A Miami arriva un’altra (ennesima) sconfitta di Fabio Fognini. L’azzurro chiude lo swing nordamericano con un poco digeribile zero alla casella vittorie e con tanti rimpianti, troppi per chi punta al tennis di vertice. I risultati certificano una situazione di crisi sulla quale è impossibile tacere, ma dalla quale è obbligatorio uscire e ripartire.
Dalla splendida vittoria ottenuta con Nadal a Rio, il ligure non è più stato in grado di agguantare un successo. Sono arrivate, infatti, cinque sconfitte consecutive, quattro delle quali contro avversari inferiori nel ranking e soprattutto nel tennis.
I numeri sono impietosi e le sconfitte stanno acquisendo una sinistra ripetitività. Si prendano ad esempio le ultime due uscite dell’accoppiata Indian Wells-Miami contro Mannarino e Sock: primo set combattutissimo, a tratti giocato pure discretamente bene da Fognini, e perso al tie break mancando svariate opportunità. Secondo set, di fatto, non giocato. Fabio molla, cede di schianto, non fisicamente, ma di testa. Va contro quello che sostiene essere il suo “credo”, va contro quelle tre lettere – NMM – che porta orgogliosamente al collo, cucite sulle scarpe e tatuate sulla pelle. Va contro quel credo che è stato il suo punto di forza nella ascesa della carriera fino a sfiorare la top-10.
I problemi che Fognini ha sul cemento, dove perde regolarmente da sette partite e cinque mesi (ultima vittoria con Albert Ramos a Valencia), non possono esaurirsi nel tennis. Lampante l’esempio di Jack Sock, ultimo giustiziere dell’azzurro in ordine temporale. L’americano ha la metà dei mezzi fisici ed atletici di Fabio ed un quarto del suo talento. Sock tuttavia, a differenza di Fabio, sa sempre cosa deve fare, ha un tennis semplice. Sa fare due cose – servizio e dritto – e le fa al massimo, sempre e comunque. Sock, sebbene appartenga ad una categoria inferiore, ha sicurezze dove rifugiarsi che Fognini non ha. A tal proposito sarebbe opportuno per l’azzurro cercare di migliorare il servizio, colpo di crescente importanza su superfici veloci senza il quale nel tennis moderno non puoi più giocare.
Altro dato estremamente interessante (ed estremamente negativo) è il rendimento del giocatore di Arma di Taggia nei tie break. Fognini ha perso otto degli ultimi dieci tie break giocati. Nel 2015 il suo ruolino di marcia recita due vinti e quattro persi e, tra quelli vinti, figurano quello recuperato incredibilmente con Vesely a Rio salvando tre matchpoint consecutivi e quello altrettanto incredibile vinto con Delbonis per 11-9 al terzo set in quella che resta la miglior partita di Fognini. Un dato inquietante, che stride col fantastico 12-5 messo a referto nel 2014, così come inquietante è il bilancio 2015 che al momento vede l’azzurro con cinque vittorie ed otto sconfitte, un bilancio che sarebbe potuto diventare addirittura tragico se non ci fosse stato Rio, e va ricordato che anche nel torneo brasiliano Fognini poteva tranquillamente perdere all’esordio visti i già citati tre matchpoint avuti da Vesely al primo turno.
E’ chiaro come il problema attuale di Fabio non risieda nel gioco, ma nella fiducia, elemento di importanza capitale nel tennis di altissimo livello. “Il tennis non mi è mai mancato”, lo ripete fino alla nausea Fognini ed ha ragione. Ma se il talento, che tutti gli riconoscono, se lo porta da casa, c’è una sola cura per acquisire fiducia: vincere partite. In questo senso, la fine della stagione su cemento e l’imminente partenza del tour sul rosso europeo è (forse) l’unica buona notizia di questo periodo.
Rialzati Fabio, perché così è troppo brutto per essere vero!
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