Ogni tennista desidera, almeno una volta in carriera, di essere protagonista della settimana perfetta. Quella in cui tutto fila per il verso giusto, i movimenti fluidi e precisi, la palla che viaggia serena dentro i bordi del campo, preferibilmente spolverando le righe, lasciandosi dietro una piccola nuvoletta di terra rossa. È un magico momento che Federico Gaio ha vissuto durante il Challenger di San Benedetto del Tronto, portandosi a casa il titolo sia in singolare che in doppio, in coppia con Stefano Napolitano. È il primo successo di questo calibro per il tennista di Faenza, 24 anni e una bella risata autoironica che spesso si fa spazio tra le sue risposte. Dopo aver raggiunto il best ranking nel luglio 2015 (nr. 206), Federico ha attraversato un periodo zeppo di cambiamenti, quello più importante senza dubbio la collaborazione col coach Daniele Silvestre, che può annoverare l’esperienza di un anno al fianco di Camila Giorgi. Grazie a lui il giovane tennista romagnolo sembra aver trovato finalmente il giusto equilibrio tra rendimento e continuità.
Federico, sei stato protagonista di un torneo perfetto. Prima vittoria in un challenger sia in singolare che in doppio. Quali sono state le tue sensazioni durante la settimana?
Sono davvero molto molto contento, al di là del fatto di aver vinto sia il singolo che il doppio, è stata una settimana magnifica in cui ho espresso un ottimo tennis. La cosa che più mi è piaciuta e di cui sono maggiormente soddisfatto è che ora ho più certezze, posso essere sicuro che la strada che sto seguendo sia quella giusta, perché sebbene in questo periodo stessi giocando bene non stavo raccogliendo più di tanto, mentre adesso posso dire di aver guadagnato sia in risultati che punti, voglio continuare su questa strada. Inoltre le condizioni di gioco sono state difficili, lo sono state per tutti ovviamente: a causa della pioggia abbiamo giocato anche indoor e domenica mi sono trovato a giocare semifinale e finale a distanza di poche ore. Sono ancora più contento quindi di essere riuscito a mantenere il livello alto anche in condizioni così diverse.
Non era la tua prima finale challenger, due anni fa avevi avuto una chance a Cortina. Avevi una sensazione diversa in campo questa volta?
La sensazione è stata ottima per tutta la settimana, soprattutto a livello tattico, come del resto lo era stata anche a Cortina, infatti mi è sembrato di rivivere un po’ quel torneo. Sono felice di aver rivissuto quelle stesse emozioni e perché no, spero di riuscire a riviverle presto! Devo dire che prima della partita ero un pochino più sereno rispetto a Cortina; sai, quando uno arriva alla sua prima finale pensa: “Oddio, chissà cosa succederà!” mentre alla fine è solo una partita come tutte le altre… anche se è sempre facile a dirsi, a farlo un po’ meno!
Subito dopo questo duplice successo sei partito per Recanati, dove si giocava sul cemento. Come ti trovi sul veloce?
Sul veloce mi trovo bene, anzi qualche anno fa probabilmente ti avrei detto che la mia superficie preferita era proprio il veloce. Diciamo che i risultati li ho fatti prevalentemente sulla terra, che mi aiuta ad avere più tempo: sul veloce la palla viaggia più in fretta e mette fretta anche a me e al mio gioco, quindi faccio un po’ più fatica a esprimermi al meglio. Però sono sicuro che anche sul veloce posso fare bene, sono convinto di avere ottime potenzialità anche su quella superficie.
Ora sei vicino al tuo best ranking di un anno fa. Cos’è successo in questi dodici mesi?
Mah, sono successe tante cose, prima di tutto ho cambiato coach: mi trovo molto bene da quando sono con Daniele Silvestre, ma mi trovavo bene anche prima con Giancarlo Palumbo. Di sicuro in questi ultimi mesi ci sono stati un po’ di cambiamenti in corsa, non sono riuscito a mantenere sempre il livello sperato, cosa che mi manca tutt’ora perché magari faccio primo turno-secondo-primo turno-vittoria, poi primo turno di nuovo… sono molto discontinuo nel rendimento. Mi aiuterebbe senza dubbio di più fare quarti-semi-quarti-semi, non tanto per i punti ma per mantenere sempre alto il livello di gioco. Peccato perché qualche tabellone poteva essere un po’ più semplice (ride forse pensando al primo turno di Recanati in cui ha trovato subito il n.1 Donskoy) … ma vabbè, capita a tutti e va bene anche così.
Dove vi allenate? Oltre a lui chi fa parte del tuo team?
Abbiamo base a Tirrenia e mi trovo davvero molto bene. Oltre a Daniele ci sono i preparatori fisici del centro Coni: c’è Giuseppe Carnovale che dirige il tutto, Roberto Petrignani, Francesco Cerrai, poi per l’aspetto tennistico ci sono anche Giancarlo Palumbo e Umberto Rianna… ci sono parecchie risorse da parte della Federazione.
Subito dopo Bergamo sei partito per una tournée messicana, avevi bisogno di cambiare un po’ aria?
Diciamo che in Europa non c’erano tanti tornei in quel periodo, c’era la possibilità di andare o in Asia o in Messico a fare qualche torneo consecutivo, ero entrato in entry list in Messico e ho deciso di farli tutti lì. È alla fine è andata benino, ho ottenuto una buona semifinale al terzo torneo consecutivo. Sinceramente le condizioni non erano facilissime, pensavo fosse un po’ più semplice ma insomma giocavamo indoor a 2500 metri d’altitudine, venendo da un challenger in Francia a livello del mare… non era proprio il massimo ma bisogna adattarsi a tutto!
La tua posizione adesso ti permetterà di entrare nel main draw dei challenger e nelle qualificazioni dello Us Open. Forse ora la cosa più difficile sarà mantenere questo equilibrio che finalmente hai trovato tra aspetto tattico-mentale-atletico e replicarlo negli altri tornei.
Sì, quello su cui sto lavorando adesso è proprio cercare di mantenere questa condizione il più a lungo possibile in ogni singola partita, perché se vinci un challenger il livello certo non ti manca; il difficile sta nel riuscire a mantenerlo, o per lo meno avvicinarsi il più possibile, cosa in cui ultimamente ho incontrato più fatica.
Da junior sei stato nr.19 al mondo e hai giocato in tutti gli Slam. È stato un percorso importante nella tua carriera o ha messo su di te tante pressanti aspettative?
No, aspettative pressanti no, ma se tornassi indietro farei molta più attenzione sull’aspetto tattico e non solo a quello tecnico: a livello junior la velocità di crociera della palla era molto più bassa quindi giocando benino a tennis me l’ero sempre cavata coi soli colpi, invece se avessi usato un po’ più la testa sarebbe stato meglio! Ma siamo qui apposta per migliorare…
Quest’anno sei ritornato negli Slam per giocare le qualificazioni. Com’è stato ritornare con gli occhi da “grande” e non più da junior?
Forse la differenza è che sei più maturo, capisci più cose…non è proprio vedere con occhi diversi, sono proprio i due tornei a essere diversi: quando hai 18 anni per te lo Slam è solo quello junior, mentre ora mi sembra solo più normale giocare in quello “vero”. Mi ricordo che quando avevo 18 anni ero felicissimo di essere là, così come lo ero anche quest’anno. È sempre un’emozione bellissima giocare lo Slam, anche partendo dalle qualificazioni.
Programmazione subito dopo Biella?
Andrò a Cortina, poi ad Appiano che è un 25.000$ con ospitalità dove l’hanno scorso ho vinto il torneo giocando molto bene, ci torno volentieri… poi…beh e poi c’è lo Us Open!
Facciamo finta che la stagione sia finita… che sia Natale! In che modo potrai dirti soddisfatto dell’anno trascorso?
Cercando di giocare sempre meglio e di mantenere il livello che ho adesso, poi la classifica sarà quella che mi sarò meritato quest’anno. Non mi pongo obiettivi di classifica, è inutile anche solo pensare ai numeri, devo solo concentrarmi e fare le cose bene per esprimere il mio miglior livello di gioco, tutto qui.
Mentre si scrive questa intervista Federico avanza al secondo turno nel challenger di Biella, dove è appunto impegnato questa settimana. In bocca al lupo quindi per il torneo e per il proseguimento della sua stagione.
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