dal Foro Italico, Marco Mazzoni
Cielo grigio su Roma, ore 12.18. Il silenzio di un Centrale ancora semivuoto è squarciato da un boato improvviso. Non un aereo a bassa quota, ma il primo servizio di Jerzy Janowicz. Una legnata terrificante, pure a braccio “freddo” essendo il suo primo game di battuta, sparata a 231km/h (!), che crea un eco sinistro pizzicando un lembo di riga centrale. Tsonga vede passare inerme questo missile giallo, chinando la testa e presagendo tempesta. Il gigante polacco è in ottima forma fisica, corre e scatta nonostante i suoi due metri, è molto presente in campo. Il suo linguaggio del corpo è estremamente positivo, cerca il suo angolo incitandosi in tutti i momenti caldi del match. Un break nel primo set, un paio di punti ben giocati nel tiebreak lo portano al successo, che gli vale l’ottavo di finale a sfidare Gasquet, in quello che rischia di essere il match del giorno domani.
Che fenomeno Janowicz, un giocatore davvero diverso da quelli che mediamente animano il tour maschile. In un tennis di alto livello dominato da lunghi e ripetuti scambi, più a forzare l’errore che rischiare il winner, il polacco è forse l’unico vero attaccante. Attenzione: il serve & volley non è nel suo vocabolario, e del resto serve così forte che seguire subito tale battuta a rete sarebbe fisicamente impossibile… E’ un attaccante “moderno”, uno che spinge a tutta, subito, cercando di usare tutto il campo, nei suoi angoli e nei pressi della rete. Mica poco di questi tempi, quando è raro vedere vincenti già dalla risposta o al secondo – terzo colpo.
Dal vivo la sua capacità di accelerazione è impressionante. I suoi piedi, nonostante la stazza, sono veloci, grande ma leggero; il suo braccione è molto ben assistito da tutto il corpo nella spinta, così che i suoi colpi escono come saette della sua racchetta. Il tutto fa ancor più impressione per il suo modo di stare in campo: entra nella palla senza esitare, appena può. Jerzy cerca immediatamente di mettere il rivale alle corde, con il suo poderoso servizio, oppure al secondo colpo dopo una risposta quasi sempre molto difensiva del rivale. E anche quando è lui alla risposta, è subito estremamente aggressivo, anche di rovescio – il suo colpo peggiore. Che sia un dritto violento a cercare la riga o l’apertura del campo, che sia un rovescio strappato (e sempre al limite) o un’improvvisa smorzata, non fa differenza. Lui impone il suo gioco. Winner, attacco all’arma bianca, smorzata vincente o che provoca l’errore, o suo errore diretto nei vari tentativi. Nessun compromesso. Adrenalina a mille. E guai a considerarlo solo servizio. Ovvio che certe sue prime (e seconde) fanno la differenza, ma la sua vera differenza, anche rispetto alla maggior parte dei colleghi, è nell’atteggiamento, in quel suo modo quasi unico di spaccare in due lo scambio. Adrenalina a mille anche per il pubblico, perché dalla sua racchetta può uscire di tutto, in modo assolutamente imprevedibile, e lo spettacolo nelle giornate in cui le palle gli restano in campo è più che assicurato. Infatti il pubblico del Foro si è infiammato più volte nei suoi attacchi e nelle sue ripetute smorzate che creavano situazioni divertenti di tocchi sotto rete.
Genio, follia o istinto? Un mix del tutto, ma attenzione: il tennis di Janowicz è paradossalmente più percentuale di quello che si potrebbe pensare. L’istinto e la fantasia guidano il suo tennis verso un piano tattico molto ben definito, quello di non cadere mai in difesa, visto che quella è la parte più lacunosa del suo gioco. Jerzy spara e crea situazioni sempre diverse, che mandano tatticamente nel panico i rivali perché non sanno mai cosa aspettarsi dalla racchetta “pazza” del polacco; inoltre l’avversario affrontando questo tipo di giocatore non riesce mai a prender ritmo, e la maggior parte dei tennisti, anche quelli molto forti, amano scambiare e trovare il feeling nello scambio prima di tentare un colpo rischioso. Janowicz ti logora, ti manda fuori palla e non ti da ritmo. Fa e disfa. Tra follia e coraggio non tira mai indietro la racchetta, soprattutto nei momenti duri come le palle break. Il braccino non sa cosa sia, e gioca estremamente sui “nervi”. Questo è forse il più grande limite del polacco, quello di avere un tennis così estremo e adrenalinico da rischiare di “bruciarsi” molto molto rapidamente. Tutto e subito. Di andare lui stesso in confusione nelle giornate in cui sente meno la palla e gli scappa fuori. Potrebbe essere un limite importante nei grandissimi palcoscenici, gli Slam, dove 3 su 5 c’è bisogno anche di una certa tenuta al massimo livello, almeno un paio d’ore. Certo avere un servizio così devastante è una bella sicurezza, ma parlare di “sicurezze” nel gioco di Jerzy è un paradosso.
L’unica certezza è che quando Janowicz scende in campo, a meno di giornate no, lo spettacolo è sempre assicurato.
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