L’andamento della partita di Richard Gasquet contro Andrey Rublev è stato un quadro pressoché perfetto della sua carriera. A Marsiglia, il francese ha sfiorato la sua prima vittoria stagionale contro un top 10 salvo poi incepparsi nel momento clou del match. Avete presente il classico incontro in cui esci dal campo con l’amaro in bocca perché sai di esser stato a meno di un cm dal successo? Ecco, anche questa volta è andata così. L’ex numero 7 al mondo ha dipinto a sprazzi tennis champagne con quella sensibilità innata che si porta dietro dalla culla e la raffinatezza di quel rovescio extralusso che continua dopo anni e anni di a fare strage di cuori tra amatori e appassionati.
Ebbene, in queste due ore abbondanti di match col moscovita mi è sembrato di rivivere e ripercorrere per intero la carriera di Richard. Intendiamoci, a mio modo di vedere il tennista di Beziers difficilmente avrebbe potuto raggiungere le vette che gli erano state prefigurate quando ancora veniva definito un enfant prodige. I motivi in realtà sono molteplici: un fisico non eccezionale, un dritto troppo laborioso, una tendenza naturale a giocare troppo lontano dal campo e altri limiti che nel tempo sono venuti a galla (fra cui la mancanza di killer instinct).
Non si può nonostante tutto negare l’evidenza: 15 titoli senza mai conquistare un Masters 1000, tre semifinali Slam, una Coppa Davis e l’ingresso in top 10. C’è chi firmerebbe col sangue per un percorso simile anche tra gli attuali primi 50 al mondo. La verità, secondo me, è che troppo spesso la linea di confine tra una carriera colma di rimpianti o di successi è marcata dalle aspettative che gli altri ripongono su di noi. Qualche rammarico per non aver fatto quel passettino in più, pur essendoci andato vicino diverse volte, ce l’avrà pure Richard. Tuttavia credo che quando appenderà la racchetta al chiodo non si dannerà più di tanto con se stesso. Tutt’altro.
Alla fine dei giochi – perché questo ci insegna lo sport – varrà più l’eredità che ci lascerà quel rovescio a una mano che non il mancato Masters 1000 in bacheca. Negli anni a venire la maggior parte di noi assocerà il suo nome a quel gesto tecnico unico, ne sono straconvinto. Penseremo a quell’intreccio tra emozioni e speranze, a quel ragazzo fragile che non avrà vinto quanto ci si aspettava ma che ha fatto fantasticare intere generazioni di giovani sognatori con la racchetta. “In questo mondo di eroi, più di qualcuno avrebbe voluto essere Richard” semicit.
La fragilità a volte è un valore, non è sempre una mancanza. È un qualcosa che ci rende meravigliosamente umani e infinitamente belli.
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