di Giorgio Giosuè Perri
Sono gli anni delle grandi collaborazioni, gli anni in cui un big non può fare a meno di avere un campione del passato al proprio fianco. Gli anni un cui pensare al marketing, è divenato inevitabile. Se la scelta del coach, un tempo era legata alle capacità di questo, con il passare del tempo abbiamo visto come il discorso abbia finito per rivelarsi al quanto affrettato. E di certo, ne abbiamo viste parecchie: Federer-Edberg, Djokovic-Becker, Murray-Lendl, e se in alcuni casi connubi come questi hanno finito per essere terapeutici, in altri abbiamo visto come la presenza o l’assenza dell’extra coach, sia risultata praticamente irrilevante.
Il caso – Nasce spontanea la domanda: a Federer o a Djokovic, serve veramente una figura di questo genere? La risposta che ne esce, è ancora più spontanea e probabilmente mette d’accordo la maggior parte degli appassionati. Nell’ultimo mese, però, due indizi, tranquillamente definibili “eccezionali”, hanno dato un’inconfutabile prova che un tennista, appena uscito dal professionismo, anche senza aver toccato i vertici della classifica mondiale e senza aver vinto prove dello slam può sicuramente dare una mano a giocatori in cerca di gloria. Parliamo di Fabrice Santoro, fresco coach dell’atipico Serjiy Stakhovsky, ma soprattutto di James Blake che dall’anno prossimo, a modo suo, seguirà Jack Sock numero 42 delle classifiche mondiali e quarto giocatore americano dopo Isner, Querrey e Johnson. E’ prematuro dire che andranno senz’altro bene, ma è indubbio che queste collaborazioni tendono ad acquistare più credibilità rispetto ad altre, soprattutto perchè più attuali e più sincere.
James Sock – E se provassimo a fare un ibrido? Facciamo il caso che le parti migliori di Sock si unissero a quelle di uno che è stato numero quattro al mondo. Il paragone è un po’ rischioso, ma i tratti dei due statunitensi, finiscono in qualche modo per scontrarsi. Gran servizio, dritto molto potente e mentalità da campione. E’ indubbio, allo stesso tempo che bisogna parlare con la dovuta cautela, visto che la potenza dei colpi di Blake rappresentava nel circuito un must per tutti gli appassionati. Una cosa irripetibile, soprattutto se guardiamo nel nuovo millennio. Le accelerazioni di rovescio, i continui cambi di direzione e quel dritto che ogni volta che usciva dal piatto corde, sembrava voler fare i buchi per terra. Per essere uno statunitense che viveva con lo “spettro” di Roddick è impossibile non pensare che la mobilità fosse una cosa fuori dal normale, soprattutto per un giocatore che da piccolo aveva combattuto con una malformazione alla schiena, che gli aveva portato via tanto tempo. Come si fa non ricordare Blake con piacere e come si fa non ammettere che ogni sfaccettatura, lo rendeva uno dei più amati e stimati nel circus? Perchè ad essere sinceri, oltre ad essere un gran tennista, è sempre stato un grande uomo e un grande personaggio. Questo, però, non deve far arrivare ad un paragone tra i due, ponendo per scontato che Sock difficilmente in carriera potrà emulare i risultati del suo nuovo mentore, questo deve far pensare che il nativo di Tampa, Florida, con l’aiuto di Blake, potrà sicuramente fare quel salto di qualità che gli permetterà di prendersi ancora tante soddisfazioni, in ottica di un tennis che sta inesorabilmente cambiando.
Coach o amico? – Ecco, la cosa curiosa del rapporto che sta andando per delinearsi, sta proprio nell’inquadrare che questa collaborazione non porterà migliorie a livello tecnico, visto che Blake ha confessato di non voler seguire la stagione in prima persona, quanto a livello emotivo e tattico. Non aspettiamoci quindi che Sock cambi impostazione del servizio o che dall’anno prossimo tiri più forte. Non è un nuovo Blake quello che vedremo l’anno prossimo, ma un giocatore che potrà contare sull’appoggio di un mentore straordinario, che senza ombra di dubbio andrà a toccare le corde di un giocatore tutto sommato già impostato e pronto, ancora incapace però di dare il massimo in campo e in allenamento. Le parole di James sono chiare: “Jack ha un sacco di cose a cui pensare e ha bisogno di focalizzarsi sul proprio gioco, ed è per questo che io voglio essere la risorsa in più nel suo sviluppo. Se posso rendermi utile per qualcuno che si fida di me, spero solo di essere orgoglioso di quello che faccio”.
Tomorrow never knows – Ci sono storie che ancora prima di essere raccontate, ancora prima di essere vissute, hanno un gusto talmente dolce da spronare l’ascoltatore o il lettore a volerne sapere di più anche una volta finite. Questa, è una di quelle. Un po’ di aria fresca, una collaborazione sana e sicuramente piena di sentimento, era quello che serviva nel caos di uno sport sempre più propenso a guardare il lato economico e non quello emozionale.