di Federico Mariani
Nello sport ci sono luoghi che inevitabilmente superano per importanza altri. Ci sono posti in cui si è soliti dire che “qui si fa la storia”. Nel caso specifico del tennis, questo luogo è senza ombra di dubbio il Campo Centrale di Wimbledon. Un posto che pare trascendere la dimensione del tempo: tutto appare sempre uguale, quasi immutato anno dopo anno, preservato e difeso da tradizioni spesso ossessive che sono però in grado di mantenere l’etereo senso della storia che gli appartiene da sempre.
Nel tennis vincere in qualsiasi luogo del mondo ti rende campione, vincere a Wimbledon ti rende immortale. Se c’è un giocatore capace di incarnare e portare sempre con sé il senso della storia del gioco, questi è Roger Federer. Il legame tra il luogo simbolo del tennis e chi di questo sport è stato forse il più alto interprete non poteva che essere fortissimo. Il destino, che spesso sa essere un ottimo regista, consegnerà domenica nelle mani di Federer la possibilità di scrivere l’ennesimo capitolo, probabilmente l’ultimo, di una storia meravigliosa a distanza di undici anni esatti da quando tutto iniziò, manco a dirlo, sul Campo Centrale di Wimbledon. Il 6 Luglio del 2003 lo svizzero giocava (e vinceva) la sua prima finale Slam; il 6 Luglio 2014 si giocherà probabilmente la sua ultima vera chance per allungare un palmares già senza eguali e diventare il giocatore con più titoli nel torneo che più conta.
Una storia lunga undici anni nel mezzo della quale Federer ha dominato il circuito, ha frantumato record su record, ha toccato livelli di gioco che resteranno con ogni probabilità irraggiungibili. Ma ha anche conosciuto la sconfitta, le critiche, le difficoltà, affrontandole però sempre da grande uomo prima che da grande campione. E’ sempre riemerso anche quando francamente era difficile crederlo, come un anno fa quando proprio a Wimbledon perdeva al secondo turno da Stakhovsky iniziando così una parabola discendente che per molti (quasi tutti) pareva essere definitiva. Da lì in poi ha avuto l’umiltà di cambiare ancora, dal coach alla racchetta, perché in fondo non era ancora sazio. Ha preso sberle e subito sconfitte pesanti, ma in testa aveva chiaro che sarebbe tornato ancora e per l’ennesima volta ha avuto ragione lui.
Ora si trova ad un passo dal chiudere il cerchio, dal vincere il suo ottavo Wimbledon ed il diciottesimo Slam, il che significherebbe fare qualcosa che poco appartiene alle umane possibilità nel tennis di oggi se si hanno trentatré anni. Come è noto, poco prima di varcare la soglia del Centre Court, i giocatori si trovano a leggere la celebre frase di Kipling incisa proprio alle porte del campo che recita più o meno così: “Se saprai confrontarti con il Trionfo e la Rovina e trattare questi due impostori allo stesso modo”. Federer a Wimbledon ha conosciuto le gioie più grandi e le delusioni più cocenti, ma francamente ora importa relativamente poco vincere o perdere domenica. Quando farà il suo ingresso in campo per giocarsi l’ennesima finale a trentatré anni sarà magico ed incredibile allo stesso tempo. Come del resto è stata la sua intera carriera, magica ed incredibile.
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