di Alessandro Mastroluca
Miami, ma quanto poco mi ami? Se lo sarà chiesto Maria Shara(Sugar)pova, che da anni ormai chiama casa Bradenton e la Florida, oltre a Los Angeles. E’ la prima vittima illustre del torneo, battuta da un’altra russa che ha cancellato i legami con la madrepatria, Daria Gavrilova, entrata per la prima volta in top 100 solo tre giorni fa, che non aveva mai vinto prima contro una top-35.
Dopo l’oro alle prime Youth Olympics a Singapore e all’Us Open junior, Gavrilova è stata chiamata in extremis dopo la successione di gran rifiuti per la finale di Fed Cup di Cagliari, ma ha risposto picche: “Non mi avete mai presa in considerazione”.
Così, un paio di anni fa ha iniziato le pratiche per diventare australiana. Fidanzata dal 2011 con Luke Saville, come lei ex numero 1 junior e vincitore di Slam prima di passare pro, ha ottenuto la residenza permanente e dall’anno prossimo avrà anche il passaporto australiano: per questo, è ancora considerata russa dalla WTA ma può già giocare sotto la bandiera australiana nelle competizioni sotto l’egida dell’ITF.
Mentre in Italia si discute se riservare la nazionale di calcio agli italiani (parere autarchico e nostalgico di Roberto Mancini), dopo la scelta di Conte di convocare Eder e Vazquez, 42mo e 43mo oriundo della storia azzurra, in Australia l’accoglienza è decisamente diversa. Certo, qualche critica non manca, ma Gavrilova è la quinta tennista che sceglie di trasferirsi Down Under dall’Est Europa dopo la croata Ajla Tomljanovic, la slovacca Jarmila Gajdosova, e le russe Anastasia e Arina Rodionova. Senza contare chi è nato in Australia da genitori immigrati.
Una decisione, quella di Daria Gavrilova, diventata qualcosa più di un progetto nel 2012. Passa tutta l’estate ad allenarsi a Melbourne con Storm Sanders e il coach Nicole Pratt di Tennis Australia, che le chiede se le piacerebbe tornare lì più spesso. “Quella sera Dasha mi ha scritto una mail e mi ha chiesto come fare per ottenere la residenza qui” ha raccontato al Sydney Morning Herald. Pratt la mette in contatto con un avvocato specializzato in pratiche per l’immigrazione, il direttore di Tennis Australia, Craig Tiley, le scrive una lettera di endorsement, e tutto sembra andare per il meglio.
Ma a fine 2013, poco prima che il suo status di residente in Australia fosse confermato, si rompe il legamento crociato anteriore del ginocchio destro durante un torneo a Taiwan. Deve star ferma nove mesi, la gestazione di una Daria rinata. “Quello stop così lungo l’ha costretta a riflettere su dove davvero volesse arrivare col suo gioco” ha spiegato Pratt a fine 2014. “Era stata una campionessa da junior, ma c’era qualcosa nel suo tennis che le impediva di fare il passo successivo. C’è una certa tendenza, e l’ho vista anche nei nostri migliori junior, a dare per scontato che i risultati arriveranno anche tra i professionisti. Ma non è così, è un altro sport e i limiti tecnici, le mancanze nel gioco alla fine vengono fuori”. Pratt non ha limitato la natura creativa di Gavrilova, che si rispecchia nel suo modo di giocare, anzi l’ha convinta a credere nei suoi punti forti e farli valere in campo invece di adattarsi al gioco delle avversarie. Allo stesso tempo, ha lavorato per dare solidità al servizio, per migliorare il dritto, già naturalmente potente, e dare solidità al rovescio.
“Fermarmi è stato un bene” ha ammesso a posteriori Daria. “All’inizio, nei primi anni da pro, continuavo a perdere, non capivo perché e andavo avanti a giocare un torneo dopo l’altro. Ma non era la cosa giusta da fare”. Anche l’influenza di Saville, dalla personalità decisamente più schiva e riservata, ha aiutato.
Il combinato disposto della nuova tranquillità in Australia, della convinzione e della maturità acquisita dopo l’infortunio, si è tradotto nella sua più importante vittoria in carriera. Sempre avanti, ha oscurato dall’inizio l’orizzonte di Masha vincente dopo vincente, è andata avanti 5-3, si è fatta rimontare e superare (5-6) ma ha comunque chiuso 7-4 al tiebreak dopo 68 minuti. Anche nel secondo il 3-0, poi 4-1, è diventato 4-3 senza che Sharapova abbia mai davvero dato l’impressione di poter girare la partita. “Ho sbagliato davvero troppo” ha spiegato Masha dopo il 76 63 finale, “mi è mancata la pazienza, ho cercato troppe volte il vincente senza spingermi abbastanza in avanti. Ovvio, non mi aspettavo di perdere. Ma è per questo che giochiamo, non conta se sei favorita, devi conquistartela in campo la vittoria. Oggi non ci sono riuscita”.
“Non riesco ancora a realizzare davvero di averla battuta” ha detto una raggiante Gavrilova. “Sognavo di giocarci e di vincere da quando ho 12 anni, da quando l’ho vista trionfare a Wimbledon in finale su Serena Williams. Da quel momento ho pensato: un giorno voglio affrontarla e sconfiggerla”. E il destino ha bussato alla sua porta. Quest’anno ha giocato due volte con Angelique Kerber, e due settimane con Simona Halep. Tutte partite tirate, passaggi necessari per costruire fiducia nel proprio tennis, per credere di potercela fare, di poter stare alla pari con le big. Premesse di un sogno che diventa realtà. E non sono soltanto parole, parole, parole. Caramelle, Daria, non ne vuole più.
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