“Jordan è un gran bravo ragazzo, ha una cultura del lavoro impressionante”. Protagonista Jordan Thompson, parole e musica di Lleyton Hewitt, uno che in quanto a cultura del lavoro in campo tennistico non è mai stato secondo a nessuno. E il fatto che il neo-capitano di Davis australiano spenda parole così significative per un giovane tennista non è da sottovalutare.
Jordan Thompson, nativo di Sidney classe 1994 – due anni in meno di Bernard Tomic, uno in più di Nick Kyrgios – non è tra i volti più noti della feconda nidiata di tennisti Aussie che popola il circuito. Oltre ai due appariscenti quasi coetanei, gli altri nomi che più facilmente vengono in mente pensando al tennis down-under sono probabilmente quelli dello sfortunato (quest’anno) Thanasi Kokkinakis e del talentino Omar Jasika, uno US Open juniores in cascina e tanti dubbi sul proprio futuro. A Thompson francamente pensano in pochi, nonostante si sia guadagnato da due settimane la top-100 ATP e in particolare una posizione numero 89 che reclama un certo rispetto.
L’ingresso tra i primi 100 al mondo a 22 anni appena compiuti suona poco di exploit in un tennis come il maschile contemporaneo in cui la generazione “di mezzo” sembra definitivamente schiacciata tra il lontano tramonto dei campioni e quella arrembante dei più giovani. E di “exploit” non si può parlare nel caso di Thompson anche per come un risultato di classifica tale è stato raggiunto.
Nel novembre del 2014 Jordan era il numero 274 del mondo e nella tarda primavera australiana conquistava la wild card per gli Australian Open 2015 vincendo i playoff con cui Tennis Australia mette in palio uno degli inviti per la competizione. La storia di quel torneino si concluse proprio con la vittoria di Thompson ai danni di John-Patrick Smith alla conclusione di cinque set devastanti con annessi crampi, caldo torrido, epistassi e un warning che costrinsero gli organizzatori a portarlo via dal campo su un golf kart. Thompson era sicuramente un buon giocatore, un lottatore come piacciono a Lleyton Lion Hewitt, ma con una drammatica incapacità di chiudere i punti. Forse proprio quel match, laconico riassunto di un problema del genere, spinse il coach di Jordan – Des Tyson – a lavorare su un gioco più aggressivo, meno di rimessa e più improntato alla ricerca veloce del punto.
Nel gennaio di quest’anno Thompson è arrivato a giocare nella sua Sidney il sempre interessante 250 della capitale. La classifica lo dava al 149 del mondo, con un salto di 125 posizioni durante il 2015 consolidato dalla vittoria in tre tornei Futures (Australia F4, Thailandia F6, Thailandia F7) e da exploit a livello più alto come la semifinale raggiunta la settimana precedente nel challenger di Noumea in Nuova Caledonia. A Sidney Thompson si è tolto lo sfizio di superare un turno ATP, seppure coadiuvato dal ritiro del suo avversario di quel giorno Martin Klizan, e di giocare un match consistente contro Bernard Tomic. La vittoria di Tomic – un netto 6-2 6-2 – non rende merito al match del pur meno talentuoso Thompson che sul campo blu elettrico dell’Apia International ha mostrato al pubblico di casa tutti i progressi di una stagione spesa in maniera intelligente. Serve&volley, ricerca di vincenti in lungolinea, contropiede, frequenti discese a rete contro Tomic non sono serviti, ma non è stato certo un problema di tattica a dare l’andazzo all’incontro.
Da quel momento non è iniziato un grandissimo periodo nella stagione di Thompson, eliminazioni al primo turno a Melbourne, ma anche nei challenger di Launceston, Bergamo e Wroclaw prima dell’exploit che l’ha spinto al numero 123 del mondo: la vittoria nel challenger su veloce indoor di Cherbourg alla fine di un percorso che gli aveva messo di fronte giocatori niente affatto banali a partire da Pierre-Hugues Herbert superato nei quarti di finale per concludere contro il suo oppositore per il titolo Adam Pavlasek.
Da qualche giorno è stata ufficializzata da Tennis Australia la wild card concessa a Thompson per il Roland Garros, decisione che premia il ranking raggiunto dal ragazzo di Sidney ma che è arrivato troppo tardi per passare dalle forche caudine della pubblicazione dell’entry list del secondo slam stagionale. Probabilmente a Jordan non avrebbe fatto male giocare a Parigi qualche match di qualificazione per rodare una capacità di gioco sulla terra rossa europea (si è espresso egregiamente su quella cinese con la semifinale raggiunta nel challenger di Nanjing e la vittoria in quello di An-Ning, ma non è una superficie realmente assimilabile al mattone tritato europeo) che a oggi su questi livelli è poco meno di un mistero. Il solo match giocato a Roma, nel tradizionale challenger del Garden, e perso contro Marco Trungelliti è davvero troppo poco per giudicare.
Da una terra che per la sua generazione ha fatto emergere talenti roboanti uno come Jordan Thompson è davvero l’Aussie che non ti aspetti, probabilmente non sarà mai un grande crack, lontano nel talento e nella presenza dai già citati Kyrgios e Tomic, ma che abbia l’atteggiamento giusto per prendersi qualche soddisfazione sembra fuori da ogni più ragionevole dubbio.
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