di Piero Emmolo
Se ci fossimo apprestati a scrivere queste righe approssimativamente dieci anni fa probabilmente avremmo parlato in altri termini, con diversa analisi prospettica e meno speranzosa enfasi. Nalbandian si apprestava a vincere le ATP tour finals. Coria deliziava le tribune monte Mario, Trastevere e quelle di Bois de Boulogne con quel tennis armonico nei gesti e mellifluo nelle movenze. Un tale Gaston, omonimo di nome e di fatto al fumettistico personaggio Disneyano in quanto baciato dalla Sorte sul lato sinistro, vinceva il Roland Garros in una finale tutta albiceleste, sciorinando rovesci ad una mano le cui pindarica balistica é ancora oggetto d’analisi. V’è chi, con efficace epiteto giornalistico, ha omaggiato le gesta di questi campioni, erigendoli in un particolarissimo Aconcagua tennistico sotto la comune denominazione di ”Legion argentina”.
Mutuando così nel tennis un termine tipico del militarizzato e delicato contesto sociale argentino, mai del tutto sopito dopo le tristi vicende dei desaparecidos di Rafael Videla e le (ancora attuali ) tensioni con la Gran Bretagna nelle Isole Falkland-Malvinas. Questo succinto amarcord sportivo è necessaria introduzione ad un movimento tennistico che oggigiorno fa fatica a ripercorrere i suddetti fasti. Dalle ceneri di quei grandi campioni, la scuola argentina ha ereditato un Juan Martin Del Potro e tanti onesti giocatori; Monaco, Berlocq e, da ultimo, Mayer.
Manca una vera spalla da affiancare alla Torre di Tandil, tanto nell’ottica di vera e propria completezza del team di Davis Cup, tanto nell’ottica di “un ricambio generazionale” a JMDP ( pur rammentando che il falcidiato argentino abbia solo 25 anni). La classe 1992 sembra quella più promettente. Quella alla quale con maggiori possibilità verranno fuori i più forti del domani. V’è chi adduce alla crisi di talenti del tennis argentino, i default economici che hanno funestato il Paese andino nella secondo lustro del decennio. E ciò è ampiamente suffragato anche tra le donne, dove ai buoni risultati di Dulko e Suarez, per lo più ma non esclusivamente nel doppio, è succeduta solo una Paola Ormaechea veleggiante tra la sessantesima e la centesima posizione del ranking WTA.
La classe ’92, dicevamo. In settimana abbiamo potuto notare in quel di Praga il probabile capostipite di questa generazione. Stiamo parlando di Diego Sebastian Scwhartzman, tennista di Buenos Aires che con la vittoria in terra ceca ha suggellato una prima metà di stagione giá ricca di progressi, ma soprattutto ha riposto in bacheca il suo secondo titolo nel circuito cadetto, dopo quello conquistato nella città natale nel 2012 da autentico outsider. Diego ha due grandi idoli nello sport. Nel mondo pallonaro quel Juan Riquelme già ex dei sottomarini gialli del Villareal e del Boca Juniors. Nel mondo tennistico Rafael Nadal, che sogna di affrontare un giorno al Roland Garros. Per quest’anno l’argentino s’é dovuto accontentare di Federer, che l’ha sconfittto in tre set. Poco male. Un match nel quale l’argentino più che dal fisico è sembrato travolto dall’emozione di un Philippe Chatrier inneggiante l’elvetico, sempre reverendo di un’onda tifoidea cosmopolita. Nelle rubriche precedenti abbiamo avuto modo di sottolineare un lieve trend che sta involgendo il tennis professionistico nei tempi recenti. Non possiamo desumerne una tendenza generale, perchè anche se tanti indizi non fanno mai una prova, possono comunque dare un’idea pressapochistica.
Ai grandi acuti di Berankis, Estrella e soprattutto Goffin, è seguito il sigillo di Scwhartzman, che dei 4 è il più basso coi soli 170 centimetri di altezza. E se in passato i gemelli belgi di Namur, al secolo Rochus, non venivano omaggiati di alcun approfondimento giornalistico-sportivo che non ne rimarcasse, sibillinamente o approfonditamente, l’altezza, in quest’era del sempre più fisico e robotico power-tennis non possiamo esimerci dal sottolineare ancora una volta questa singolare tendenza, confermata ancor una volta in quest’ultimo weekend. Tra i coetanei di Scwhartzman, a comporre quella che i sudamericani si auspicano sarà la ” Legion argentina ” che verrà, il paese andino può vantare Collarini ( finalista a Salinas quest’anno), Olivo, Arguello e Velotti. Diego è un giocatore completo. Buon rovescio a due mani. Ottima capacità di variare il servizio, specie con la soluzione in kick. Buona mobilità, ma con discreti margini di miglioramento. La vittoria di Praga frutterà il best ranking di numero 81 ATP, ma soprattutto contribuirà ad instillare dubbi nella mente del capitano argentino di Davis Cup. Se un discreto Schwank ha trovato posto nelle fila argentine a Mar del Plata, pur come parziale comprimario, dalle retrovie qualche velleità può anche essere legittimamente ostentata da chi riesce a farsi valere in giro per il circus.
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