di Giorgio Giosuè Perri e Alessandro Mastroluca
È il giorno dei giorni. Il momento in cui tutto cambia e tutto comincia. È una prima volta che cambia la storia, che anticipa quel che sarà, che riscrive la Weltanschauung, lo spirito del tempo, del tennis moderno. Non è la prima volta che Federer e Nadal si scontrano, il maiorchino ha vinto con un facile doppio 63 al terzo turno l’anno prima. Ma quel 3 aprile 2005, sempre a Miami, è come se lo fosse. Perché è la loro prima finale, la loro prima volta al quinto set. Quel giorno Federer scopre il suo grande rivale. E Nadal vive una di quelle sconfitte che per gli hidalgos spagnoli “rivelano il blasone delle anime ben nate”. Quel giorno il maiorchino scopre che può arrivare in alto, molto in alto. E niente sarà più come prima.
Dopo quel primo successo in Florida, il 2004 aveva visto anche il primo titolo in carriera del maiorchino, a Sopot, e l’l’esplosione definitiva arrivata domenica 5 dicembre con la vittoria su Roddick nel terzo singolare della finale di Coppa Davis che porta l’insalatiera nella penisola iberica. Pitturato già come un fenomeno e con aspettative sempre crescenti, Nadal inizia il 2005 da Doha, dove supera due turni, ma viene sconfitto dal ben più quotato Ivan Ljubicic al termine di un match comunque tiratissimo. Un Australian Open incredibile, quello giocato da Nadal, che ancora non a suo agio sulle superfici veloci, riesce a trascinare al quinto l’idolo di casa Lleyton Hewitt prima di arrendersi tra i boati del pubblico, felici per la vittoria di Rusty ma, consapevoli allo stesso tempo di aver assistito a quel Rafael Nadal che, qualche anno dopo, quel torneo lo avrebbe vinto in maniera disumana.
A Melbourne, Federer si è invece fermato in semifinale, contro Safin. È una delle partite più belle del decennio, è la sua prima sconfitta dagli Us Open dell’anno prima. Alla vigilia della finale, da Flushing Meadows lo svizzero ha vinto 48 partite su 49, 32 su 33 nel solo 2005: è il miglior inizio di stagione dal 39-0 dello straordinario 1984 di John McEnroe, il miglior anno di sempre nella storia del tennis.
A Miami, però, la prima impressione è molto diversa. Federer, che ha sofferto già contro un coraggioso Zabaleta prima di battere Henman e Agassi, accetta un lungo scambio centrale da fondo al primo punto, ma nel resto del set cercherà la chiusura rapida, finanche affrettata. Gioca due prime deboli e centrali di fila da sinistra, anche sulla prima palla break, che Nadal converte. Per il maiorchino è lo stesso prologo dell’incontro di terzo turno a Buenos Aires, dove la testa di serie numero 29 del torneo (e 31 del mondo), aveva appena inziato la trasferta Sud Americana in vista degli impegni sul cemento Nord-americano. Opposto a Gaston Gaudio, era riuscito ad ottenere tre punti di fila procurandosi l’opportunità di partire bene nel parziale. Ottenuto il break, vinse poi 5 game di fila: 6-0. Con tutti i favori del pronostico, però, Nadal si rilassò un po’, si innervosì e fece rientrare in maniera clamorosa Gaudio, capace allora di approfittare del lunghissimo passaggio a vuoto del maiorchino e di lasciargli appena un game nei due set successivi. In tanti avevano pensato, con convinzione, che la tenuta mentale di Nadal sarebbe stata l’arma a sfavore dell’iberico, capace di offrire picchi di tennis impressionanti, ma poca concretezza dal punto di vista mentale. Ecco, chi disse quelle parole, probabilmente non era cosciente del fatto che sarebbe stata proprio quella testa da robot a renderlo uno sei tennisti più forti e vincenti della storia di questo sport. Infatti, dopo quella sconfitta, vinse dieci partite di fila mettendo in cascina i tornei di Costa do Sauipe e Acapulco, con aggressività, cattiveria e un tennis tanto rivoluzionario quanto diverso da quello di Federer, così perfetto, pulito, impeccabile.
Si vede già quello che sarà l’elemento costante dei loro confronti, la debolezza di Federer sulla diagonale sinistra. Lo svizzero prova ad aggirare il rovescio ogni volta che può, soprattutto nei turni di servizio. Ma è troppo morbido in risposta, e anche nel punto che chiude il set, rimane poco reattivo col secondo colpo, si lascia tenere un metro dietro riga di fondo e parte tardi con i piedi.
Nadal, il più giovane finalista nella storia del torneo, mantiene facilmente anche il proprio turno di battuta mettendo la testa avanti. I colpi da fondo del maiorchino scardinano subito la difesa di Federer, incapace di imporre il proprip gioco e completamente colto di sorpresa dalla profondità e dalla costanza delle bordate di Rafa. Dal 2-1 in poi, è una mattanza. Nadal tiene ancora una volta il servizio senza difficoltà, poi Federer inizia ad offrire palle break praticamente in tutti i giochi, riuscendosi a salvare una prima volta, senza però trovare continuità dopo, regalando addirittura con un doppio fallo il doppio break, che permetterà al maiorchino di aggiudicarsi il primo set con il punteggio di 6-2, dopo un game (tanto importante) vinto con freddezza a zero.
Federer, poco abiuato a ritrovarsi in situazioni del genere, non riesce a reagire con la giusta prontezza. Dopoi due emblematici game che hanno chiuso il set, l’elvetico parte col piede sbagliato anche nella seconda frazione, continuando ad incartarsi con i colpi di chiusura e soprattutto con il servizio. Il numero uno del mondo, però, capisce a sua volta di dover spingere lui sul rovescio per aprirsi il lungolinea: detto, fatto. In men che non si dica, grazie anche ad un po’ di aggressività in più, Federer trova fiducia e vola sul 4-1. Il martellamento continua, Roger trova con più facilità la via della rete e non rischia mai in battuta ritrovandosi avanti 5-2* 0-30.
Il toro di Manacor, non vuole però saperne di mollare un centimetro. Si lascia annullare una palla per conquistare un game, ma con le unghie e con i denti riesce a mantenersi vivo. Il nono gioco contiene tutto: dimostra perché Nadal vincerà la maggior parte delle successive sfide, spiegherà il 23-10 negli scontri diretti e perché Federer non riuscirà mai a trionfare dominando (se non in rare occasioni). Servizio e dritto, 15-0. Scambio estenuante, chiuso con uno smash non troppo complicato, 30-0. Poi arrivano quattro punti semplicemente spaziali di Nadal, che corre da un lato all’altro del campo senza mai perdere in profondità, riuscendo ad aprisi il campo con una facilità irrisoria prima di chiudere con quello sventaglio che tanto diventerà colpo simbolo dello spagnolo con gli anni.
Federer riesce a procurarsi due set point ma, nel momento di chiudere, inizia a tremare. Federer? Con il braccino? La partita si fa speciale, lo senti nell’aria che qualcosa sta per succedere, che qui si fa la storia. Le quote dei bookmaker davano Roger Federer a 1.10 (per chi non masticasse le scommesse, significherebbe giocare un euro per vincere dieci centesimi) ma il confronto inizia a prendere quella magia, quell’aura che allora nessuno si aspettava, se non Nadal e zio Tony, era evidente. A suon di “Vamos” Nadal riesce a completare la rimonta e a trascinare poco dopo la partita al tie break.
La tensione è palpabile, i due continuano a studiarsi e a non prendersi rischi. E’ evidente la paura, si sente il rumore di ogni singolo respiro, si capisce che quel set sarebbe stato decisivo. Nadal riesce ad ottenere il mini-break grazie ad un errore non forazato dell’avversario e immediatamente dopo trova uno dei punti più belli della partita, continuando a spingere sul rovescio di Federer, per poi chiudere con un lungolinea che Federer può solo ammirare. Lo scambio si rivela decisivo, lo spagnolo riesce a mantenere il gap e a chiudere il parziale con il punteggio di 7 punti a 4, mettendo seriamente a rischio l’esito della partita. Nadal, per la seconda volta in carriera, si ritrova avanti di due set contro Roger. Dodici mesi prima, era bastato, ma questa è una finale, e non finisce qui.
Contro un front-runner nato come lo svizzero, il maiorchino resta sempre proiettato in avanti: piedi vicini alla riga, anche in risposta (immagine lontanissima dal Nadal che aspetta il servizio dietro la scritta Indian Wells, a poca distanza dai giudici di linea) imposta un forcing costante e libera vincenti improvvisi, anche di rovescio. Federer è pervicace nell’evitare lo scambio dalla parte sinistra, insiste sull’uno-due e cerca con costanza la soluzione a rete. Ma troppo spesso l’attacco non è definitivo e lo espone al passante. Va ancora sotto di un break, ma lo recupera con due sbracciate a sventaglio di dritto anomalo. Ora lo svizzero gira ancor di più che nei primi due set intorno al rovescio, entra di più nei turni di risposta. È nervoso, Federer, e spacca la racchetta per lo smash facile affossato a rete sul 4-4, uno dei più banali dei suoi 74 gratuiti nel match. Nadal, però, commette un errore che non ripeterà praticamente più in carriera: si compiace, e comincia a giocare sul terreno dell’avversario. Gli cerca meno il rovescio, gli gioca più sul dritto e mette in ritmo la “frustata liquida”. È un passaggio tattico decisivo. Federer dalla parte destra genera potenza anche quando colpisce con la palla sotto l’anca, il maiorchino continua a cercare le righe, e a trovarle, ma qualcosa nell’inerzia del match si è spostata dalla parte dello svizzero. Nadal arriva a due punti dalla vittoria, sul 5-3 nel tiebreak del terzo, e non sarà mai più tanto vicino a conquistare il titolo in quella finale. Federer stampa due dritti a tutto braccio, diagonale e contropiede lungolinea, per il 5-5, affonda lo smash per il sorpasso e tiene lo scambio lungo di forza sulla diagonale sinistra prima di cambiare ritmo e stampare il 7-5.
È la chiave di volta. Nadal sente che la grande occasione gli è sfuggita di mano. Perde presa, si affievolisce, le traiettorie si accorciano e il proscenio è tutto per Federer, che rimonta uno svantaggio di due set per la terza volta in carriera e, quando il maiorchino mette in rete l’ultimo rovescio della partita, vince il primo titolo a Miami (come Kim Clijsters che il giorno prima ha battuto Maria Sharapova), nella prima finale al quinto set nella storia del torneo dalla prima edizione, nel 1985. “E’ stata molto lottata”, ammette Federer, che non perde da 18 finali consecutive da luglio 2003, “mi considero fortunato”.
Lo svizzero confermerà il titolo anche l’anno successivo: sarà la sua ultima finale in Florida. Nadal riuscirà a raggiungere l’ultimo atto a Miami in altre tre occasioni senza mai riuscire però a portare a casa uno degli ultimi trofei assenti nel palmares. Una superficie scomoda per il maiorchino che, a bissare i successi ottenuti a Indian Wells, non ne vuole sapere. Quello che però la partita ha messo in mostra non è da ignorare: un Nadal capace di mettere in difficoltà un giocatore dominante come Federer, capace di mettere in discussione un’egemonia senza precedenti, capace di rimettere in ballo le sorti del tennis mondiale. Rafa riuscirà a battere Federer nella maggior parte dei loro 33 scontri diretti, la metà dei quali (15) disputati sulla terra rossa, dimostrando senza mezzi termini che sulla diagonale diritto-rovescio, i colpi uncinati mancini son quasi imbattibili.
Federer, che ha trovato di fronte il maiorchino in 20 finali (di cui 8 in uno Slam), ha trovato quel 3 aprile di dieci anni fa un grande rivale, di quelli che tirano fuori il meglio quando ti affrontano e ti costringono a tirar sempre fuori il meglio, di quelli che spingono i limiti sempre un po’ più in là.
Oggi Nadal ha 29 anni, è appena scivolato fuori dalle prime quattro posizioni mondiali e magari non riuscirà mai più a portare a casa un torneo di questa caratura sul cemento. Federer va per i 34, ha superato le 300 settimane da numero 1 e le 1000 vittorie in carriera, e a Indian Wells ha giocato la finale numero 127. ma una cosa è certa: due giocatori così, con queste caratteristiche, con la stessa passione, lo stesso desiderio di migliorarsi, la stessa ricerca della rispettiva perfezione, non torneranno. Come Federer e Nadal, ci sono e ci saranno solo Federer e Nadal.
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