Adoro i tornei Challenger, li amo. La mia non è una banale dichiarazione di amore, c’è anzi dell’amarezza in tutto questo: perché, come dico sempre, mi sarebbe piaciuto fare il cronista negli anni ’70-’80, quando i giornalisti potevano seguire un evento in totale libertà, senza l’obbligo asfissiante di indossare al collo centinaia di pass-accrediti, senza avere a che fare con addetti stampa e senza dover seguire canovacci preconfezionati (che spesso generano dichiarazioni copia-incolla). Nei tornei Challenger il sapore del passato c’è ancora, ogni volta sembra di salire sulla mitica DeLorean e rivivere gli anni in cui il giornalista poteva andare tranquillamente negli spogliatoi e chiacchierare con il giocatore, tempi in cui tra atleta e cronista poteva instaurarsi un rapporto che andava ben oltre il semplice “lavoro”: il torneo di Bergamo, naturalmente, non fa eccezione.
Piccolo aneddoto: anni fa, al tristemente defunto Challenger di Monza, feci un intervista a Daniele Bracciali. Nulla di strano, se non fosse che Braccio mi ricevette nello spogliatoio, appena uscito dalla doccia: scene che, nei tornei Atp e nel mondo dello sport in generale, sono impensabili con i tempi che corrono. Ma nei Challenger la magia non svanisce mai, ti può capitare di andare al PalaNorda, entrare liberamente e muoverti senza troppe limitazioni (anche se gli addetti alla sicurezza hanno sempre l’occhio ovunque): si può mettere la testa nella players lounge e osservare Alexander Kudryavtsev e Peter Gojocwizk “svaccati” su un divano, oppure incrociare su una scalinata il duo Andrea Arnaboldi e Flavio Cipolla, in odore di pausa pranzo in attesa del match di doppio. “Kowalczyk e Siljestrom sono due bombardieri, il campo è veloce per cui sarà dura” dice Flavio, il “rincoglionitore” (come lo definì tempo fa Andrea Scanzi, lui se la ride quando glielo ricordi): frasi profetiche, visto che la coppia azzurra avrebbe poi perso al match tie-break.
C’è poi Radek Stepanek, sconfitto al primo turno da Michael Berrer, che si aggira ancora per i corridoi: è lui una delle star più attese e infatti le hostess e i ball boys si accalcano per un selfie (del resto non capita tutti i giorni di farsi una foto con un vincitore di Coppa Davis). In tribuna, seduto in un angolo, c’è poi un volto noto che assiste al match tra Pierre Hugues Herbert e Go Soeda: è Oscar Magoni, vecchia conoscenza del mondo del calcio (centinaia di presenze in serie A con Atalanta, Bologna, Napoli) e grande appassionato di tennis. Mago Merlino, come fu definito ai tempi del Napoli, è inoltre coinvolto direttamente nella manifestazione dato che il main sponsor (Perrel) è proprio l’azienda della sua famiglia. “Per gli sponsor è sempre più dura – dice – ma qui a Bergamo c’è da sempre un ottimo livello tecnico. Fortunatamente è tornato Dustin Brown, con lui ci si diverte sicuramente”.
Pillole di un pomeriggio bergamasco: sono molto legato a questo torneo, nel 2009 ero uno dei giudici di linea nella finale tra Lukas Rosol e Benedikt Dorsch, gara arbitrata da Gianluca Moscarella. Rosol è uno dei tanti giocatori importanti che, dal 2006 (anno della prima edizione), si sono fatti vedere da queste parti: basti pensare a Simone Bolelli (trionfatore nel 2014), Fabrice Santoro, Viktor Troicki, Andreas Seppi (vincitore nel 2008 e nel 2011), Benoit Paire, Davide Sanguinetti, Sjeng Schalken, Jo Wilfried Tsonga, Ernests Gulbis, Dominik Hrbaty, Arnaud Clement. Eh si, la grande bellezza dei Challenger: che Dio (denaro) ce li conservi per sempre così.
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