di Andrea Martina
E il torneo del Queen’s? Halle? Che fine hanno fatto?
Sono domande tipiche del post Roland Garros, fatte soprattutto dagli appassionati di tennis sull’erba (gruppo di nicchia, romantico e senza tempo come il genere noir) che ha pazientemente sopportato le prove muscolari da terra rossa di questi mesi.
Ma niente paura. Dal 2015 l’Atp ha deciso di aumentare di una settimana la parentesi erbivora e riposizionare i tornei in calendario: Stoccarda e s-Hertogenbosch questa settimana, Halle e Queen’s (passati da ATP 250 a 500) a seguire e dopo, alle porte di Wimbedon, ci sarà il torneo 250 di Nottingham. Questa scelta comporterà due aspetti: l’erba porterà una quota di punti leggermente superiore nei ranking e, soprattutto, ci sarà più tempo per assorbire il cambio di superficie prima dello Slam londinese.
Al di là di questo occorre notare come la Germania, oltre al mitico appuntamento di Halle, sia stata molto attenta ad assicurarsi un altro evento su erba grazie al cambio di superficie del “Mercedes Open” di Stoccarda che si giocava su terra rossa dagli anni ’70. Questa scelta appare sensata se pensiamo all’ottima tradizione tedesca sui campi in erba, tradizione che potrebbe essere un punto di partenza per provare a risollevare il suo movimento maschile, oggi in caduta libera.
Il 1991 è ormai troppo lontano, ma è bene ricordare che in quell’anno a Wimbledon la finale fu tutta tedesca con l’affermazione della “favola – Stich” sull’amico Boris Becker (già vincitore dei Championship per tre volte). È stato il picco di una decade, quella 1985-1995, che ha visto per otto volte una finale di Wimbledon a targhe tedesche e tre Davis all’attivo. Se guardiamo, invece, alla realtà odierna del tennis maschile in Germania ci troviamo di fronte ad un quadro allarmante con solo tre tennisti nella top 100: Kohlschreiber e Benjamin Becker (che ormai sono nella seconda fase della loro carriera) e la grande promessa Alexander Zverev (fratello di Mischa, ex top 50) su cui si sta aggrappando un movimento sbiadito e invecchiato.
L’eredità di Becker e Stich, però, ha avuto un seguito nell’immediato di grandissima qualità: Tommy Haas è stato sicuramente tra i migliori interpreti (uno Stich 2.0), numero 2 del mondo e medaglia d’argento a Sydney 2000, nonostante un fisico che lo costringeva a lunghi stop. A ruota seguono Nicolas Kiefer (numero 4 del mondo e vincitore ad Halle) e Rainer Schuettler che nel 2004 riuscì a raggiungere la quinta posizione per poi mettere a segno la sua fiammata di fine carriera con la semifinale a Wimbledon del 2008. A questo terzetto di tennisti, nati tra il 1976 e il 1978, si potrebbe aggiungere una meteora, discreto avversario in ogni torneo ma fenomeno vero sull’erba: il gigante Alexander Popp. La sua particolarità sta nel non essere mai entrato nel primi 70 del mondo, ma di aver comunque disputato due quarti di finale nel torneo di Wimbledon battendo avversari mai banali (Kuerten, Novak, Chang, Rosset), inoltre ha disputato la sua unica finale Atp sull’erba di Newport.
Già con la generazione dei nati negli ’80 c’è stato un piccolo calo, attutito però dalla massiccia presenza di tedeschi nella top 100. Anche in questo caso scorre sempre un curioso legame tra la scuola tedesca e i risultati fatti registrare sull’erba.
Nelle ultime edizioni di Wimbledon, infatti, era molto frequente vedere dei loro rappresentanti nella seconda settimana del torneo: nel 2004 l’eclettico Florian Mayer riuscì a raggiungere addirittura i quarti di finale, poi arrivò l’ennesima ripartenza di Haas con un buon ottavo di finale nel 2007 e una storica semifinale due anni più tardi (raggiunta battendo Cilic e Djokovic), nel mezzo troviamo la già citata semifinale di Schuettler targata 2008. Il nuovo decennio è stato aperto dal miglior risultato di Daniel Brands in uno slam, ottavi di finale nel 2011, fino ad arrivare all’anno capolavoro (il 2012) con ben due rappresentanti nei quarti di finale: Philipp Kohlschreiber e, ancora una volta, Florian Mayer.
Questi ottimi risultati vanno ampliati con quello che è successo ad Halle, il giardino di casa: Tommy Haas è riuscito a vincere il torneo in due occasioni battendo in finale due signori come Federer e Djokovic, nell’albo d’oro trova spazio anche Kohlschreiber, vincitore del derby con il talentuoso e discontinuo Petzschner. Ma guardare solo alle finali può essere riduttivo, notoriamente nel Gerry Weber Open trovano spazio prestazioni incredibili targate Germania già dai primi turni: è ancora fresca nella mente l’eliminazione di Nadal per mano del folle Dustin Brown e nella stessa edizione abbiamo avuto anche l’occasione di ammirare Gojowczyk (doppio 6/4 a Raonic). Un altro valido rappresentante di questa scuola è sicuramente Benjamin Becker (non ha nessun legame con Boris) che a differenza dei connazionali è riuscito ad affermarsi sull’erba fuori dai confini: finalista per due volte a s-Hertogenbosch (Olanda) e vincitore nel 2009.
Tutte queste belle parentesi, però, non cancellano un dato: l’ultimo tedesco ad aver giocato la Masters Cup di fine anno è stato Schuettler nel 2003. Da quell’anno la Germania non è più riuscita ad esprimere un top player.
L’unica eccezione è quella di Tommy Haas, che tra l’altro a 37 anni compiuti ha recentemente fatto il suo ennesimo ritorno battendo Kukushkin nel torneo di Stoccarda (nota a margine: all’autore dell’articolo vengono ancora i brividi nel vedere quell’immagine). Occorre specificare, però, che Haas poteva fare sicuramente una carriera da top 10 stabile senza tutti quegli infortuni, ma all’interno di questa analisi complessiva è un corpo estraneo, dato che la sua crescita tennistica è avvenuta negli Stati Uniti (Bollettieri Academy).
Come individuare la causa che ha generato questo vuoto? In Germania la qualità delle strutture non lascia alcun dubbio, a livello federale l’organizzazione dei tornei del circuito maggiore è ottima con due ATP 500 (Amburgo e Halle) e due ATP 250 (Stoccarda e Monaco), mentre a livello challenger/futures ci troviamo con circa 20 tornei. A margine occorre specificare che nei tornei di paesi vicini come Repubblica Ceca, Austria, Svizzera e Polonia la presenza di tedeschi nei tabelloni è sempre consistente. La questione, quindi, si sposterebbe più su carenze da attribuire ad esempio alle scuole tennis.
Alexander Zverev potrebbe colmare tra qualche anno questo lungo digiuno, ma rappresenta una goccia d’acqua in un deserto. Difficile pensare che tra cinque o sei anni la situazione possa migliorare: la generazione di Philipp Kohlschreiber, Benjamin Becker e Florian Mayer non ne ha ancora per molto, alle loro spalle c’è un piccolo esercito di buoni e discontinui tennisti (Brands, Kamke, Bachinger, Struff, Goyowczyk) che alternano ATP e Challenger, ma sono molto lontani dall’entrare stabilmente nei primi 40 del mondo.
Riassumendo ai tedeschi non resta che aggrapparsi alla parentesi sull’erba di giugno per l’immediato e sperare che con Zverev il movimento ritorni ad avere una nuova linfa. Intanto i titoli sono tutti per il ritorno di Tommy Haas: 19 anni lo separano dal giovane Alexander, 19 anni di gran belle storie sui prati.
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