di Alessandro Mastroluca
Una tentazione e un rischio, scrivere di Federer e Nadal. Lasciare o raddoppiare? Riccardo Nuziale e Rossana Capobianco, colleghi che mi onoro di considerare amici (meglio dirlo subito), hanno scelto il raddoppio. In “Solo uno”, che uscirà il 3 dicembre per Absolutely Free, hanno raccontato a quattro mani, con due stili, due anime, due background diversi hanno raccontato la rivalità fra due campioni, due filosofie, due mondi. Senza cadere né nel “wikipedismo”, in una cronaca fredda, copia di mille riassunti di cose già dette e già sentite, soprattutto dal pubblico di appassionati e conoscitori del tennis cui il libro primariamente si rivolge, e allo stesso senza accreditarsi di profondità biografiche che solo una lunga conoscenza diretta e personale dei giocatori consente (vedi Peter Bodo con Sampras o Moehringer con Agassi).
Hanno scelto l’epica del racconto, e non il racconto epico che troppo spesso diventa la connotazione naturale anche della normalità sportiva “drogata” per acquisire appeal con la posticcia etichetta di eccezionalità. Hanno selezionato sei partite, tre vittorie per parte naturalmente. Sei match combattuti, sei fotogrammi di una storia fatta di pathos (quindi nessuno spazio per il 63 60 di Federer al Masters 2010 o lo show di Nadal in finale al Roland Garros 2008), per raccontare due uomini, secondo uno schema e una costruzione che non può non far pensare a “Levels of the game”, il capolavoro di John McPhee che ha raccontato Arthur Ashe e Clark Graebner, anche loro opposti in tutto, attraverso la semifinale agli Us Open 1968: un libro a cui chiunque tenti o voglia oggi di scrivere di tennis deve inevitabilmente molto.
Impreziosito dalla prefazione di Paolo Bertolucci, e da un’appendice statistica di Luca Marianantoni della Gazzetta dello Sport, il libro ha un titolo azzeccato, che è insieme messaggio e dichiarazione di intenti. “Solo uno” è un omaggio all’idea, che Borg ha applicato con la massima coerenza mettendo il suo bene e il suo male al di sopra di se stesso come una legge, per cui conta solo essere numero 1 e il secondo è solo il primo dei perdenti. Ma è anche rifiuto ideologico dei cosiddetti “Fedal”, cui è dedicato uno dei capitoli, quei tifosi che scelgono di non scegliere e dichiarano di tifare indifferentemente per entrambi. Eppure Federer e Nadal hanno indotto una polarizzazione quasi ideologica fra i rispettivi tifosi, le rispettive fazioni, un dualismo che li interpreta ancora più antipodici di quanto siano in realtà, e che ha portato a un’altra forma di degenerazione, altrettanto negativa: il mancato rispetto dell’avversario, l’incapacità di accettare la sconfitta del proprio beniamino senza accampare difese/accuse di doping e altre simili amenità.
Nella semplicistica categorizzazione che caratterizza la cronaca sportiva, Federer è l’eleganza neoclassica, Nadal la muscolarità moderna: campione di testa l’uno, capace come i veri cervelluti kubrickiani di affidarsi all’ispirazione, campione più di pancia l’altro, che fa appello alla grinta, alla garra, allo spirito combattivo, alla terra e al sudore. Contrasti che si rispecchiano nella diversità degli stili che scandiscono il racconto e i capitoli del libro.
Scrittura di testa quella di Riccardo (come chi lo conosce, e l’ha potuto apprezzare su Ubitennis e nelle sue analisi cinematografiche e musicali), che fa sfoggio non sterile e auto-glorificante di una cultura alta, di riferimenti storico-letterari, e arriva a immaginare un Lew Hoad trasportato nel tennis di oggi alle prese con i social network e il confronto con Federer e Nadal. La sua è una scrittura densa, piena, che induce alla riflessione, che stupisce e spiazza per le punte surrealiste e una ricerca lessicale che si spinge alla soteriologia e all’atelofobia.
Scrittura più di pancia quella di Rossana (e anche qui non dico probabilmente nulla di troppo nuovo a chi ha imparato a conoscerne lo stile), ma non per questo meno efficace. Più che il ricamo e il fioretto, sceglie la spada, la strada dell’immedesimazione nei pensieri di Roger e Rafa, il racconto anche delle “cazzate” fatte o pensate dell’uno, del bisogno di “fare casino” dell’altro. La sua è una scrittura che si sporca le mani, che si impasta con la materia del racconto e la plasma, la avvolge e coinvolge.
Nel libro non c’è solo il racconto delle sei partite, perché la rivalità Federer-Nadal trascende il campo, non si limita alle questioni psicologiche e alle disquisizioni tecniche sulla sofferenza dello svizzero lungo la diagonale sinistra. Gli autori si interrogano anche sugli aspetti politici, perché mai nessun numero 1 o numero 2 prima di loro si era lasciato coinvolgere nella definizione delle regole di questo sport. Federer e Nadal, invece, hanno convissuto nel ruolo di presidente e vice-presidente del Board dei giocatori all’interno dell’ATP, e anche il senso, lo spirito delle rispettive proposte ha estremizzato la polarizzazione intorno ai due fuochi: da una parte lo svizzero si è battuto per una distribuzione più equa dei prize money, dall’altro lo spagnolo ha insistito su una maggiore flessibilità del calendario e sull’introduzione di un ranking biennale sulla falsariga di quanto avviene nel golf.
E poi ci sono i tifosi, i social network che hanno fatto e fanno da cassa di risonanza e come insegna Ortega y Gasset, conferma il topos numero della psicologia delle folle: la potenza del numero riduce i freni inibitori dell’individuo, e se a questo si aggiunge la deresponsabilizzazione garantita dalle possibilità di anonimato sul web, ecco che gli opposti estremismi finiscono per accendersi oltremisura.
Il risultato è un libro per tutti gli amanti del passatempo dei re, dello sport creato dal diavolo. Un libro che, come i grandi momenti di sport, trasmette passione.
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