di Federico Mariani
Cosa accade a Stan Wawrinka? Dov’è finito il giocatore che nella prima parte di stagione ha incantato tutti? Si è trattato della classica settimana della vita ed ora è tornato nella sua dimensione?
Domande a cui è difficile dare una risposta univoca, domande che però sembrano essere necessarie vista la recente evoluzione, anzi involuzione, del tennista elvetico. Se qualche sconfitta poteva considerarsi quasi inevitabile, frutto della tanta inflazionata sbornia post –qualcosa di grosso (Australian Open nel caso di Stan), ora i k.o. sono veramente tanti, troppi per essere trascurati e le ultime sconfitte al primo turno di Basilea ed agli ottavi a Bercy sono molto più gravi di quanto si possa credere. Le Atp Finals alle porte e, soprattutto, la Coppa Davis da grande occasione si stanno trasformando in una cupa prospettiva. Se Wawrinka si mantiene su questi standard, non sarà facile per la Svizzera riuscire ad alzare l’insalatiera, un trofeo troppo importante non solo per Federer ma anche per lo stesso Stan.
Quando si riesce a cogliere un successo tanto grandioso quanto inaspettato come lo Slam australe vinto da Wawrinka, o si è un mostro come gli altri tre divoratori del tennis contemporaneo, (e Wawrinka di certo non lo è) o è piuttosto difficile metabolizzare l’impresa. Dal 2004 ad oggi i numeri fatti registrare da Federer e Nadal in primis, cui va aggiunto poi Djokovic, di fatto rendevano impensabile per un giocatore a ridosso anche dei primi cinque una qualsivoglia imposizione nei tornei importanti: come imperatori insaziabili i primissimi hanno sempre fagocitato tutto ciò che più contava lasciando le briciole al resto della ciurma, figurarsi se era possibile anche solo pensare di mettere le mani su una prova dello Slam. Ci era riuscito Murray (in due occasioni) così come Del Potro, due che però sono campioni veri e che vanno posizionati un gradino sotto al trio delle meraviglie, ma uno sopra al resto dei top player. Quest’anno Wawrinka ha fatto da apripista vincendo in modo clamoroso a Melbourne, clamoroso per come ha saputo battere Djokovic prima e Nadal poi, clamoroso per tutti, anche per lui.
La stagione dello svizzero può benissimo dividersi in due: prima parte mostruosa coi successi di Melbourne e Montecarlo, seconda parte molto negativa in cui è arrivato il calo, un calo che si sta lentamente trasformando in oblio. In particolar modo da Wimbledon in poi, il cammino di Wawrinka è stato disastroso e qualche campanello d’allarme deve suonare. Dal torneo monegasco Stan ha perso una sola partita in cui era considerato sfavorito (contro Federer a Wimbledon). Negli Slam comunque ha fatto benino: oltre alla clamorosa sconfitta al primo turno del Roland Garros con Garcia-Lopez, infatti, ha perso due volte ai quarti di finale contro chi poi sarebbe stato finalista (Federer a Londra, Nishikori a New York). Detto questo, la trasferta americana è andata malino, quella asiatica malissimo, il ritorno in Europa forse anche peggio. Prima di battere Thiem a Parigi, Wawrinka non vince un incontro in torneo da quasi due mesi (l’ultimo successo è stato quello su Robredo negli ottavi di New York), un ruolino di marcia fallimentare e preoccupante per il rush finale di stagione che, come detto, per lui sarà importantissimo.
I segnali negativi sono evidentissimi. Sono presenti nel gioco così come nella preparazione fisica, così come soprattutto nella testa di Stan. A Shanghai lo svizzero ha perso 6-4 al terzo set da Simon quando vinceva 3-0, a Parigi ha fatto addirittura peggio sciupando il vantaggio di 5-4 e 30-0 col servizio a disposizione contro Anderson (non proprio un mostro in risposta). In entrambe le circostanze il cervello, prima che il braccio dell’elvetico, si è spento. Quasi come se Wawrinka si rifiutasse di reagire alle difficoltà, ai momenti delicati che, per un tennista, sono il pane quotidiano.
E’ altrettanto chiaro che vi sia un problema a livello fisico con una preparazione quantomeno rivedibile: Stan è lento, pesante, pecca in brillantezza, quasi non tira più. A Basilea, ad esempio, si è sostanzialmente rifiutato di tirare la risposta di diritto, preferendole una remissiva risposta in back. Che un simile ritardo di condizione è dovuto ad una scelta oculata per arrivare al top alla finale di Davis? Ipotesi da non scartare che, anzi, potrebbe rivelarsi anche una scelta vincente. Certo è che questo non è il vero Wawrinka, come d’altro canto non può essere vero quello di Melbourne e Montecarlo nel senso che è impossibile tenere quel livello di gioco e di foga per tutto l’anno.
Le Finals sono alle porte e tra la lotta per il numero uno del mondo da una parte, la corsa per la qualificazione tra i migliori otto dall’altra, Wawrinka si è infilato in un limbo di sicurezza fino quasi ad addormentarsi ed al momento tra i “Maestri” pare quello messo peggio. Per caratteristiche, Stan è il classico giocatore che se in giornata può battere tutti, ora però sta diventando il giocatore che tutti possono battere.
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