di Alessandro Mastroluca
Marin Cilic non era ancora nato quando Goran Ivanisevic debuttava a Wimbledon nel 1988. Ma a 12 anni c’era anche lui tra gli spettatori che hanno assistito in tv al Magic Monday del 2001, il trionfo del simbolo dell’orgoglio croato, che rinunciò a rappresentare in Davis la Jugoslavia nel 1993 perché di fatto quella nazione non esisteva più, che disse di voler usare la racchetta come un fucile per ammazzare i serbi. “Chiunque in Croazia si ricorda dov’era durante la finale di Goran contro Rafter” ha spiegato Cilic. “E’ probabilmente uno degli incontri sportivi più visti della storia. In Croazia tutti amiamo Goran. Sapevamo quanto Wimbledon significasse per lui, e averlo visto perdere tre volte in finale prima di quel giorno era stato devastante per tutti”.
Cilic ha incontrato Ivanisevic per la prima volta quando aveva nove anni, nel 1997, durante un’esibizione contro Thomas Muster. Cinque anni dopo Goran, già campione a Wimbledon, per la prima volta lo invita per una sessione di allenamento. “Non ho parlato molto quel giorno” ricorda, “ma ero nervosissimo e non riuscivo a mettere una palla in campo. Alla fine dell’allenamento Goran disse: ‘C’è qualcosa in questo ragazzo. Diventerà forte’. È stata un’esperienza incredibile”.
Il resto è storia. Goran lo presenta a Bob Brett, che nell’accademia di Sanremo fa crescere il talento di Marin tra il 2004 e il 2013 e lo porta fino al numero 9 del mondo dopo la sua prima semifinale Slam, all’Australian Open 2010. Certi amori, però, non finiscono, fanno dei giri immensi ma poi ritornano. E Marin torna da Goran alla fine dell’anno scorso.
Il risultato è una stagione da record. Migliora il best ranking, supera i 700 ace, vince per la prima volta in carriera più di 50 partite in un anno, ottiene il titolo a Zagabria, Delray Beach e Mosca e conquista il suo primo Slam nella prima finale senza uno dei Big Three (Federer, Nadal, Djokovic) in campo. A New York, dove i bookmakers quotavano la sua vittoria 100-1 all’inizio del torneo, ha vinto 10 set di fila, ha dominato Berdych, Federer e Nishikori e scritto un indimenticabile pezzo di storia.
E pensare che dodici mesi prima era costretto a guardare gli altri giocare, sospeso per doping, per una sostanza proibita, ha spiegato la sua difesa che gli ha consentito di ricevere uno sconto di pena al CAS di Losanna, contenuta in zollette di zucchero acquistate dalla mamma a Montecarlo, che ha smesso di assumere diversi giorni prima della partita di Monaco di Baviera in cui è avvenuto il controllo, un anticipo tale da rendere nullo l’eventuale effetto migliorativo della prestazione. Ora comunque guarda in positivo anche a quell’esperienza. “Sicuramente, oggi, sono più forte” ha detto in una recente intervista alla Gazzetta dello Sport. In momenti così hai modo di pensare nel profondo e capisci che non sei mai completamente in controllo della tua vita e la tua carriera può cambiare totalmente. Pensi a quello che vuoi davvero e a quanto lo desideri. E’ stato un incubo. Ma da quando sono rientrato, sono molto più determinato nel raggiungere i miei obiettivi. Sono molto più attento e più professionale. Qualsiasi cosa succederà d’ora in poi nel tennis non potrà mai essere peggio di quei momenti di dubbi sul futuro”.
Per celebrare la più importante impresa della sua carriera, che gli è meritatamente valsa la candidatura a Most Improved Player of the Year, perché l’ultimo passo da ottimo giocatore a campione e vincitore Slam è il più piccolo e insieme il più difficile, ha ringraziato Ivanisevic. “Goran è stato fondamentale, mi ha restituito la gioia di giocare a tennis. E non avevo mai giocato così bene come qui a New York”.
Il segreto è semplice: equilibrio e semplicità. Ivanisevic, che in carriera ha servito 10.183 ace in 766 partite nel circuito ATP, ha identificato subito i difetti nel servizio di Cilic. Durante una sessione di allenamento, subito dopo che avevamo iniziato a lavorare insieme, gli suggerisce di lanciare la palla più in avanti e di flettere meno le ginocchia, “per non ondeggiare come un albero nel vento”. È una rivelazione, un’epifania. Il servizio comincia a funzionare meglio da subito. Non è solo il movimento ad essere diverso, è la fiducia che mette nel colpo di inizio gioco, è l’approccio mentale con cui inizia lo scambio. “Goran la pensa diversamente da Bob, mi ha sempre rimproverato di non giocare come avrei dovuto, ma dovevo verificarlo sul campo, in allenamento. Poi ho fatto i miei test – i 5 set con Djokovic a Wimbledon (nei quarti di finale, NdR) sono stati molto importanti – e mi sono convinto. Così ho acquisito sempre più sicurezza. Adesso entro subito dentro il campo e faccio sentire, fisicamente, la mia presenza. Adesso ho le idee chiare su quello che devo fare”. E la differenza si vede, si sente, si tocca.
[poll id=”23″]
Leggi anche:
- None Found