di Luca Brancher
Berfu Cengiz. Un nome che a tanti non dirà molto, a tutti, ad eccezione degli appassionati di tennis minore, sia inteso come livello di tornei che per quanto riguarda l’età. Berfu Cengiz è infatti una giocatrice turca classe 1999 che lo scorso weekend ha quasi centrato il suo primo titolo in carriera, non a livello giovanile, ma pro’, arrivando a pochi giochi dall’ottenere lo scalpo della rumena Diana Buzean per meritarsi la palma di migliore nell’ennesimo 10.000$ organizzato ad Antalya. In un periodo in cui le competizioni minori non hanno avuto la crescita esponenziale che un lustro fa ci si attendeva, come condizioni e numero, la Turchia ha preso sempre più quota all’interno di questo mercato di nicchia, diventando un vero punto di riferimento, e giocoforza facendo le fortune del suo stesso movimento interno, che ha maggiori occasioni di crescere, anche mediante gli sponsor, come Kia e Turkcell, che hanno deciso di investire. Ma non è solo questo, ce lo insegna la storia dello sport. Ci sono avvenimenti secondari, almeno apparentemente, che alla lunga possono assumere un altro significato.
E se, quindi, le fortune della Turchia fossero invece cominciate esattamente undici anni fa, quando, alle porte del Tac Spor Tennis Club di Istanbul si presentò un giovincello piuttosto smilzo accompagnato dalla madre, i quali, rimasti affascinati dalla bellezza della città dei due continenti, decisero che il loro futuro non sarebbe più stato nell’arida Samarcanda, da dove provenivano, bensì nella parte asiatica della moderna Costantinopoli? Perché proprio così è iniziata la storia di Marsel Khamdamov in Turchia, il giocatore diventato famoso come Marsel Ilhan, ovvero il tennista che ha messo la nazione della luna e della stella sulla cartina geografica del mondo della racchetta.
La vita di Marsel non comincia chiaramente quel giorno, perché ha ormai 17 anni quando tenta la via dei provini nei centri sportivi del sud di Istanbul, situazione che gli pare tuttavia idilliaca se comparata a quanto accadeva in Uzbekistan, dove il tennis aveva ruoli marginali e quella fame di racchetta, sorta in lui improvvisamente a 3 anni, e la coscienza non è nemmeno pienamente sviluppata, ha bisogno di essere vinta. Il primo arnese che si ritrova a maneggiare è un vetusto reperto ritrovato in casa, che prova ad armeggiare senza grande soddisfazione per un periodo troppo lungo, quando il suo fisico non lo supporta ancora in maniera sufficiente. E’ solo alla soglia dei sei anni, e nel mentre la racchetta tra le sue mani non pare più il pennello grande della vecchia pubblicità del Cinghiale, che il piccolo di casa Khamdamov viene portato sul campo da tennis, ma se possibile, invece di attenuarsi, l’amore per questa disciplina esplode. “Ed era così strano, tutti i suoi compagni di scuola avevano interessi diversi da una palla di feltro, era una passione innata” ricorda la madre “e non solo: stava ore a guardare i giocatori più grandi che scambiavano, magari si adoperava come raccattapalle, guardandoli con una strana ammirazione, sebbene fossero amatori qualsiasi. Al tempo in Uzbekistan il circuito non faceva tappa.”
In un qualche modo, piuttosto raffazzonato, Marsel continua a praticare ed il primo momento di gloria lo vive all’età di otto anni, quando si aggiudica una competizione che in palio mette ben due racchette, un vero lusso, considerando che in Uzbekistan “non era così facile trovarne”. Non sono di certo le qualità in campo a mancare al giovanotto, che nel frattempo gli allenatori fanno praticare con compagni sempre più grandi, tanto che a 13 si trova a non sfigurare, anzi a battere, quelli di 17 – non stiamo comunque parlando di prodigi – sono quelle finanziare a non essere dello stesso grado. Il padre del futuro turco, Kahor, viene a mancare per un male incurabile, e lo stipendio della madre Madiya, insegnante di lettere, non è sufficiente. Una volta diplomato, l’idea di fare il tennista, nonostante la madre non sia di questo parere, non scompare, ma c’è bisogno di qualche entrata economica, e galeotta è una trasferta ad Istanbul, durante la quale nasce l’idea di cercare qualche aggancio. La situazione è disperata: il ragazzo che a 17 anni bussa ai cancelli dei circoli sportivi della penisola anatolica non può nemmeno permettersi di pagarsi una nuova incordatura. La via verso il professionismo non è lastricata di buone intenzioni, ma di tantissima speranza nel prossimo.
Se il buongiorno si vede dal mattino, allora Ilhan intuisce che la politica del “porta a porta” è corretta: il coach serbo del citato circolo accetta di dargli un occhio, ma per non annoiarsi troppo gli propone di disputare una sfida. Tempo qualche decina di minuti ed il 6-1 confezionato ai danni del maestro del circolo rende superfluo andare oltre. “Non male, davvero”. Qualche giorno dopo un altro istruttore ci prova: respinto con perdite. Non c’è nessuno, in quel club, e forse anche in quelli limitrofi, in grado di sconfiggerlo. Ed allora il presidente del circolo decide di dargli una possibilità, garantendo per lui anche nella richiesta di quella cittadinanza che a quel punto sembrava inevitabile abbracciare. “Una seconda vita a 17 anni.”
Per la naturalizzazione ci sono voluti quasi tre anni – dovette scegliere un nome, e decise per Ilhan “mi ispirò subito”, che tradotto vuol dire sovrano “tanto lentamente la burocrazia ci impiegò a compiere il suo corso, quanto velocemente mi arrivò la cartolina per la visita di leva” – cosicché a novembre del 2006 Marsel Khamdamov esce di scena per lasciare il posto a Marsel Ilhan. Grazie al sodalizio con Uner Can, un ex-pro turco, e gli aiuti della Kia Motor, per tre anni si può finalmente concentrare sul grande amore della sua vita senza troppi patemi: andrà avanti così fino alla primavera del 2007, momento in cui Marsel lascerà il Tac Spor per accedere alla corte di Ali Riza Toptas “Quel circolo lo porterò nel cuore per sempre, mi ha permesso di ricreare un ambiente simile a quello familiare.” Il 2007 è però l’anno del lancio definitivo sul circuito: inizia alla 1.320esima posizione, chiude 1.000 posti più in alto, complici i primi due titoli ITF vinti, uno in Turchia ed uno in Spagna, a Cordoba, oltre alla finale nel challenger di Karshi, Uzbekistan, dove, partito dalle qualificazioni, viene sconfitto in finale da un suo ex-connazionale, Denis Istomin. Ilhan, però, è ormai una stella del tennis turco, ed è molto interessante, per comprendere il mondo e l’universo di questo introverso ragazzo, citare quale incontro, all’interno di un’annata che più ricca di soddisfazione difficilmente sarebbe stata immaginabile – si era posto infatti come obiettivo quello di concludere l’anno attorno alla 800esima posizione – ricordi più vividamente “La semifinale del campionato turco di quell’anno, in cui sfidai Baris Erguden. Persi 4-6 7-6 6-3 ed ebbi qualcosa come 13 palle per chiudere la contesa in mio favore. Fu drammatico, ma è una partita che serbo nel mio cuore perché mi ha fatto capire che, per emergere, non bisogna mai arrendersi, e i particolari vanno curati alla perfezione. Così è stato per me.”
Ed è naturale conseguenza che Ilhan, col tempo, avrebbe frantumato tutte quelle barriere che nessun tennista della nazione di Istanbul aveva mai potuto e osato infrangere: nel giugno del 2008, a Ramat Hasharon, è il primo turco ad aggiudicarsi una manifestazione challenger, mentre nell’agosto del 2009 è il primo ad accedere ad un tabellone principale di uno Slam, allo U.S. Open e, non contento, rimontando uno svantaggio di due set ad uno al belga Olivier Rochus, accede al secondo turno, conquistando, allo stesso tempo, la prima vittoria nel circuito maggiore ed in uno Slam. In Turchia diventa una sorta di eroe e, contemporaneamente ai massici investimenti che la federazione decide di effettuare nell’organizzazione di tornei, assurge a modello ed idolo di tanti ragazzini pronti ad imitarlo con una racchetta in mano. L’evoluzione naturale della sua carriera non è però quella eroica che tutto lascerebbe presagire, poiché dietro il successo di Marsel, più che il talento è l’abnegazione a farla da padrone: cresciuto su campi in terra battuta polverosi, scopre solo in Turchia che il suo tennis è più adatto alle superfici rapide “non sono per niente adatto all’attesa e alle grandi corse, la terra battuta impone un tipo di gioco che non è il mio.” E poi quel movimento sul dritto che parte in quella maniera inusuale non è esattamente la cosa più bella vista su un campo da gioco, ma, in fondo, cosa importa?
Tra il già citato agosto del 2009 ed il maggio del 2011, Marsel coglie il suo grande Slam, costituito da secondi turni ottenuti partendo sempre dalle qualificazioni. Nel gennaio 2010, pur sconfitto dal tedesco Kindlmann nel terzo match di qualies, entra come lucky loser e supera il disastrato francese Sebastien Grosjean, a luglio è il tempio di Wimbledon a vederlo rimontare due set al brasiliano Marcos Daniel, mentre nel maggio 2011 è addirittura Tommy Haas a cadere sotto i suoi colpi a Bois de Boulogne, ancora ringraziando il sorteggio dei ripescati. A Flushing Meadows, nel 2010, si concede addirittura il bis, sfruttando il ritiro del canadese Dancevic – due ripescaggi ed un ritiro, non male in quanto a protezione divina, comunque – e, mediante altri risultati positivi nei challenger, riesce ad abbattere il muro dei top-100, issandosi fino alla 87esima posizione. Pleonastico ribadire che una posizione così, prima di allora, i turchi se la sarebbero sognata.
Come detto, però, Marsel non è dotato di quel talento folgorante che da solo può aiutare a stare nelle posizioni nobili di classifica, e d’incanto sopraggiunge un periodo nero, costellato da un record rimasto intatto per oltre 3 anni: per 13 tornei ATP consecutivi non riesce a vincere una partita nel tabellone principale, a cominciare da Pechino 2011 quando viene sconfitto da Feliciano Lopez – nome da tenere bene in mente. C’è da aggiungere che il nativo uzbeko dimostra una scarsa dimestichezza con gli appuntamenti che contano di un certo lignaggio, come evidenzia il suo ruolino nelle finali challenger, 3 vittorie nei 12 tentativi, oppure i due argenti collezionati ai Giochi del Mediterraneo: nel 2009, a Pescara, è Roberto Bautista-Agut a superarlo, quattro anni più tardi, nell’amichevole Mersin, lo sloveno Blaz Rola, da poco congedato dall’Università dell’Ohio, lo sorprende, negandogli la gioia del gradino più alto del podio davanti al suo pubblico. Solo a livello ITF Ilhan non pare subire la sindrome da finale, 14 vittorie e 5 sconfitte, probabilmente a causa della sua superiorità a queste latitudini: nel 2013, dopo un discreto crollo in classifica, frequenta con grande ardore le settimanali competizioni di Antalya, cogliendo ben 5 titoli, e prendendosi la rivincita su quell’Erguden che lo lasciò secco sei anni prima: questa volta, per non correre rischi, non gli concede nemmeno un gioco.
Il 2014 è l’anno della rinascita e della resurrezione dalle sue stesse ceneri, tanto che a Melbourne, quest’anno, è in main draw, per la prima volta, in un major, senza passare dalle forche caudine qualificative: ma quando dall’altra parte della rete si staglia il campione uscente, Stan Wawrinka, l’idea di portare a sei il numero di secondi turni Slam è pura utopia. Sconfitta dopo sconfitta, Marsel raggiunge Dubai, dove, un po’ a sorpresa, ritrova la via della vittoria, fermando a 13 l’emorragia di primi turni, lodevole non tanto per aver usufruito di un sorteggio di primo turno – lui era chiaramente qualificato – contro un Alexander Zverev in crisi di dimensione, che comunque otto giorni prima lo aveva regolato a Marsiglia, ma perché al secondo turno riesce a rimontare, e dunque a eliminare, nientemeno che Feliciano Lopez. E’ il primo top-15 sconfitto in carriera, e soprattutto sono i quarti di finale di un ATP 500, che consegnano al tennista ora seguito dall’iberico Alberto Lopez Nunez il nuovo best ranking alla posizione 77. “Non saprei cosa dire, l’atmosfera era magnifica, anche se l’incontro quasi contemporaneo di Roger Federer non ha garantito il pubblico delle grandi occasioni, però è stato davvero fantastico. Ero sicuro che prima o poi avrei battuto un grande giocatore, ma non sapevo né quando né dove. Ora posso rispondere. Oggi, a Dubai!”
La storia di Marsel Ilhan non è banale, bensì ricca di interessanti spunti, più fuori dal campo che non dentro, ad essere onesti: non resterà impresso per il suo tennis, ma potrebbe divenire importantissimo il suo ruolo all’interno dell’economia tennistica mondiale. Pensare che tutto questo potrebbe succedere solo perché un ragazzino di tre anni ha trovato una racchetta nella sua casa, a 3.000 chilometri dal Bosforo, è fiabesco e poetico, ma non è eresia supporre che tra 10-15 anni i tabelloni dell’ATP e della WTA saranno popolati da giocatori e giocatrici che diranno che tra i loro idoli c’è proprio lui, Marsel. Un giocatore che potrebbe davvero risultare influente come solo i grandissimi lo sono stati.
Leggi anche:
- None Found