di Andrea Martina
Quando all’interno di un discorso compare la parola “Fab Four”, verrebbero in mente subito i quattro ragazzi di Liverpool che hanno cambiato la storia della musica negli anni ’60. Ma se parliamo di tennis, soprattutto degli ultimi anni, con quel termine si riconoscono quattro ragazzi che, ciascuno a suo modo, stanno scrivendo capitoli di storia tennistica. Federer, Nadal, Djokovic e Murray.
Però è vero anche che i soprannomi e le etichette sono alla portata di tutti e che, ad esempio, negli ultimi anni si sia fatto un abuso del termine “Fab Four” in Francia. La cosa appare subito insolita se si considera che siamo proprio nel paese di Alexandre Dumas e de “I tre moschettieri” (qui pare quasi superfluo dover sottolineare che ad Athos, Porthos e Aramis si aggiunse D’Artagnan).
Ma si sa, i francesi sono capaci di tutto. D’altronde è ancora molto fresco il titolo del quotidiano sportivo “L’Equipe” il giorno dopo la fine del Tour de France 2014: “Peraud e Pinot, un grand bravo!”. Per quelli poco pratici con le due ruote occorre specificare che i citati Peraud e Pinot sono arrivati secondi e terzi nella classifica generale con una vagonata di minuti di ritardo dal vincitore italiano Vincenzo Nibali, unico padrone della corsa francese, a cui sono stati gentilmente concessi i sottotitoli dell’articolo. Geniali.
Ma torniamo al tennis. In questo momento dell’anno a fare da padrone è il cemento americano e come conseguenza uno degli argomenti più discussi è la crisi del movimento a stelle e strisce, aggrappato al solo Isner che oltre ad un certo limite non va. Dei francesi si è parlato poco e se Tsonga non avesse trovato una settimana provvidenziale a Toronto le prossime righe di questo articolo sarebbero state ancora più dure.
I “quattro” francesi li conosciamo bene: Tsonga, Gasquet, Monfils e Simon. Nati tra l’84 e l’86, tutti sono stati almeno una volta nei primi 8 del mondo e fino a poco tempo fa era consuetudine trovarli in fondo ai tornei più importanti. Ma questo 2014 sembra un vero e proprio incubo e il rischio maggiore è trovarsi a fine anno senza nessun rappresentante nella top 10, una similitudine con la crisi statunitense.
Le cause non possono che essere cercate nelle partite giocate. In questa stagione il bilancio di tutti i tennisti francesi con i primi 8 della race è imbarazzante: 35 vittorie e 5 sconfitte. E qui non parliamo solo dei vari Nadal e Djokovic che riescono a battere l’avversario già nel tunnel d’ingresso al campo. Ci sono anche Ferrer, Raonic, Dimitrov e Berdych, tennisti molto forti ma non impossibili.
Questa statistica prende peso se si pensa alla caratteristica principe della gran parte dei tennisti francesi: belli e perdenti. Molti potrebbero prendere come modello estetico Benneteau, tennista dai lineamenti e dai gesti molto francesi. Ma il vero riferimento è proprio Tsonga: spettacolare, coinvolgente, ma solo per qualche settimana all’anno.
Il problema è che quei 5 match vinti su 40 giocati contro i migliori otto tennisti del mondo danno un quadro abbastanza chiaro: i francesi sono incapaci di stupire come facevano qualche anno fa. Ognuno ha avuto i suoi problemi.
Tsonga con la recente vittoria a Toronto ha, probabilmente, salvato una stagione fino ad ora terrificante dove non riusciva ad andare oltre agli ottavi dei tornei dello Slam, per non parlare di una inspiegabile ricerca di un gioco ordinato e continuo. Proprio lui che dell’esplosività aveva fatto un marchio vincente.
Gasquet, dopo aver chiuso un ottimo 2013 nei primi 10 coronato dalla semifinale agli US Open, è diventato una comparsa del circuito dei tornei maggiori.
Monfils ormai si è ripreso definitivamente dai suoi guai fisici, ma con l’avanzare della nuova generazione di tennisti sembra aver trovato quella che è la sua reale dimensione: intorno ai top 20 e se va bene fa un quarto di finale al Roland Garros.
Simon, invece, sembra aver dato tutto quello che aveva nei suoi migliori anni (2008-09). Ora arranca nelle retrovie, ma resta sempre un gran bel giocatore. Il problema è che può esserci anche un modo dignitoso di arrancare e non riuscire a vincere più di due match in un torneo (successo solo nel 250 di Nizza) può rientrare nel capitolo “crisi”.
Insieme a questa bella compagnia ritroviamo i soliti noti Benneteau, Mathieu, Mahut, Chardy e i mai esplosi Paire e Mannarino. Presi singolarmente sono tutti tennisti che possono sempre regalare giornate di ottimo tennis, ma la continuità sembra non essere la benvenuta in terra transalpina. La cosa più strana è come questo movimento, che vanta una quantità e qualità di top 100 invidiata da molte federazioni, non riesca ad esprimere un vero top 5 che possa vincere uno Slam. C’è andato vicino Tsonga, ma per vincere uno Slam non basta solo la follia di un giorno, ma la continuità di saper battere 2 o 3 top ten in una settimana.
Se poi si aggiunge il pazzesco livellamento verso l’alto che sta avendo il tennis è chiaro vedere come i nuovi Raonic, Dimitrov e Nishikori sembrano di un’altra categoria rispetto a Monfils, Simon e a questo Gasquet.
A questo punto l’appassionato sporadico di tennis potrà domandarsi: “Va bè, non riescono a vincere gli Slam. Ma con quei 4 in questi anni avranno almeno vinto qualche Coppa Davis”. La risposta è no, non vincono da 13 anni e lì si aprirebbe un altro grosso capitolo di sconfitte difficili da spiegare. Ma meglio evitare, Nibali ci ha dimostrato quanto possono essere permalosi.
Leggi anche:
- None Found