che con un ragazzo, proprio a livello umano e di relazione?
“Ogni giocatore, come ogni persona, è un individuo completamente a sé. Che tu alleni un maschio o una femmina i contenuti della comunicazione sono gli stessi, ma cambiano i modi. Per farti un esempio: io sono notoriamente un po’ “orso”, per intenderci; quando lavoravo con Flavia lei me lo disse chiaramente: “Stefano quando lavori con le donne devi essere più dolce!” Allora in palestra iniziai a impostare i macchinari e spostare i pesi personalmente, mentre i maschi se ne occupavano in prima persona! Con i maschi si tende a parlare di meno, in questo è più facile. Con le donne invece si deve stare più attenti, cambiano di umore facilmente, sono più sensibili e insicure, ecc… Nel tour ho sentito dire da colleghi che il lavoro in WTA è meno impegnativo perché il livello fisico e tecnico è inferiore. Non sono per niente d’accordo con questo pensiero. Ripeto, per me non cambia se sei forte o un principiante, il mio focus è quello di fornire il supporto massimo”.
Guardando il tennis di vertice, sia maschile che femminile, personalmente sono sempre più convinto che tra i tanti aspetti che fanno la differenza, la velocità in campo e la capacità di anticipazione motoria sono sempre più determinanti. Che ne pensi? E come si allenano nello specifico questi aspetti?
“Tutto parte dalla posizione in campo. È inutile perdere tempo allenando la velocità e la reattività quando poi il giocatore non ha un grande senso della posizione e magari gioca arretrato. Prima si lavora sulla posizione, poi sul footwork, e quando c’è abbastanza ordine si cerca di velocizzare il tutto per farlo mantenere più a lungo possibile. Molte volte si rischia di far confusione nel tennis tra esercizi di reattività, rapidità, agilità, esplosività e velocità. Sono aspetti compatibili, ma diversi tra loro, che se miscelati bene aiuteranno a costruire un gioco sia più “consistente” che aggressivo. Ricapitolando: fase 1 – ordine/posizione; fase 2 – footwork con e senza palla; fase 3 – velocizzare; fase 4 – resistenza specifica. Facendo una ricerca su internet si possono trovare anche vari macchinari di supporto, alcuni dei quali sviluppati anche in Italia, che sono eccezionali. Sono molto utili più in fase di specializzazione giovanile che con gli atleti già formati. Ritengo che nel tennis dei prossimi anni saranno sempre più determinanti il ritmo e le accelerazioni, colpi al volo per chiudere e tanto servizio. Se si vuol passare da una fase di difesa o neutra ad una fase di attacco coi piedi dentro il campo, serve anche tanta agilità e reattività. Serve esser sempre pronti anche durante partite lunghe e al caldo. Si può cercare di dominare il campo da sopra la rete, e se si riesce a farlo anche al volo dalla 3/4 ci si può tramutare in un giocatore pericolosissimo contro tutti. Ora nel tennis o sei 2 metri o è meglio che provi a mettere i piedi dentro il prima possibile… Non è complicato, in teoria… Ripeto, in teoria!”.
Ultima curiosità: come siamo considerati noi italiani nel tuo settore? Come vi confrontate per conoscere metodi, tecniche, ecc? Metodi e lavoro si sono evoluti molto negli ultimi anni?
“Ogni anno salta fuori un nuovo approccio, strumento o metodo. È così da sempre e così rimarrà. Alla fine non sai mai se quello che vedi fare è un’evoluzione o meno, ma aiuta a tenerti aggiornato. Alla fine contano solo i risultati e non le parole o le ipotesi. Io ho avuto la fortuna di avere un nonno e mio papà Luciano che sono allenatori. Ho anche tanti amici nel settore che hanno raggiunto traguardi veramente di alto livello nel calcio, nello sci, basket, atletica … e quindi ad ogni dubbio ho valutato l’opinione di persone con tanta esperienza alle spalle. A me piace moltissimo parlare con i colleghi! Mi piace ascoltarli e cercare di evitare errori già commessi da altri. Si sbaglia sempre, ma sicuramente meno sbagli più possibilità hai di far bene. Gli stranieri? Non mi interessa come ci vedono, tanto le dinamiche sono sempre le stesse. Il tour è come un “paesone”, di vista conosci tutti, poi hai i tuoi amici e le antipatie. Alla fine ci si prende in giro a vicenda, però senza cattiveria. Capita che a me come italiano vengano messi in evidenza i soliti luoghi comuni… come io a mia volta faccio con gli altri. Il tour è fatto di gruppetti, come in ogni paese, e alla fine pensi a fare bene il tuo lavoro senza star troppo a giudicare gli altri. Il bello di questo lavoro è che ti appassiona, hai tante opportunità proprio dietro l’angolo e quindi diventi maniacale e te ne freghi degli altri perché vuoi raggiungere un risultato”.
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