di Alberto Cambieri
Il rendimento di Andy Murray, tennista scozzese campione di Us Open 2012 e Wimbledon 2013, ha ricordato, per quanto rigurda la stagione corrente, un po’ quel compagno di liceo che forse tutti abbiamo avuto: un ragazzo ingegnoso e in grado di emergere in ogni materia, ma poco volenteroso e dedito ad uno studio spesso superficiale. La celebre frase “suo figlio è intelligente ma non si applica” potrebbe essere attribuita a qualche tifoso dello sport della racchetta e rivolta a Judy Murray, quasi sicuramente la madre di giocatori di livello più nota nel mondo del tennis per i suoi incarichi (è attualmente la capitana di Fed Cup della Gran Bretagna) e i pensieri espressi su social network o in interviste. Non si può spiegare altrimenti il finale di stagione del tennista di Dunblane, che dopo i primi nove mesi di stagione ha ritrovato lo smalto e la forma dei tempi migliori riuscendo a ritrovare all’improvviso gioco e risultati a partire dalla trasferta in Asia. Proprio come l’allievo intelligente ma svogliato che tra maggio e giugno si ritrova a dover lottare a tutti costi per il 6 in pagella o ad alzare la propria media, notevolmente al di sotto delle sue possibilità, Murray è sembrato voler raggiungere la sufficienza (tennistica, si intende) a partire dalle settimane immediatamente successive allo Us Open; grazie ai titoli a Shenzhen, Valencia (con altrettante vittorie in finale sul malcapitato, sfortunato ma anche sprecone Tommy Robredo, che si è visto annullare in entrambi i casi 5 match point prima di soccombere) e Vienna (alloro ottenuto ai danni di Ferrer, primo escluso qualche giorno dopo in maniera definitiva dagli 8 partecipanti al Master di fine stagione) e ai quarti a Pechino e Parigi Bercy (sconfitto in entrambi i casi da Djokovic in semifinale e nei quarti, rispettivamente) ha racimolato una quantità assai notevole di punti che gli hanno permesso di raggiungere il sesto posto nella classifica Race del 2014 e di presentarsi con la quinta testa di serie ai nastri di partenza della manifestazione di fine anno per eccellenza in seguito all’annunciato e prevedibile forfait di Nadal.
Il resto della stagione dello scozzese è stata, Slam a parte, a dir poco al di sotto delle aspettative: non è mai stato in grado di superare i quarti nei tornei Master 1000, traguardo raggiunto a Miami, Roma, Toronto, Cincinnati e Parigi Bercy, prima del neonato torneo cinese di Shenzhen non è riuscito in questa stagione a raggiungere neppure una finale (aveva disputato l’ultima in occasione dell’indimenticabile finale di Wimbledon 2013) ed è stato protagonista di match persi inspiegabilmente per avversario affrontato o modalità della sconfitta. I vari Mayer, Giraldo, Fognini e Stepanek sono ottimi giocatori ma, nonostante abbiano ottenuto lo scalpo dello scozzese sulla superficie per loro migliore, rimangono inferiori rispetto al pupillo del popolo scozzese e i crolli sul finire di match come contro Tsonga in Canada (avanti 4-1 nel set decisivo e in pieno controllo del match dopo aver vinto il secondo parziale, ha ceduto 5 giochi consecutivi all’attuale numero 1 di Francia) o Ferrer a Shanghai sono stati segnali preoccupanti, in particolar modo se affiancati a sconfitte come quella avvenuta a Wimbledon contro Dimitrov, match in cui l’attuale numero 6 del mondo non è mai realmente entrato in partita, nonostante le aspettative del pubblico e l’aver abbattuto finalmente il taboo Wimbledon per un tennista del Regno Unito dopo quasi tre quarti di secolo la scorsa stagione.
A livello Slam ha ottenuto piazzamenti non degni di un aspirante numero 1 e (ex?) Fab Four ma comunque di rilievo, come i quarti in Australia, ottenuti al ritorno dal grave infortunio alla schiena che l’ha tenuto fermo per tutto il finale della scorsa stagione dopo la sconfitta ai quarti a New York contro uno strepitoso Wawrinka, a Londra e agli Us Open e soprattutto cogliendo un’inattesa semifinale a Parigi, persa nettamente contro Nadal ma che suona come una mezza vittoria viste le fatiche dei primi nove mesi del 2014. Grazie soprattutto ai risultati di fine stagione si presenta alle Atp World Tour Finals (denominazione più recente della competizione più ambita di fine anno, tolta la finale di Coppa Davis) come uno dei più seri candidati al titolo in un ambiente a lui favorevole in quanto si gioca a Londra, città in cui ha colto 2 delle vittorie più prestigiose della carriera come le Olimpiadi 2012 e il già citato titolo di Wimbeldon 2013, in condizioni indoor ma su una superificie non troppo veloce che può esaltare il suo gioco di difesa. Al massimo lo scozzese vanta l’approdo in semifinale in questo torneo in diverse occasioni sia a Shanghai che Londra ma questo può essere l’anno giusto per raggiungere un traguardo ancora più prestigioso davanti a tifosi più che mai interessati a vedere all’opera uno dei personaggi più controversi ed enigmatici del tennis di oggi; le (vere o presunte) dichiarazioni a favore dell’indipendenza della “sua” Scozia hanno destato clamore in Inghilterra e il suo modo di stare in campo in certe situazioni (vedi infortuni o risentimenti muscolari con annesse sceneggiate come contro Haase a New York o Robredo a Valencia) non lo rende il tennista più amato di sempre: può essere questa l’occasione giusta per tornare ai piani alti del ranking ATP (può terminare la stagione al quarto posto dietro agli altri tre Fab Four) e dell’indice di gradimento dei tifosi di tutto il mondo.
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