di Marco Mazzoni
Alla fine il “sì” è arrivato. Giusto il tempo di scartare i pacchi sotto l’albero di Natale che Roger Federer regala ai suoi milioni di tifosi il tweet più atteso, la conferma che Stefan Edberg sarà parte del suo team. Per “almeno 10 settimane” – quelle dei tornei top in stagione – l’ex n.1 svedese seguirà Roger cercando di dare una prospettiva diversa al suo gioco. Queste alcune parole di Federer, appena pronunciate a Brisbane in attesa di scendere in campo per il primo match 2014: “Ho terminato la stagione con Severin Luthi e ci siamo posti una domanda, se il nostro team avesse bisogno di una nuova presenza… Edberg è stato il mio idolo da bambino, ma essendo fuori dai giochi da oltre 15 anni non pensavo avrebbe accettato di tornare. Ho provato a contattarlo personalmente, si è detto sorpreso e lusingato della mia richiesta. Dopo un periodo di riflessione ha accettato di raggiungermi a Dubai, dove abbiamo trascorso una bella settimana di allenamento insieme. Anche nei giorni seguenti ci siamo visti e abbiamo parlato molto. Ho cercato di capire se davvero fosse felice di questa opportunità di lavorare assieme, e abbiamo trovato un accordo che soddisfa entrambi… Non sappiamo come andrà a finire, ma sono sicuro che Stefan potrà dare un contributo importante al mio tennis, una prospettiva diversa. Lui non è solo un coach, è una leggenda del tennis, quindi sarà per me una fonte di ispirazione con cui poter approfondire tutti gli aspetti del mio gioco”.
Inutile negarlo, la suggestione è enorme. Vado a memoria, ma credo che Federer & Edberg sia la connection giocatore & coach più vincente di tutti i tempi. Insieme i due campioni hanno vinto 23 titoli dello Slam e 7 Master, sono stati n.1 per oltre 370 settimane, e l’elenco dei trofei e riconoscimenti potrebbe allungarsi all’infinito. Ma non è la pura somma numerica a far sognare i tifosi di Roger, e in genere chi ama il tennis in purezza. Immaginate di vederli in un allenamento, con Edberg (ancora in eccellente condizione fisica nonostante la carta d’identità dica 19 gennaio ’66) a far lavorare di fino la diagonale del rovescio di Roger, e poi solleticarlo a scendere avanti. Un privilegio assoluto, un campo da tennis baciato dal massimo mai raggiunto in una coppia giocatore-coach per classe tecnica, eleganza e regalità. Qualcosa di sconvolgente, uno spettacolo tecnico così alto da valere più di tante finali (ahimé anche Slam) dei nostri tempi…
Delle prospettive reali di questo team da sogno ne abbiamo in parte già parlato su queste frequenze appena prima delle feste, quando ancora non c’era l’ufficialità; su riviste e web il tema è caldissimo, tra dubbi, scetticismo e concreti sviluppi tecnici. Davvero un inverno movimentato quello del tennis, con Bruguera a fianco di Gasquet, Becker di Djokovic e Chang di Nishikori. Come ho scritto recentemente in merito a Bruguera – Gasquet (la prima di queste “strane coppie” appena nate), l’atteggiamento più corretto è quello di aspettare il responso del campo, soprattutto quando il gioco si farà duro e servirà il miglior Federer per arginare la virulenza dei colpi dei rivali. Lì vedremo davvero se Roger avrà preparato bene il 2014, se la sua salute atletica sarà tornata a buoni livelli, e se il tocco di Edberg sarà servito a dare una spolverata all’argenteria tecnica dello svizzero.
Se il coach avesse la magia di poter fondere le proprie qualità in quelle del suo assistito, beh, Federer & Edberg sarebbe lo scacco matto assoluto al tennis. Nella semi-perfezione tecnica di Re Roger i pochi punti di relativa debolezza sono sempre stati il rovescio, la capacità di approcciare la rete e qualche errore di troppo al volo. Casualmente proprio dove Stefan è stato maestro, uno dei migliori sempre, probabilmente il migliore al volo sul lato sinistro.
Per i pochissimi che si sono dimenticati di Stefan Edberg, l’angelo biondo è stato l’ultimo vero giocatore serve & volley, quello che è riuscito ad elevare il tennis d’attacco ad arte. Il suo storico coach Tony Picard disse di lui: “Quando è in giornata Edberg in campo vola, sprigiona la potenza feroce delle gambe con la leggerezza di un ballerino”. Definizione perfetta del modo di stare in campo di Stefan, un tennista che fondamentalmente non ha inventato niente di nuovo ma che è stato l’interprete più sublime del serve & volley puro, portandolo alla massima velocità ed eleganza. Edberg ha interpretato al meglio tutti i canoni del tennis antico. Come un giovane pianista che suona Mozart con un tocco e stile tutto suo, impreziosendo e dando un’anima ad un classico. L’armonia del suo rovescio ad una mano è qualcosa di musicale, un miracolo di armonia, velocità e potenza paragonabile ad un triplo salto di un Plushenko sul ghiaccio, qualcosa che cattura lo sguardo e non può lasciare indifferenti. Ma dove Stefan ha davvero staccato tutti per distacco è nella volee di rovescio, che i grandi del gioco considerano come la migliore di sempre. I capolavori degni del miglior Baryshnikov li regalava quando la palla era infida, tesa e calante tra i suoi piedi. Stefan riusciva a giocare volee basse al livello del suolo, con la sua racchetta che quasi toccava il terreno di gioco in piena corsa dopo il servizio, e depositare la palla ad un palmo dalla riga di fondo dell’avversario, magari pure in uno dei due angoli, costringendolo ad un passante difficilissimo. Magia e mistero.
Per quanto sia stato sublime il suo tennis d’attacco, nemmeno Edberg possiede la magia di donare a Roger le proprie qualità. Anzi, il rapporto tra coach e giocatore è molto complesso. Perché si scateni un circolo virtuoso è necessario che scatti la giusta chimica, che il coach riesca ad entrare nel mondo del giocatore e che questo sia capace di aprirsi a lui, accettare di vedere il proprio tennis onestamente, riuscendo a mettersi in gioco. E’ indispensabile che il giocatore abbia senso critico, che voglia provare cose nuove con grande umiltà, rischiando di tentarle in partita. Il tutto è ancor più difficile quando il tennista è un giocatore già “fatto”, maturo, con punti di forza (e debolezza) già sedimentati dentro di sé, e che danno vita in campo ad automatismi molto difficili da disinnescare. La cosa raggiunge l’estremo quando ti chiami Roger Federer, sei il più vincente dell’Era Open grazie ad un tennis divino ed hai da un pezzo superato la trentina.
La curiosità per vedere che cosa combinerà questo magico duo è enorme, ma i suoi sviluppi reali sul campo sono assai incerti. Per una manciata motivi.
Il vero problema di Roger non è la direzione tecnico tattica del suo gioco ma la combinazione tra salute atletica e vera motivazione, fame di vittorie. Sulla salute di Roger, Edberg non può nulla, può solo cercare di farlo allenare al meglio, con la massima costanza e convinzione. Sulla motivazione invece si può lavorare. Dovrà cercare di far scattare qualcosa, pungolare l’orgoglio del campionissimo ferito dall’esser stato superato da rivali più giovani, “cattivi” e affamati.
L’unico aspetto che a mio avviso potrebbe allungare la carriera al massimo livello di Roger è un miglioramento dell’efficacia del servizio. Un processo che doveva aver intrapreso già da qualche stagione, seguendo la scia della clamorosa vittoria a Wimbledon 2009, quando in finale sotterrò un coraggiosissimo Roddick sotto oltre 50 ace. Quella partita doveva esser la pietra angolare su cui costruire l’ultima fase della sua carriera, attivando una sorta di processo di “Sampras-sizzazione” (se mi passate il termine), ossia sbilanciare pesantemente il suo gioco sulla efficacia della battuta, in modo da risparmiare energie, ottenere molti punti a costi bassi dal punto di vista energetico (e mentale) e quindi focalizzare il massimo sforzo fisico nei giochi di risposta. Un processo non facile per Roger, che ama troppo scambiare, disegnare traiettorie magiche con i suoi colpi ottenendo vincenti con angoli mostruosi in anticipo. Però il tennis è cambiato, è sempre più fisico, e non è pensabile che a 33 anni il Dio svizzero possa reggere i “famosi” 54 scambi arrotati dei vari Djokovic e Nadal… Conditio sine qua non per provare a vincere un ultimo Slam. Oltretutto per attivare questa novità aveva a suo fianco proprio Annacone, ossia colui che ha guidato l’ultima parte della carriera di Sampras, che proprio grazie alla monumentale efficacia della battuta ha vinto gli ultimi grandi tornei.
Cosa trarre allora da Edberg? Qual è il senso della sfida? Oltre ad una maggiore attenzione al rendimento della battuta, mi aspetto forse un Roger meno attendista, che cerchi di muovere molto presto il gioco a costo di sbagliare pur di non cadere in difesa. Non uno schema d’attacco sistematico alla rete in pieno stile Edberghiano poiché i tempi sono cambiati, e proprio Federer ha dichiarato più volte che giocare moltissimo di volo è molto rischioso e percentualmente perdente viste le condizioni attuali (palle pesanti, rimbalzi molto alti, eccesso di topspin). Dove Edberg potrebbe realmente aiutare Federer è nella selezione del suo gioco, soprattutto nel sapere mixare bene il rovescio in top a quello in back, per i cambi di ritmo e non perdere metri di campo. E più in generale cercare di inquadrare i suoi attuali punti di forza in un game plan più rigido ma funzionale a far esplodere al meglio la propria differenza tecnica. E chi segue Roger sa bene quanto non sia mai stato un genio della tattica… Nemmeno Edberg apparentemente lo era, ma attenzione: lo svedese fu un esempio eccezionale di tennis percentuale, di uno che massimizzava i punti di forza coprendo le debolezze. Non il massimo della versatilità ma nemmeno così sprovveduto sul piano tattico, aspetto questo ingiustamente poco sottolineato durante la sua carriera. Questo è il senso della sfida, e a sfidare i sensi ci penseranno le magie di Federer.
Immaginare un Roger che grazie al coaching di Edberg scende spesso a rete e tocca di fino sarebbe una “figata” assoluta. In un tennis ormai del tutto ancorato a tirar mazzate in topspin da dietro, anche il solo sognare il suo attore più amato che prova a far splendere di nuovo il gioco d’attacco, addirittura a volleare con continuità, sarebbe un pensiero ardito. Eppure più volte Edberg ha dichiarato che i picchiatori di ritmo non sono più abituati tecnicamente e mentalmente ad affrontare un avversario che li sfida in una gara di attacchi e passanti, e quindi che lo spazio per un sapiente gioco d’attacco c’è ancora. Chissà. Questa sarebbe la sfida suprema, far rinascere in parte il gioco d’attacco. Sarebbe il testamento più nobile anche per un certo Roger Federer.
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