Servire oltre 8000 aces vuol dire avere un posto tra i migliori 10 battitori di sempre nella storia del tennis. E non può esserci modo migliore che chiudere il punto più importante della carriera con un servizio devastante che l’avversario riesce a malapena a intuire, senza avere però la capacità di mandarlo dall’altra parte del campo.
21 Marzo 2010: Ivan Ljubicic ha appena vinto il Master 1000 di Indian Wells, il trofeo più importante nella sua carriera da singolarista.
Una vittoria inaspettata e in ritardo, anche perché il tennis aveva conosciuto il miglior Ljubicic nella stagione 2006. Un anno in cui se scorrevi la classifica dell’ATP incontravi al primo posto Roger Federer, poi Rafael Nadal e sul gradino più basso del podio c’era Ivan Ljubicic. Per alcuni anni al terzo classificato del ranking maschile veniva attribuito il soprannome di “primo tra i normali” e forse, per qualche mese, Ivan lo è stato davvero. Qualche anno dopo, con l’avvento di Djokovic e Murray, quest’etichetta è toccata di diritto al quinto tennista più forte del mondo, e qui si potrebbe chiedere a David Ferrer per avere conferma. Ma il duello Federer-Nadal era talmente esplosivo che nei tornei importanti tutti sapevano già quali erano i nomi dei finalisti e, nel mezzo, una truppa di ottimi tennisti si trovava costretta a non andare mai oltre alla semifinale.
Tra il 2006 e il 2009, infatti, il bilancio dei 45 tornei giocati nel circuito Master 1000 (negli Slam andava anche peggio) ha visto per ben 37 edizioni un vincitore tra Federer, Nadal, Djokovic e Murray. Le poche briciole lasciate per strada sono state raccolte da Berdych, Robredo, Davydenko, Roddick, Tsonga e Nalbandian. Quindi era piuttosto logico pensare a inizio 2010 che l’ormai 31enne Ljubicic avesse perso il treno buono per affermarsi almeno una volta in questa prestigiosa categoria.
Perché una ghiotta occasione, effettivamente, si era già presentata a fine 2005 nel Master di fine anno a Parigi-Bercy. Ma a sorprendere il gigante croato in finale fu il giovane 20enne Berdych in cinque set.
Al di là del torneo prestigioso che non arrivava, Ljubicic poteva comunque vantare una carriera invidiabile con la sua nazionale croata (medaglia di bronzo ad Atene 2004 con Ancic e vittoria in Coppa Davis l’anno dopo) e 9 tornei vinti nel circuito ATP.
L’ultima sua affermazione era arrivata nell’Ottobre 2009 a Lione, ma il livello della sua classifica era gradualmente sceso dopo quella magica annata, tant’è che ad Indian Wells, primo Master del 2010, si presenta da numero 26 del mondo. Il sorteggio è tutt’altro che buono, dato che agli ottavi di finale potrebbe incontrare Novak Djokovic, in una riproposizione di un match giocato qualche settimana prima sul cemento di Dubai: vinse il serbo con un impietoso 6/0 al terzo set. Con un bye al primo turno, il torneo di Ljubicic segue inizialmente i pronostici del sorteggio: al secondo turno batte la giovane promessa statunitense Harrison (6/2 7/6) e il giorno dopo liquida in poco più di un’ora il qualificato Dabul (6/2 6/3). Agli ottavi, come da copione, c’è Djokovic che il giorno prima è stato costretto da Kohlschreiber agli straordinari (7/6 al terzo set).
Il match di Dubai sembra essere alle spalle e Ljubicic riesce a piazzare la zampata decisiva nel primo set, vincendo per 7/5, e continuare con il suo tennis ordinato ed offensivo: 6/3 e biglietto staccato per i quarti di finale. È la sorpresa del torneo, dopo l’eliminazione di Federer nel terzo turno per mano di Baghdatis.
Ai quarti c’è l’argentino Monaco, sicuramente più a suo agio sulla terra rossa, ma comunque temibile se è in giornata. Infatti è lui a portarsi subito avanti nel punteggio, strappando a Ljubicic il set per la prima volta nel torneo. Il merito è senz’altro tattico, Monaco allunga gli scambi da fondo campo, risponde bene e appena ne ha l’opportunità prova a spostare il suo avversario. Ma se a 31 anni puoi non avere la brillantezza di un atleta più giovane di te, può essere l’esperienza a fare la differenza. Il croato rientra in campo e inizia a sparare fucilate al servizio e ad attaccare ogni palla utile: finisce 4/6 6/2 6/1 e in semifinale ci sarà Nadal.
Non è ancora riuscito ad affermarsi sul veloce degli US Open e si trova al numero 3 del ranking, scalzato da Djokovic: Nadal sta crescendo sensibilmente sulle superfici veloci, sa che la vetta del tennis passa da Indian Wells e ha perso un solo set in tutto il torneo. La situazione sembra mettersi subito in discesa per lo spagnolo che piazza subito il break a freddo e conserva il vantaggio per tutto il primo set. Nonostante un buon tennis da parte dell’avversario, nel secondo set l’impressione è che Nadal potrebbe chiudere la partita in qualsiasi momento: ha subito una palla break sul 2/1, poi ne arrivano tre consecutive sul 4/3 e un’altra ai vantaggi dello stesso gioco. Ljubicic riesce a salvarsi in tutte e cinque le occasioni aggrappandosi letteralmente al servizio. Da lì in poi acquista sicurezza, segue i punti importanti a rete e porta il match al terzo set: 6/4. Ma a sorprendere non è solo la sua solidità al servizi: sembra che sia tornato il Ljubicic del 2006, capace di coprire molto bene tutto il campo con le sue lunghe leve, grazie soprattutto all’egregio lavoro fatto con il coach Piatti negli anni.
Nadal inizia ad avere meno fiducia nei propri colpi, sente che la possibilità di arrivare in finale può sfuggirgli di mano e non riesce mai ad affondare come all’inizio, mentre dall’altra parte della rete, complice anche un po’ di stanchezza, il croato si concentra sul proprio servizio e rischia sempre il vincente nei turni di risposta: si arriva al tie-break. Il maiorchino parte bene aggiudicandosi il primo punto, poi Ljubicic decide che è arrivato il momento migliore della sua carriera. Vince 7 punti consecutivi liberando tutto il repertorio: aces, passanti lungolinea di diritto e rovescio (goduria), attacchi chiusi con chirurgiche volée. È finale, ma quello resterà il match più bello del torneo e, forse, della sua carriera.
Roddick è pronto per vincere Indian Wells: sta giocando molto bene (la settimana successiva vincerà il Master 1000 di Miami) e dopo l’ultima finale a Wimbledon ha dimostrato di poter essere ancora molto competitivo. La trama sembra semplice: si affrontano due tra i migliori battitori del circuito su una superficie veloce, la differenza la faranno pochissimi punti. Il primo set è un fiorire di missili sopra i 200 km/h che conducono ad uno scontato tiebreak: se lo aggiudica Ljubicic, grazie ad un mini-break in apertura. Il secondo parziale non si sposta di un centimetro da quello che l’aveva preceduto, con la sola differenza che il punto finale sarà quello più importante della carriera di Ivan. Mani al cielo, in un’esultanza classica, composta, e sguardo subito rivolto verso il proprio angolo. Il quadro di una bellissima carriera a cui serviva l’ultima, decisiva, pennellata d’autore.
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