di Salvatore Petrillo
Andare a scomodare Oscar Wilde per parlare di tennis è forse pretenzioso e può sembrare fuori luogo, ma probabilmente, con questo “paragone al contrario”, si può ben esprimere quello che capita a Novak Djokovic. Già, perché se nella famosa commedia inglese il solo pronunciare il nome Earnest nella giovane Miss Gwendolen Fairfax “procura delle vibrazioni”, sicuramente lo stesso non avviene negli appassionati di tennis parlando del serbo, soprattutto se contrapposto a “Roger Federer” o “Rafael Nadal“.
Andando ad analizzare il 2014 di Nole, non si può non considerarlo come uno dei protagonisti assoluti del panorama mondiale, ma, suo malgrado, si è sempre ritrovato a confrontarsi con qualcosa o qualcuno che lo relegasse ad un ruolo di semplice comprimario. Probabilmente parlando della sua stagione, Novak ci dirà che il suo successo più grande è la nascita di suo figlio Stefan il 22 ottobre (a proposito, auguri), ma dal punto di vista tennistico le soddisfazioni non sono certo mancate.
Dopo i primi due mesi in cui non abbiamo avuto certamente il miglior Djokovic, che è comunque uscito a Melbourne 9-7 al quinto per mano di un indiavolato Wawrinka (primo protagonista di questa stagione), comincia a macinare tennis e risultati, arriva il primo trofeo a Indian Wells, battendo in finale Roger Federer, ma è un Federer in crescita rispetto al 2013, perde solo 7-6 al terzo contro il serbo, e il mondo comincia a sperare nel ritorno a grandi livelli del campione elvetico, che a 33 anni mostra ancora voglia, condizione fisica, tennis di alto livello, mentre per Djokovic le vittorie sul cemento americano, Indian Wells e Miami contro Nadal, possono essere considerate “ordinaria amministrazione”
Il circus sbarca sulla terra rossa, Nole mostra una forma invidiabile battendo il rivale Nadal sulla terra di Roma, il quale sembra cominciare a sentire un po’ di sudditanza nei confronti del serbo: tante le finali perse per mano di Djokovic, e Rafa sembra avere un po’ di quella insofferenza che Roger sente con lui. Non è il miglior Nadal, ha appena perso a Montecarlo da Ferrer (dopo 10 anni) e vinto Madrid solo per il ritiro di un Kei Nishikori (ricordate anche questo nome) che lo stava letteralmente prendendo a pallate. Con queste premesse si va a Parigi, e l’impressione è che Novak possa finalmente conquistare il Career Grand Slam. Travolgente nei primi turni, lascia un set a Cilic (è il terzo nome che dovete annotarvi), elimina con relativa facilità Raonic e Gulbis e arriva all’atto finale, trovandosi di fronte l’immancabile Rafa Nadal. La conquista dell’ultimo Slam mancante sembra a un passo dopo il primo set, ma qui non è Miami, non è il Foro Italico, è il Philippe Chatrier, è il feudo di Nadal, che ribalta la partita ed entra nella leggenda, con il nono Roland Garros in carriera.
Smaltita (forse) la delusione, Novak va a Londra, per il terzo Slam stagionale. Non sembra il miglior Nole, lascia per strada diversi parziali, uno anche in semifinale contro Dimitrov, che lo mette parecchio in difficoltà. Sull’erba dell’All England Club trova il Re di Wimbledon, il Roger Federer versione 2014 che vuole tornare a trionfare oltremanica. La finale è stupenda, uno dei match più belli e intensi dell’anno: Federer vince il primo, Nole rimonta, va avanti 2-1, arriva a match point, viene rimontato, ma nel quinto fa prevalere la sua grande condizione fisica, la sua esplosività, e batte 6-4 l’elvetico. E’ il suo secondo Wimbledon, ha battuto Federer, è di nuovo numero 1 al mondo: Djokovic in cima al mondo? Macchè! Esperti, siti specializzati, giornali, tifosi, tutti non fanno altro che parlare della grinta, del talento, della leggenda di un giocatore che sembrava spacciato solo 6 mesi prima, e che a dispetto di tutto e tutti è tornato sulla cresta dell’onda, e ovviamente risponde al nome di Roger Federer.
Con Wimbledon in tasca, ma con i titoli che ancora non sono per lui, il buon Novak va sul cemento nordamericano, per una campagna piuttosto deludente, eliminato da Tsonga e Robredo rispettivamente a Toronto e Cincinnati. Si va così sul veloce di New York, Nole travolge tutti, batte con autorità Andy Murray, e in semifinale incontra il già citato samurai Nishikori, autore di una stagione di altissimo livello nonostante qualche acciacco di troppo, che priverà il serbo della quinta finale a Flushing Meadows, prima di arrendersi all’incontenibile Cilic di quella settimana. Djokovic rimane in vetta al ranking, anche a causa dell’assenza forzata di Nadal, i cui infortuni, veri o presunti, continuano a essere argomento di dibattito.
Si va in Asia, dove Novak non perde da tempo immemore, conquista il China Open (nel quale non ha mai perso in carriera) giocando nella finale contro Berdych probabilmente la partita migliore che un giocatore possa disputare (“Non ho mai giocato contro un giocatore così forte come il Djokovic di oggi” dichiarerà un tramortito Berdych) e va al Master 1000 di Shangai da favorito. Qui però viene ingarbugliato e battuto in due set ancora da quell’arzillo 33enne di Basilea, che sembra avere tutta l’intenzione di riproporsi per il trono del tennis mondiale.
Ora ci aspettano Bercy, al quale non sappiamo come arriverà il serbo dopo la nascita del primogenito, cosa che può influire davvero tanto come dimostrato da Federer a Roma, e le Finals di Londra, alle quali Novak si presenterà, molto probabilmente, con i gradi di numero 1 del ranking. Ma questo, nell’anno della rinascita di Federer, del nono RG di Nadal, delle prime volte di Wawrinka e Cilic, dell’esplosione di Nishikori, probabilmente non ha importanza, specie se non ti chiami “Roger” o “Rafael”.
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