di Sergio Pastena
Giocare con tipini come Djokovic o Nadal, per un tennista normale, è frustrante grosso modo come può esserlo per un buon giocatore di scacchi confrontarsi con Chessmaster 9000. Si badi bene, il paragone non è a caso: in certi momenti dei match, infatti, i tennisti citati più che a un Kasparov o a un Bobby Fischer sembrano assomigliare ad autentiche macchine.
E cosa fa Chessmaster 9000? Semplicissimo. Non lo vedrete mai avventurarsi alla ricerca di combinazioni di mosse “artistiche” sacrificando regina, cavallo, alfiere e cugina da parte di madre per darvi matto di torre in due colpi. No. Tuttavia farà sempre la mossa migliore tra quelle razionali, tassativamente, ogni volta. E per quanto voi giochiate il vostro “A Game” prima o poi qualche errorino capiterà e su quello il programma costruirà inesorabilmente la propria vittoria. Inoltre, se negli scacchi è possibile resistere fino alla patta, quando si parla di tennis il pareggio non è previsto.
Sarà per questo che uno come Stanislas Wawrinka prima di oggi vantava un bilancio molto magro contro Novak Djokovic: due vittorie risalenti al 2006, contro un Nole appena maggiorenne, una per ritiro e un’altra in un insignificante ottavo di finale a Vienna. Per il resto solo mazzate, mazzate, mazzate: un incubo. Peggio che contro Federer, perché lì era questione di ko tecnico. Peggio che contro Nadal, perché se non vinci un set in 12 partite se non altro hai il diritto di rassegnarti.
Le batoste più dolorose per Stan erano state tutte rigorosamente “made in Serbia”: la finale di Roma 2008, dopo aver vinto il primo set al meglio di tre; lo spettacolare match di Melbourne un anno fa, perso 12-10 al quinto dopo aver vinto il primo 6-1; le semifinali degli Us Open 2013, con tanto di vantaggio di 2 set a 1 sciupato. La capacità di alzare il livello del gioco al momento decisivo faceva la differenza, sempre. Insomma, quando Nole oggi ha portato a casa il quarto set pareggiando il conto con Wawrinka, sulla testa dello svizzero pendeva la falce del tristo mietitore.
Pessimismo cosmico? Sì, ma giustificato. Nel secondo e nel terzo set Wawrinka era stato perfetto al servizio di fronte a un Djokovic insolitamente falloso e fuori fase. Poi, nel quarto, il serbo è entrato per una mezz’oretta in modalità robot e, complice una minore efficacia dello svizzero, si è portato avanti di un break al quinto. E il successivo controbreak non ha impressionato nessuno: fino a quel momento Nole aveva convertito 4 break point su 5 e Wawrinka 3 su 8.
Ma torniamo agli scacchi: come si batte Chessmaster 9000? Semplice: devi sorprenderlo. Per quante mosse possa analizzare, un pc può esplorare completamente un numero altissimo di linee di gioco valutando tutti gli scenari possibili. L’uomo tutti questi calcoli non può farli, ma ha l’intuito: può capire la linea giusta, quella speciale, prenderla e mandare in tilt l’avversario.
Resterà deluso chi pensa che a risolvere il match sia stata qualche mirabilia di rovescio di Wawrinka: molto più banalmente sono state due prime. Precisamente quelle che lo svizzero ha infilato in sequenza quando, sul 3-3, Djokovic era arrivato a palla break in un game rimontato da 40-15. Due bombe impossibili da prendere, un solo messaggio: “Stavolta no”. Quei due servizi han rotto la trama che ci si aspettava: da quel momento Wawrinka ha ricominciato a servire come nel secondo e nel terzo set e non ha perso la calma quando Djokovic ha tenuto con facilità disarmante i propri “servizi per rimanere nel match”, sparando quattro prime di fila sul 5-6.
Più andava avanti la cosa più il territorio era inesplorato per RoboNole. “Ma come sarebbe? Stavolta non scioglie? Conosco troppo bene questa linea di gioco, a questo punto deve sparare quattro seconde al servizio e io devo breakkarlo a 15 per poi chiudere in scioltezza. Che accade?”. Accade che l’anno scorso era Djokovic ad annullare palle break e Wawrinka a servire per rimanere nel match, fino all’epico e fatale game del 12-10. Stavolta accadeva il contrario e, come negli scacchi, a un certo punto la linea inesplorata porta all’imprevisto. Imprevisto che si materializza sull’8-7 per lo svizzero, che si procura una palla break e rimette dentro la prima del serbo: viene fuori una palla in teoria facile da gestire ma che può nascondere insidie se ci vai troppo sicuro o troppo poco sicuro. Non è dato sapere quale sia stato l’errore di Djokovic, fatto sta che l’ha messa fuori di fronte ad un Wawrinka incredulo.
Era l’ennesimo appello di un esame mai passato, col professore che non fa mai sconti e una reputazione consolidata da fuoricorso di lusso. Passarlo a 28 anni deve dare soddisfazione. E ora? Beh, sicuramente ci sarà un finalista anomalo tra lui e Berdych e non è detto che sia lo svizzero: il ceco arriva alle semifinali con un solo set perso, bello fresco e in grado di far male. Ad ogni modo questo ragazzo svizzero, spesso antipatico fino al midollo ma dotato di un rovescio celestiale e di un talento generale non da poco, ha tutti i motivi del mondo per sorridere: per lui che è stato sempre secondo (nei tornei che contano, negli sprint finali, in Svizzera) aver battuto un numero uno è qualcosa da ricordare.
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