di Sergio Pastena
Se c’è un momento in cui è possibile condensare in un climax tutta la finale di Miami tra David Ferrer e Andy Murray, questo momento è il punto giocato sul 6-4 2-4, servizio Ferrer e 30-40.
Sì, vero, è strano etichettare come punto cruciale uno scambio che, alla fine, non è stato decisivo, ma è lì che si condensa il senso della finale tra i due. Lo scozzese ha l’opportunità di andare avanti di due break rimettendo in gioco tutto e riesce a prendere il controllo dello scambio: più volte costringe lo spagnolo a recuperi miracolosi, ma Ferrer recupera, tiene il servizio e nel game successivo si porta sul 4-4 breakkando Murray.
Subito dopo una parentesi a vuoto manda lo scozzese a servire per il set sul 5-4 e, stavolta, Murray non sbaglia. Poi breakka in apertura del terzo e sembrerebbe finita, ma ancora una volta Ferrer non ne vuole sapere e recupera. Lo farà altre due volte di fila fino a che, sul 3-3, non riuscirà per la prima volta a tenere il servizio nel terzo set: altrettanto farà Murray per il 4-4, ma a quel punto lo scozzese, nonostante la crescita psicologica ancora una volta visibilissima, è già ai limiti del manicomio. Contro Ferrer partite facili non te le aspetti mai, ma se sei uno dei “Fab Four” pensi che alla fine in qualche modo ne verrai a capo: invece stavolta il bandolo della matassa è dannatamente complicato da trovare.
E sembra farcela, Murray, strappando il break del 5-4 e servizio. Sembra, ma Ferrer non è d’accordo: lo spagnolo sale 15-40 e, alla seconda opportunità, conquista la parità. Andando a rete. Il pubblico, a quel punto, è tutto per Ferrer: capisce di non trovarsi più di fronte ad una partita di tennis, ma ad un uomo che lotta per superare quei limiti che nessuno l’avrebbe mai visto in grado di superare. L’ace dello spagnolo sul 30-15 è accompagnato da un boato, Ferrer va 6-5 e si assicura quanto meno il tie-break decisivo.
David sul servizio di Murray attacca, stringe i cross di rovescio, cerca la profondità, si apre il campo e prende il primo 15 con un lungolinea. Murray gli piazza una palla sulla linea per il 15-15. Va 30-15 con un servizio angolatissimo. David si arrampica fino al 40-40, complice un colpo lungo dello scozzese. Prima larga, sulla seconda Murray si apre il campo e scende a rete ma non controlla la volèe sul passante di Ferrer: match point. Murray annulla con una palla dentro di un’unghia e tanto di challenge thriller, poi si procura una palla game e la converte. All’inizio del tie-break la fortuna, sotto le spoglie di un nastro, dà una mano a Murray dopo che Ferrer si era aperto il campo.
Roba da ammazzare un cavallo, e infatti Ferrer cede di schianto: il titolo è di Murray.
Non ce ne vogliano i tifosi dello scozzese, ma oggi la dea bendata ha preso una grossa svista: in campo c’erano due Highlander, ma lo spagnolo avrebbe meritato la vittoria, se non altro per non sentirsi dire da qualche burlone che l’unico Atp 1000 vinto in carriera era “monco”. Avrebbe avuto più senso, considerando quanto ha vinto e potrà vincere ancora Murray, ma in uno sport come il tennis a volte l’esito di un match è deciso dai centimetri o da una palla che balla ai confini del nastro. Tanto di cappello a Ferrer, che è andato ancora una volta oltre i propri limiti.
E per inciso, tanto di cappello a Serena Williams, che nella finale femminile ha ceduto un set alla Sharapova per poi schiantarla lasciandole tre games. E ad Haas, che rientra nei primi 15 del mondo. La vecchiaia nel tennis è ormai un’opinione.
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