di Alberto Cambieri
David Goffin, tennista belga classe 1990, ha appena ricevuto il titolo di “ATP Comeback player of the year”, premio assegnato al giocatore che più di altri è stato protagonista di una stagione di ritorno ai piani alti della classifica in seguito a stop forzati non banali. Il suo 2013 si era di fatto concluso con un brutto infortunio subìto in allenamento in Coppa Davis in autunno dopo gli Us Open che lo aveva costretto ad una delicata operazione per curare il polso rotto in seguito ad un’inopinata caduta a pochi giorni dal match casalingo di spareggio contro Israele. Dopo essere “esploso” ad alti livelli nel 2012 grazie soprattutto agli ottavi di finale raggiunti al Roland Garros da “lucky loser” e persi contro il suo idolo d’infanzia Roger Federer in quattro combattuti set, i fan di tutto il mondo si sono appassionati al suo tennis pulito ma forse troppo leggero (ai tempi) per competere al 100% contro avversari più potenti e dotati atleticamente di lui. Il 2013 in particolare però non è stato un anno per lui così soddisfacente e la stagione successiva non è iniziata nel migliore dei modi: le sconfitte contro Alex Kuznetsov, Matosevic, Smyczek, Zeballos, l’allora quasi ritirato Davydenko, il semi-sconosciuto Carballes Baena (!!) e il nostro Travaglia non sono state esattamente incoraggianti e hanno convinto il talento di Roucourt a provare a rigiocare dei tornei Challenger in estate per riprendere la fiducia e il gioco smarriti in seguito all’infortunio al polso. Nonostante nei tornei di pari livello da febbraio a maggio avesse raccolto praticamente solo delusioni, in estate è riuscito a trovare una continuità di rendimento spaventosa che l’ha portato a vincere 25 match consecutivamente tra cui 3 challenger di fila (Scheveningen, Poznan e Tampere) senza perdere nemmeno un set nei 15 incontri disputati e il primo titolo ATP sollevato in quel di Kitzbuhel, vinto ai danni dell’idolo di casa Thiem in quella che era la prima finale del circuito maggiore per entrambi. La striscia d’imbattibilità si è per lui interrotta ai quarti del torneo di Winston-Salem contro Janowicz a pochi giorni dall’inizio degli Us Open, torneo in cui si è ben comportato raggiungendo il terzo turno prima di perdere da Dimitrov, non prima di avergli rifilato un “bagel” nel primo set. Il finale d’anno è stato ancora ricco di soddisfazioni, come testimoniano il secondo titolo ATP vinto a Metz, alloro ottenuto battendo Tsonga ai quarti e Sousa in finale, il quarto Challenger stagionale nel suo Belgio a Mons e la finale nel ricco e prestigioso torneo ATP 500 di Basilea persa nettamente contro Federer dopo aver ottenuto il primo scalpo della carriera contro un Top Ten ai danni di Raonic a livello di quarti.
Ciò che ha maggiormente colpito della sua stagione è stata quindi l’impressionante cavalcata in seguito all’eliminazione al primo turno di Wimbledon contro l’allora campione uscente Murray; si è trattato di un exploit totalmente imprevisto se pensiamo che al termine dello Slam inglese era sceso fino al numero 106 e ha invece chiuso la stagione da numero 22 al mondo. Questa presa di fiducia nel suo tennis si è manifestata in campo attraverso risultati per certi versi inaspettati e un gioco più convincente in termini di potenza da fondo, solidità, varietà dei colpi e preparazione atletica e ricorda per molti versi i miglioramenti sorprendenti che hanno visto nella scorsa stagione Simona Halep passare da una posizione in classfica a ridosso della 60esima posizione WTA fino all’11esima di fine anno, perfetto preludio per una scalata continuata ancora nel 2014 con la seconda posizione del ranking raggiunta a luglio e risultati prestigiosissimi come la finale al Roland Garros e al Master di fine anno, le semifinali di Wimbledon, i quarti in Australia e le vittorie a Doha e nel torneo casalingo di Bucarest. Propio il 2013 della Halep ricorda il 2014 di Goffin, in quanto da giocatrice sì talentuosa ma mai arrivata ad altissimi livelli nonostante gli ottimi risultati ottenuti da juniores si è rapidamente trasformata in una giocatrice di vertice in grado di imporsi su ogni superficie e anche contro atlete di vertice: i suoi 6 titoli nella stagione passata in seguito all’inaspettata semifinale raggiunta a Roma (Norimberga, S’-Hertogenbosch, Budapest, New Haven, Mosca e il Master ‘B’ di Sofia) ricordano in parte la straordinaria cavalcata del tennista belga (alcuni tornei vinti dalla Halep, seppure di livello WTA, possono essere accostati a ricchi e prestigiosi Challenger come Mons per caratura dei giocatori battuti) e sono di buon auspicio, in questo senso, per il belga per affrontare la prossima stagione. Se la rumena classe ’91 al termine dello scorso anno aveva ricevuto dalla WTA il premio come giocatrice più migliorata, il riconoscimento ricevuto pochi giorni fa dal belga è l’ennesimo legame che sempre esserci tra due tennisti apparentemente diversi ma assai simili come carattere e tipologia di gioco: entrambi schivi, educati e riservati, fanno del timing sulla palla e delle accelerazioni di rovescio il loro punto forte, insieme ad un’invidiabilie mobilità e preparazione fisica. Il 2014 della Halep può essere ancora più d’aiuto al belga in questo senso e sembra porre i giusti interrogativi per quanto riguarda la prossima annata: se sarà in grado di sopperire ancora di più al gap di potenza con mobilità e accurata lettura del gioco dei suoi avversari, non avendo paura di prendersi le sue responabilità provando ad accelerare (di rovescio in particolare) in momenti in cui magari nel passato preferiva essere più conservativo favorendo maggiormanete il palleggio prolungato, potrà raggiungere posizioni del ranking ancora più interessanti e prestiogiose puntando, perché no, anche alla Top Ten. Tutto passerà ovviamente anche dalla sua attitudine a reggere la pressione ora che è diventato un giocatore di vertice e con ancora più occhi puntati su di lui rispetto ai giorni successivi al suo exploit parigino di due anni fa e dalla sua capacità di abituarsi a vivere il tennis più da protagonista (e quindi con annesse interviste e ospitate televisive che sono la diretta conseguenza dell’aver raggiunto le posizioni “calde” del ranking) rispetto a com’è stato abituato fino ad ora. Se Simona, ragazza timida che parla nelle interviste (in inglese soprattutto) in un modo che ricorda una macchinetta, è riuscita nel duplice obiettivo di migliorarsi ulteriormente spingendo con i suoi colpi nei momenti decisivi degli incontri e di adattarsi alla vita da “WTA star”, non c’è motivo per cui il talentuoso belga non possa riuscire nello stesso intento: per quanto i due circuiti siano per diversi aspetti assai differenti tra loro, non c’è cosa più affascinante nell’osservare, sognare e, perché no, ispirarsi a colleghi dell’altro sesso per compiere il definitivo salto di qualità e raggiungere risultati fino a poco tempo prima insperati.