Usa: il nuovo avanza e il vecchio resiste


(Ryan Harrison e Andy Roddick)

di Sergio Pastena

Il tennis americano, che vive un momento durissimo, ha un sole che sta sorgendo e un altro che proprio non vuole tramontare: rispettivamente Ryan Harrison ed Andy Roddick. Il bilancio a stelle e strisce di oggi è in attivo: quattro vittorie e due sconfitte dalle quali, peraltro, emergono note positive. Ma andiamo con ordine.

“One man show” di Harrison

A volte, girando per i forum stranieri, trovo parecchie critiche verso Ryan Harrison: “Il solito picchiatore”, dicono. Sarà, ma o io sono miope oppure alcuni appassionati sono radical chic anche nel tennis: alle prime “mazzate” magari cambiano canale e si perdono il meglio. Può sembrare strano un discorso così da parte di uno che pochi giorni fa criticava aspramente Isner, ma il concetto è sempre lo stesso: bisogna vedere se sotto la crosta c’è il pane. Tanto per dire, Ljubicic era uno sparaservizi notevole ma con la sola imposizione del rovescio abortiva ogni mia critica sul nascere.

Dire di Ryan Harrison che è solo uno “sparatutto” a mio avviso è un’assurdità. Già dagli Us Open 2010 lasciava intravedere grosse potenzialità in nuce. L’anno scorso, ad Indian Wells, ha impressionato ma dopo ha alternato alti e bassi pur cogliendo tre semifinali Atp, che a 19 anni non sono certo disprezzabili. Il match contro Troicki ha mostrato che il ragazzo c’è, anche se negli ultimi mesi non ha guadagnato posizioni. Come si dice nel calcio quando una squadra perde ma comincia a correre, Ryan “Ha fatto benzina”. Per la cronaca: in una partita condizionata da continui black-out, con l’occhio di falco a tratti assente e l’arbitro costretto ad urlare i punteggi, il giovane americano ha vinto 7-6 6-3.

Era noto il fatto che Harrison avesse dei fondamentali solidi, così come che fosse bravo alla risposta: contro Troicki, però, ha mostrato altri miglioramenti. Prendiamo il back, che già era buono: ieri lo ha usato con continuità ed erano quasi sempre colpi profondi o angolati. E’ venuto spesso a prendere il punto a rete con una conversione altissima (13 su 16) e sembra cresciuto anche caratterialmente, persino nello sguardo: l’aria da bamboccione è stata sostituita da un ghigno ai limiti della strafottenza.

Limiti? Ce ne sono ancora, ovviamente. La palla corta, ad esempio, non è arte sua: gliene è riuscita una sola, coi piedi in campo e Troicki nei teloni (e il serbo l’ha toccata), per il resto la traiettoria è altissima. Inoltre, anche se è migliorato nella gestione dello scambio “ordinario”, nei momenti decisivi è ancora troppo esuberante: nel primo set, ad esempio, ha servito sul 5-4 e, su un campanile di Troicki, ha forzato uno smash difficilissimo che gli è costato il break. Tuttavia, dal tie-break in poi, è stato un autentico “one man show”. E’ difficile rendere l’idea di come un set vinto 6-3 possa essere stato un massacro: Harrison ha conquistato 18 punti dei primi 21 contro un Troicki letteralmente annichilito. Piccolo problema: a quel punto si è rilassato e il serbo si è trovato a servire per andare 4-5. Aria di psicodramma, ma Ryan si è tirato fuori dalle secche con un drop shot e uno scambio di puro contenimento: tre mozzarelle in back che hanno mandato fuori giri il serbo, per poi chiudere al quarto match point. Anche nel primo set aveva concluso con un colpo simile, profondo e angolato, costringendo Troicki a forzare e a sbagliare.

E questo sarebbe uno sparatutto? Certo, non è elegantissimo e non parliamo del “nuovo Federer”, ma l’impressione è che Harrison possa diventare davvero un signor giocatore, gradevole ed efficace.

Il cuore di Andy

Dicevamo del sole che non vuole saperne di tramontare, ovvero Roddick. Andy ieri ha dovuto sudare e neanche poco: Kubot ha servito per il match sul 6-4 5-4, nel terzo ha recuperato un break ed ha avuto un’occasione per farne un altro, ma alla fine l’americano ha saltato il fosso con una prestazione di cuore e alcuni colpi impensabili (tra cui tre passanti di rovescio!). Per inciso: Andy non è al meglio e si vede. Il servizio appare ormai definitivamente depotenziato: piazza ancora i suoi aces, ma quando spazzola le righe o giù di lì, altrimenti sempre più spesso gli avversari ci arrivano. Il diritto non è più devastante come una volta ed è facile comprendere quanto questi handicap siano limitanti per un giocatore che ha costruito una carriera su quei due fondamentali. Però Roddick c’è ancora e la partita di ieri lo dimostra.

Come spesso accade, tutto dipende dalle prospettive: guardandola con gli occhi del cuore, si vede un leone ferito che ha reagito alla grande e si è ribellato al declino, compiendo una rimonta strepitosa. Gli occhi della mente, però, han visto un ex numero uno soffrire a dismisura contro un polacco più vecchio di lui: Kubot gioca bene, per carità, ma per battere Berdych al terzo turno A-Rod dovrà fare meglio anche di quanto non abbia fatto nel terzo set. Sarà davvero dura, anche perché il tennis è crudele e delle favole se ne frega.

Imprese sfiorate

Già, il tennis delle favole se ne frega: se ne è accorto anche Robby Ginepri, meteora del 2005 (numero 15 al mondo e semifinalista agli Us Open) con una carriera costellata di infortuni: avanti un set e un break contro Wawrinka, è stato impietosamente rimontato dallo svizzero e si è sciolto nel terzo set, quando è andato a servire per rimanere nel match, prendendo un break a zero.

Anche Querrey ha subito una rimonta, però di tenore ben diverso: Sam ha vinto il primo set contro un Almagro impalpabile, ma da quel momento lo spagnolo al servizio è stato mostruoso. Decisivo l’inizio dell’ultimo parziale quando, sull’unico passaggio a vuoto in due set dell’iberico, Querrey ha sprecato malamente due palle break spedendo altrettanti diritti in corridoio. Errori che si pagano, specie in una partita che, per due terzi, ha visto i protagonisti mantenere livelli di gioco molto elevati. Nel game successivo, complici due perle di Almagro (un passante e una risposta all’incrocio), Sam è crollato commettendo un doppio fallo e un errore gratuito. A quel punto sul servizio non ha tremato più, ma Almagro ha fatto altrettanto, perdendo solo un 15 in tre turni di battuta.

Nel complesso si sono visti in campo un ex Top 20 che ha giocato da Top 20 e un ex Top 10 che ha giocato da Top 10: livello altissimo, partita decisa dai dettagli. Querrey ora rischia di uscire dai 100 (al momento è centesimo, se Jaziri vince a Kyoto lo supera) ma a livello di gioco ha dato segnali confortanti.

Mardy e Long John avanzano

Se le sconfitte di Ginepri e Querrey hanno fatto sfumare un filotto che, a un certo punto, pareva possibile, i big americani sono ancora tutti in carreggiata. Abbiamo parlato nell’altro articolo della vittoria di Fish contro Seppi, resta da citare il comodo successo di Isner, che aveva di fronte il lucky loser Gil. Fin dall’inizio è stato chiaro come l’unica chance del portoghese fosse quella di arrampicarsi fino al tie break e sperare che l’avversario avesse un calo al servizio. Vana illusione: troppa la differenza di solidità tra i due, Gil ha vinto quasi tutti gli scambi lunghi ma la cosa non ha intaccato l’esito del match.

Gli inglesi la chiamano consistency: nel tennis conta parecchio.

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