di Piero Emmolo
Archiviata la prima edizione del challenger di Cortina d’Ampezzo, la tappa italiana ci ha dato ulteriore conferma della bontà del tennis del balcanico Filip Krajinovic. La regione veneta deve evidentemente portar bene al serbo, già vittorioso a Vicenza nel 2014. Nel bel mezzo dei due trionfi italiani, un pò d’azzurro anche in quel di Amburgo, dove Filip ha superato un frustrato Fognini più concentrato a duellare col proprio invadente egocentrismo che a fronteggiare l’avversario.
Krajinovic è un classe 1992, venuto agli onori della cronaca nel 2010 per aver battuto all’ATP di Belgrado Novak Djokovic che di quel torneo, oltre ad essere idolo indiscusso, era l’autentico deus ex machina organizzativo. Il dovere di cronaca impone di precisare che il due volte vincitore di Church Road non fosse al meglio in quella circostanza, ma anche di sottolineare come la tempra caratteriale del buon Filip fosse emersa con chiarezza già in quell’occasione. É notizia di giornata l’avvio del connubio tra il giovane serbo e Diego Nargiso. Già l’ex Davis man napoletano aveva dato annuncio dell’imminente novità nella sua carriera lavorativa tramite il personale profilo facebook. Sibillinamente, fece cenno di essere in procinto di cimentarsi in un’importante avventura. Stamane l’annuncio ufficiale.
E proprio quel Djokovic affrontato a Belgrado ha assunto le vesti di pigmalionico agente sportivo, individuando in Nargiso il coach ideale per l’approdo di Krajinovic nell’Olimpo del tennis. Filip vince e convince. Ma soprattutto nella finale di Cortina ha mostrato umiltà e capacità di adattamento. Il primo set contro Gaio ne è inconfutabile prova. L’italiano nella prima partita è pressochè ingiocabile. Sciorina schemi di gioco con assoluta padronanza e ricama dropshots con precisione chirurgica. Ma Filip è lucido. Realizza di non essere nella propria giornata di grazia, come ammetterà in sala stampa, e inizia a praticare un tennis più ponderato e ragionato, prevalendo alla distanza. La carriera nel mondo professionistico del serbo ha conosciuto un estemporaneo proscenio. Dopo la semifinale colta in patria, un infortunio alla spalla lo ha tenuto a lungo fermo ai box. S’è temuto anche l’abbandono delle competizioni agonistiche. E nel frattempo il suo quasi coetaneo Dimitrov non solo iniziava ad inanellare i primi acuti nel circuito maggiore, ma veniva accreditato di possedere i connotati qualitativi di una Divinità del tennis qual’è Federer.
Anche Filip, nel tennis, aveva la sua personalissima stella polare. E l’aveva anche superata in un confronto diretto. Ma la buona sorte gli ha voltato le spalle. Poi un lento ritorno. E durante quella finale di Davis chissà quali pensieri saranno balenati nella mente del ventiduenne di Sombor, quando per ovviare alla falcidia di infortuni, il capitano serbo riesumò dalle retrovie tennistiche di Belgrado e dintorni l’onesto e volenteroso Lajovic. Magari avrà pensato di non esser stato al posto giusto nel momento giusto. O magari avrà trovato proprio in quell’occasione la forza di andare avanti. Memore dell’abusatissimo quanto ineccepibile assunto stakanovistico secondo cui dopo tanto impegno e duro lavoro, il destino prima o poi le chances te le concede.
“Allora un Dio c’è”, ha esclamato il balcanico al termine del tour de force mattutino-pomeridiano della domenica di Cortina. Perché un infortunio a quell’età può davvero minare le certezze di un atleta. Vanificarne la fiducia dopo tanti piccoli passi verso le porte del tennis che conta. Far insorgere piccoli ed inevitabili complessi di competitività-inferiorità con gli altri frequentatori della dimensione juniores che frattanto migliorano tennisticamente e progrediscono in classifica. Ma Filip è riuscito a risalire la china. Talvolta si allena con l’ex semifinalista di Wimbledon Mario Ancic. Uno che con gli infortuni ha una certa dimestichezza. Anche in età piuttosto giovanile. Chissà se proprio il croato sia riuscito a dare quella spinta emotiva necessaria a contribuire alla rinascita di Krajinovic. Il resto l’ha fatto quel campionificio su scala mondiale che prende il nome di Bollettieri tennis academy. L’entourage tecnico di Bradenton gli ha messo a disposizione nutrizionisti ed esperti di mental training, oltre alla salomonica sagacia del guru Nick. Le storie dei serbi che emergono dalle macerie sociali ed istituzionali della guerra dei Balcani sono sempre più belle da raccontare. Conciliano col tennis e ne esaltano il vero spirito. Sombor, sua città natale, è stata infatti uno dei teatri più sanguinosi della guerra in Iugoslavia. Caratterialmente, Filip è un tipo deciso ed irrequieto. Parla spesso con l’arbitro e talvolta ne contesta istrionicamente le decisioni discutibili. Il tutto però entro i ranghi dell’umana ed illogica ratio tennistica. Adesso Nargiso dovrà tirar fuori il meglio dai cavalli del suo gioiellino. Con impegno e spirito d’abnegazione. Magari scusandosi a nome di tutti gli italiani per i vergognosi epiteti che gli sono stati rivolti pochi giorni fa da parte di chi tra poche settimane i colori azzurri li indosserà a Ginevra. Gesti del genere vanno sempre condannati. Non ci sono attenuanti nè di irruenza caratteriale nè di tifo. Pena la delegittimazione del nobilissimo tennis a ” quell’orrendo calcio” di Clericiana memoria. E non ce lo possiamo permettere. Si mercificherebbe l’essenza di uno dei pochi sport ancora incontaminati dalla spuria ignoranza ed imbecillità di molti altri contesti.
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