Di Luca Brancher
Parigi, 22 Maggio 2013. “E’ il nuovo Gasquet”: ci stavano quasi per ricascare. L’indomani il successo sul giocatore di Taipei Jimmy Wang, Quentin Halys, all’epoca non ancora diciassettenne, assaporava quell’atmosfera magica che soltanto un ragazzo che nel giro di qualche mese passa dalle vittorie sui campi del campionato nazionale under 16 a quelle ben più eclatanti sui manti rossi di Bois de Boulogne potrebbe comprendere: aveva infatti superato il primo turno delle qualificazioni del Roland Garros. Stava diventando uomo, con discreto anticipo, e quando gli storici del tennis transalpino, scartabellando tra i dati del passato, convenivano sul fatto che l’ultimo giocatore così giovane ad aggiudicarsi un successo di questo livello, tra i connazionali, fosse stato Richard Gasquet, il quesito stava sorgendo in maniera spontanea. Era meglio, però, spegnerlo sul nascere, per due motivi. In principio perché il grande hype che aveva accompagnato il giovane Richard, sin dai nove anni, con la famosa copertina, aveva creato non pochi intoppi nella crescita del ragazzo di Beziers, poi perché, per quanto promettente, c’erano delle differenze tra i due sul piano del gioco, e delle conseguenti possibili aspettative. “Nuovo Gasquet? Se voleste fare un titolo corretto, io sarei più per un ‘Lasciatelo in pace’” disse, rivolgendosi ai giornalisti, Jean-Christophe Faurel, una delle guide di Quentin ed ex tennista pro’, che quindi comprendeva a fondo quali potessero essere i rischi a cui si esponeva un ragazzo così giovane. La pressione può risultare fatale. “E poi Richard era stato campione del mondo a livello junior già più giovane di quanto non sia Halys ora, per cui non può esistere un paragone” aggiungeva Alois Beust, altro maestro all’INSEP (Institut National du Sport, de l’Expertise et de la Performance), dove il ragazzo si allenava da quando aveva 15 anni. Per mitigare ancora di più l’exploit, si invitava a notare come Wang, per quanto classificato tra i top-200 dell’ATP, non fosse esattamente un tennista di riferimento sulla terra battuta “Non ci gioca quasi mai.” Possibile, quindi, che la vittoria del giovane Halys fosse soltanto frutto di fortunate coincidenze? Cerchiamo di capirlo.
Nato a Bondy, nel dipartimento di Sienne Saint Denis, il 26 ottobre del 1996, dopo i primi inizi non lontano da casa, venne subito dirottato alla volta di Poitiers, al Creps, una struttura abbastanza lungimirante, se si pensa che da queste parti sono transitati giocatori del calibro di Tsonga, Simon, Escude e Pouille. I primi passi, all’interno del centro polisportivo pictaviens, li compie sotto l’egida di Bruce Liaud: lo seguirà per ben tre anni “Capii subito che era un tennista piuttosto completo, con una grande voglia di vincere gli incontri, ma era ancora giovane e c’erano tanti dettagli da migliorare. Rimasi colpito sì dal suo servizio, ma la chiave del suo potenziale era da rintracciare nel suo grande senso di andare sulla palla, era dotato di uno spiccato anticipo. Peccava dal lato fisico, ma, e a volte non capivi come, riusciva sempre ad arrivare prima sulla palla. Era la sua dote migliore.” Dote che, nel 2010, lo portò a trionfare nel consolidato torneo de “Les Petits As”, che è una sorta di mini-campionato mondiale (o perlomeno così si auto-definisce) per le categorie under 12 e 14. L’ultimo francese a riuscire a vincerlo, undici anni prima, era stato… Richard Gasquet. “Vero, ma non c’è soltanto lui, prima di Richard, negli anni ’90 vennero incoronati anche Maxime Boye e Julien Maigret, le cui carriere non è stata esattamente all’altezza di quanto la manifestazione di Tarbes vorrebbe lasciar presagire, per cui…” precisa il duo Faurel-Beust dell’INSEP, alla quale Quentin accede un anno più tardi, nel 2011. Si torna a respirare l’aria parigina, quella di casa.
Dopo il successo su Wang, al secondo turno Halys viene sconfitto, con onore, dall’indiano Somdev Devvarman, non un giocatore da terra, ma di certo con qualità più adatte alla superficie lenta per definizione. Il cammino nel torneo juniores, dove giocoforza le attenzioni di molti si spostavano, si interrompeva al secondo turno, contro il cileno Christian Garin, che mostrava una maturità già di un livello superiore: non a caso si sarebbe aggiudicato il successo finale. Un avvenimento che non preoccupava il suo nuovo allenatore, Alios Beust “Da subito, e di concerto, avevamo deciso di far anticipare a Quentin le normali tappe, per cui stava giocando tornei junior un anno prima rispetto a tanti suoi coetanei, una sconfitta prematura poteva rientrare nell’ordine delle cose. Sul piano tennistico aveva tante qualità, ma doveva prendere in mano la situazione ed essere meno emotivo. Poiché si trattava di un ragazzo serio ed intelligente, oltre che di carattere, non abbiamo avuto dubbi che questa fosse la strada giusta per lui.”. La strategia, alla lunga, pagò sul serio, se è vero che Halys abbandonerà la categoria giovanile, al termine del 2014, dopo aver raggiunto, come apice, la terza posizione mondiale, essersi laureato campion europeo ed aver colto una finale, allo U.S. Open, dopo il titolo in doppio al Roland Garros.
Si è soliti considerare un momento particolarmente ostico lo sbarco definitivo nel mondo dei pro. Nulla preclude il poter già prendere parte ai tornei di questo circuito quando si è ancora junior, ma nel momento in cui ti lasci alle spalle le competizioni giovanili per completare quel passo, non c’è più tempo per guardarsi indietro. Qualche titubanza è naturale, è fondamentale saper gestire con saggezza ogni minima difficoltà, non dare troppo peso ai risultati – che è facile a dirsi, ma quando sei abituato a coglierne sin da giovane, diventa più complicato – perché possono essere forieri di interpretazioni sbagliate: altro che “nuovo Gasquet”, le insidie si nascondono altrove rispetto ai titoli altisonanti dei giornali. Nel frattempo Quentin era fisicamente cresciuto, e alla prova del “metro” i 190 centimetri venivano svettati di giustezza: ora bisognava dimostrarlo anche col carattere. E non è un caso, che, al termine della conferenza stampa dell’incontro di secondo turno dell’Australian Open 2016, contro Novak Djokovic, le parole di aperture del transalpino furono, alla classica domanda su quali siano le sensazioni provate da un Carneade che mette piede sulla Rod Laver Arena contro il più forte tennista del globo “Ho provato a fare l’uomo e non il ragazzino”. Però, direte voi, se nel giro di un anno siamo passati dai timori del lasciare le giovani leve al fare “l’uomo” contro il campionissimo serbo tante cose poi storte non devono essere andate.
In effetti l’anno di apprendistato di Halys conosce molti alti e pochi bassi. Memore del primo future vinto già nella stagione precedente in Grecia, Quentin parte subito forte nella “terza Serie” del tennis professionistico, collezionando due finali nei primi tornei del circuito ITF che l’Italia ospita. Mostra dunque una certa continuità, e presto la doppia finale viene soppiantata da un doppio titolo con un back-to-back tra Poitiers (un caso?) e Shrewsbury degno di rispetto: siamo a fine marzo e Quentin, coi fatti più che con le parole, fa capire di quale pasta sia fatto; non a caso risulta tra i giocatori ad aver collezionato più punti nei tornei minori. La situazione non passa assolutamente inosservata ai vertici della FFT, che senza perdere tempo decidono di riservare una wild-card per il Roland Garros al giovane parigino. Che a distanza di due anni può dunque chiudere quel discorso aperto contro Jimmy Wang: bisognerà capire quale sarà il suo avversario, sebbene un episodio rischia di gettare un’ombra poco rassicurante sul futuro del transalpino.
Da qualche anno, a Nizza, si disputa una delle competizioni che coprono un periodo abbastanza sui generis all’interno del calendario mondiale, ovvero la settimana antecedente ad uno Slam: al maschile può sempre scaturire la sorpresa, e Halys, dopo aver racimolato due wild card nei challenger transalpini, decide che è tempo di testare in maniera più approfondita le proprie qualità sulla terra battuta. L’incidenza delle partite giocate sulla polvere di mattone rosso rispetto a quelle totali è piuttosto irrisoria “E’ un giocatore versatile, buono per tutte le superfici, ma sul veloce ha avuto sicuramente un impatto diverso”. Dopo la vittoria sul convertito doppista argentino Guillermo Duran, per un posto nel main draw Quentin se la deve vedere col bombardiere australiano Samuel Groth, ma preferisce non scendere in campo: poco prima dell’incontro, infatti, un attacco di tachicardia lo sorprese e lo gettò in un rapido sconforto. Fortunatamente l’episodio rimane isolato e non gli impedisce di scendere in campo come lucky loser contro l’australiano James Duckworth: sconfitta in due tie-break e valigia da preparare alla volta di Parigi. C’è uno Slam da onorare, contro il tennista che passerà alla storia come più temibile sulla terra battuta: Rafa Nadal. Certamente non nella sua forma migliore, ma il mallorquino è un banco di prova improbo per un ragazzo che cerca di diventare grande. “Rafa è arrivato nel momento sbagliato, è capitato troppo presto. Non che fosse importante il risultato a Parigi, però magari un impegno meno ostico era auspicabile, anche per comprendere a che punto fosse la sua crescita. Lo spagnolo non è e non potrà mai essere un metro di paragone, soprattutto in un periodo in cui Halys ha cominciato una forte preparazione atletica per irrobustirsi.” Già perché quel metro e novanta non era ancora accompagnato dalla giusta attrezzatura: contro Nadal rimedia una figura tutt’altro che misera, ma non sono assolutamente questi gli incontri da cui si può carpire qualcosa, come affermava Beust. Una seconda parte salvata nuovamente da una doppietta ITF, questa tra l’Italia (Piombino, torneo durante il quale gli facemmo quest’intervista) e Roheampton lo lancia a fine anno verso la 200esima posizione mondiale, graduatoria sfiorata anche grazie alla semifinale nel challenger statunitense di Tiburon. Ulteriori progressi che gli sono valsi la wild-card che la Francia aveva a disposizione per l’Australian Open dell’anno successivo.
E a questo punto ci ritroviamo all’incontro di secondo turno contro Novak Djokovic, dove Halys regge molto bene il campo, fa quindi l’uomo anche grazie a scambi come quello appena sopra e trova i punti necessari per abbattere la barriera dei primi 200. A gratificare maggiormente il nuovo tecnico federale che lo segue, Olivier Ramos, è però il match di primo turno, quando è riuscito a sconfiggere, in una battaglia di quasi quattro ore, un tennista fatto e finito come Ivan Dodig. “Il punto che lo ha portato a match-point, in cui ha dovuto colpire la palla 49 volte, fa ben capire i passi in avanti che ha fatto a livello di condizione atletica. Un anno fa, non ne sarebbe stato capace.” Rientrato a casa, non sfrutta a dovere le wild card che la federazione gli riserva per i tornei ATP di Marsiglia e Montpellier, e pare incappare in un periodo infausto, fino a quando arriva, salvifico, il viaggio negli Stati Uniti sud-orientali, per quel trittico di manifestazioni che per gli statunitensi mette in palio un invito in tabellone principale al Roland Garros. “Spero di averla, ancora di ufficiale non c’è nulla, ma credo di poterla meritare”. A scanso di equivoci, proprio poco prima di fare rientro a casa, si regala la prima gemma a livello challenger, nella capitale della Florida, a Tallahassee. Nonostante la desuetudine alla superficie, la terra verde, Quentin non si lascia sorprendere e trova invece ottime sensazioni, grazie ad una giusta combinazione tra aggressività, rischio e contenimento ed infliggendo così via via sconfitte nette, fino alla finale contro Frances Tiafoe, di cui sta diventando bestia nera, e che porta all’esasperazione, dal momento che con la risposta non dà scampo al servizio, a dire il vero non esorbitante, dell’avversario. “Col tempo sta sviluppando una certa abilità nella ribattuta, lo aiuta quell’anticipo di cui è dotato, ma sta davvero crescendo molto in questo frangente: unita al servizio gli permette di prendere in mano il pallino del gioco.” E poi, vero che Frances ha un anno e mezzo in meno, ma in campo Halys, più la situazione si faceva decisiva, più palesava un attitudine da giocatore consumato.
Il numero che definisce la sua classifica continua ad abbassarsi, credere nella top-100 già durante il 2016, anche prima dei 20 anni, non è un miraggio. “So di non essere il più forte 1996 in circolazione ad oggi, anzi ci sono ragazzi più giovani di me che già sono ampiamente nei 100, ma io sto percorrendo le tappe coi miei tempi. Arriverà il mio turno e lo coglierò, senza troppi patemi, devo solo pazientare. Per esempio, nell’ultimo anno sono cresciuto molto atleticamente, giungerà il momento di mettere tutti i tasselli a posto e progredire ancora.” Quasi certamente non siamo di fronte ad un nuovo Gasquet, ma un ragazzo come Quentin Halys fa capire perché dalla Francia escono spesso prodotti interessanti.
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