di Andrea Martina
Basterebbe prendere una fotografia per iniziare questo articolo. Siamo a Napoli e si giocano i quarti di Coppa Davis, Fabio Fognini ha appena battuto Andy Murray e, anche se nessuno lo dice perché c’è da giocare ancora il match decisivo, ci porta in semifinale dopo 16 lunghi anni. Questa è l’ambientazione. I dettagli, invece, mostrano un Fognini con lo sguardo cattivo, non sorridente, che porta la mano davanti al suo orecchio per sentire il pubblico.
Un’esultanza calcistica da fare sotto la curva direbbe qualcuno, d’altronde Fabio non ha mai nascosto la sua fede nerazzurra e genoana, oltre ad essere un grande amico di Raffaele Palladino e Mimmo Criscito. E di affinità con il panorama calcistico ne ha parecchie.
Ma quell’invito a sentire il rumore del pubblico non sembra essere rivolto alle gradinate di Napoli, ma ad un’intera nazione che storicamente è molto brava ad accorrere in soccorso del vincitore ed isolare lo sconfitto.
Quella vittoria, probabilmente, è stato il punto più alto raggiunto da Fognini considerando i 3 tornei vinti (e altrettanti persi in finale) a cavallo tra il 2013 e il 2014 e il raggiungimento della 13esima piazza nel ranking ATP. Non avevamo mai avuto un tennista a questi livelli negli ultimi 30 anni.
Numeri di assoluto rispetto che però non trovano conferme tra gli spalti. Perché Fognini o lo ami o lo odi, non ci sono vie di mezzo. Basterebbe vederlo giocare in una delle sue giornate migliori per spazzare via ogni dubbio: uno che gioca così bene non puoi non amarlo, a meno che i tuoi standard emotivi non si riducano ad un Montanes qualsiasi.
Il problema è che l’alternanza di giornate migliori e giornate terribili fa parte del personaggio, nonostante questo aspetto sia stato limato nell’ultimo anno.
Se ritorniamo alla vittoria con Murray, a quel 6 Aprile, e leggiamo gli articoli dei maggiori quotidiani sportivi e di tanti blog non possiamo fare a meno di notare il “Fognini strepitoso”, “Sulla terra rossa è da top 5”, “Tennis eccezionale che può portarlo ancora più in alto”, “Prossimo obiettivo: la Top Ten, “Con questo Fognini è facile sognare”.
E allora come fa uno così ad essere odiato da molti appassionati?
Il tennis come sappiamo non è solo fatto di risultati e fredde statistiche. C’è molto altro e Fognini è uno dei maggiori protagonisti del circuito di scene che vedono racchette buttate a terra, litigi con il pubblico, con l’arbitro, con l’avversario, eccetera eccetera. Molti ritenevano che proprio questo aspetto bloccava l’esplosione di Fognini tanto da vederlo per diversi anni tra la fascia dei 40-60 alternando grandissime vittorie a prestazioni orribili.
Questa seconda versione di Fognini, perdonatemi ma non userò l’abusata analogia del dott. Jeckyll e mr. Hyde, sembra ritornare di nuovo a galla oggi dopo un periodo in cui tutti avevamo tirato un sospiro di sollievo.
Ci siamo subito dimenticati della semifinale di Montecarlo battendo Gasquet e Berdych? O delle 13 vittorie consecutive in tre settimane fatte tra Stoccarda, Amburgo ed Umago? È così lontano il Fognini delle 10 vittorie consecutive a inizio 2014 in SudAmerica (Coppa Davis, Vina Del Mar, Buenos Aires) subito dopo aver raggiunto gli ottavi dell’Australian Open?
Se guardiamo quelle strisce positive restiamo colpiti proprio dalla sua continuità e non da video amatoriali o multe dell’ATP.
I problemi sono iniziati ad arrivare quando, raggiunta la top 15, bisognava sviluppare una mentalità da top 15 che Fognini ancora non ha. Quindi siamo stati costretti ad assistere ad un torneo di Wimbledon in cui faticava a battere i qualificati e tutta la tensione veniva scaricata in insulti agli arbitri e racchette gettate accompagnate da puntuali multe, senza contare la magra figura fatta agli Internazionali d’Italia con Rosol e l’ultimo triste episodio ad Amburgo dove il chiamare “zingaro” il giovane serbo Krajinovic ha forse dato la conferma definitiva di quanto Fognini sia in difficoltà in questo momento.
Ora è giusto tirare una riga.
In questo articolo non si farà il processo a Fognini che viene riproposto puntualmente nei commenti dei vari blog che parlano di lui. I passaggi a vuoto possono starci e non sono un dramma e Fabio ha la sfortuna di avere tutti gli occhi puntati addosso. In passato Almagro e Verdasco, ad esempio, hanno fatto di peggio, ma sono diventati top 10 anche perché la pressione di una nazione se l’era presa Nadal e loro potevano permettersi di sbagliare.
A Fognini invece non viene perdonato niente e lui sembra cascarci in pieno appena capitano due primi turni consecutivi.
I motivi per ripartire sono tanti: le 32 vittorie stagionali, l’aver raggiunto la semifinale in Davis e la 14esima posizione nella Race (la classifica che prende i risultati dal Gennaio 2014 ad oggi) sono risultati che vogliono dire tante cose, ma non di certo un fallimento. E poi ci sono tutte quelle persone salite sul suo carro a Marzo e durissime con lui oggi che meritano una dimostrazione di forza. Sul campo.
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