di Michael Braga
Il tennis negli ultimi anni ha dimostrato che è verso i 26 anni l’età giusta per maturare definitivamente, dando maggior tempo rispetto ad altri sport ai giovani per sbocciare. Una cosa positiva ma che ha delle controindicazioni, dato che comporta numerose difficoltà per le nuove leve che, praticando uno sport individuale e quindi più soggette a perdere il passo, faticano a fare il salto di qualità necessario per entrare in pianta stabile nell’elite.
Da questo punto di vista il 2014 si è rivelato un anno diverso dagli scorsi, con alcuni equilibri di vertice snaturati e alcuni nuovi arrivati che hanno fatto saltare il banco. L’esempio più palese è rappresentato da Nick Kyrgios, promettente tennista australiano giustiziere di Nadal a Wimbledon. Dotato di un servizio fenomenale, il ragazzo, seppur un poco esuberante, sembra sulla strada giusta per far tornare il movimento del suo paese ai fasti di un tempo. Il dritto è letale, col rovescio si difende ma quello che sorprende in lui è la personalità, la sfacciataggine, qualità che se ben coagulate e filtrate possono essere determinanti per raggiungere certi obiettivi. Assieme a lui, tra i maggiori esponenti degli under 21, c’è Dominic Thiem. Tennista più leggero, l’austriaco ha fatto impazzire Wawrinka a Madrid, passando in un anno dai futures agli ottavi a New York. Ultimo esponente del rovescio a una mano, dispone di numerose frecce nel suo arco.
Scorrendo il ranking troviamo i nomi di due 17enni che hanno esaltato in estate: Alexander Zverev ha vinto a Braunschweig e ha raggiunto la semifinale al 500 di Amburgo. Il suo problema è stato assorbire quel risultato e dare continuità: l’impressione è che il suo gioco sia troppo limitato alla terra rossa. L’altro nome è invece quello di Borna Coric. Il croato appare più completo, più mobile ed è consigliato da Ivanisevic.
Consultando il nostro sito avrete già potuto leggera della curiosa storia di Jason Kubler, che può giocare soltanto sulla terra e di Nicolas Jarry, talento cileno che ben si è disimpegnato negli ultimi challenger sudamericani. Con Garin e Lama che stentano un po’, forse i cileni dovrebbero pensare a puntare su di lui. Discorso diverso per Bernard Tomic e Jiri Vesely: stabilmente in top 100 non riescono a dare, per motivi diversi, quel qualcosa in più ai loro risultati. L’australiano ha provato a cambiare le carte in tavola con la scelta di farsi allenare da Malisse: avrà avuto ragione lui?
Capitolo America: Stefan Kozlov ha un grande futuro, poi ci sono alcuni buoni giocatori, come Donaldson e Broady che possono accompagnarlo nel tennis che conta. Ma non solo, le promesse in generale sono tante: Andrej Rublev ha esordito in un Atp a Mosca due giorni fa, Taro Daniel è un insolito giapponese terraiolo, Kimmer Coppejans si è imposto al Challenger di Meknes ed Elias Ymer può provare a dare un minimo di lustro alla Svezia, dopo i lucenti anni passati.
Le speranze dell’Italia sono riposte su Gianluigi Quinzi, Matteo Donati e Stefano Napolitano (nella foto a destra). Tre giovani sui quali è possibile fare affidamento ma sui quali è anche troppo presto per esprimere giudizi definitivi. Il dubbio però rimane: come mai i loro avversari, anche battuti peraltro, nei tornei junior si affermano già nel livello maggiore e loro incontrano diverse difficoltà? La risposta non è così immediata, ma la domanda può regalare diversi spunti di riflessione, a seconda di come si veda la questione.
In definitiva, in un tennis il cui baricentro di anzianità è spostato decisamente in avanti, i giovani possono lavorare tranquillamente, maturando la necessaria esperienza senza rischiare di essere bruciati. E questo, forse, è anche un bene per tutti.