L’Ottovolante di Fabio Fognini

di Marco Mazzoni

Come complicarsi l’estate? Cercare di capire (e scrivere) qualcosa di Fognini, della sua strepitosa striscia sulla terra europea post Wimbledon, seguita dalle prestazioni così così nei due 1000 americani in preparazione agli US Open. 2 tornei vinti (Stoccarda e l’Atp 500 di Amburgo) e poi la finale ad Umag, con una striscia di 15 match vinti, la più lunga dal “sogno” di Panatta 1976; fino al volo in Nord America sul cemento di Montréal e Cincinnati, con una vittoria (faticosissima) e due sconfitte. Mica facile trarre conclusioni. Forse non è nemmeno giusto, perché un tennista come Fabio è un concentrato di talento e bizzarria fuori dal comune, che sfugge alla tentazione fin troppo umana di dare regole, voti. Sfugge alla terrena debolezza di voler a tutti i costi inquadrare in categorie azioni e personalità, quando invece uno spirito animato da talento puro misto a quel pizzico di “follia” può sfuggire a ogni algoritmo o media, e sorprendere ogni giorno. Nel bene e nel male.

Nonostante nella memoria sia scolpito quell’ultimo sciagurato game “non giocato” da Fognini a Cincinnati, esaustivo campionario di quello che non si dovrebbe fare in campo (doppi falli decisivi, proteste, warning, falli di piede quasi deliberati e beffardi…), personalmente resto assai positivo su Fabio, credendo che il nostro n.1 abbia realmente compiuto uno scatto di crescita, e non solo vissuto un’irripetibile striscia di gloria. La crescita di Fognini non è fatto di oggi e nemmeno dell’altro ieri, viene da più lontano. Almeno da alcuni mesi, e l’ho sentita sulla mia pelle nei varie occasioni in cui l’ho visto giocare dal vivo negli ultimi mesi e soprattutto parlato con lui nelle sale stampa, dalla Davis lo scorso febbraio a Torino in poi. Come? Ascoltandolo e soprattutto guardandolo.

Nessun potere divinatorio, ma da sempre sono convinto che gli occhi siano davvero lo specchio dell’anima, e che lo sguardo non mente. L’ho sperimentato tante volte in vita mia, nelle situazioni più varie. Guardare negli occhi una persona è un’esperienza vera, e se si crea una sintonia (anche minima) si riesce a carpire sensazioni profonde. Sono attimi, magari vissuti in silenzio, ma più significativi di tante parole. Il brivido, la sensazione che qualcosa fosse scattato guardandolo negli occhi è avvenuta all’ultimo Roland Garros, dopo il match vinto contro Rosol. Si presentò davanti noi nell’angusta saletta 3 del “Rolando” un Fognini diverso, animato da uno sguardo pieno, rotondo, illuminato da una luce più viva, attenta, a dar voce ad un numero assai minore di parole ma più “pesanti”, ponderate e assolutamente precise. In passato avevo avuto diverse occasioni di parlare con Fabio in vari tornei, dal suo esordio in Davis a Montecatini passando per altre sfide azzurre, Roma, Monte Carlo, Parigi e via dicendo. Parlandoci e guardandolo attentamente avevo sempre sperimentato sensazioni contrastanti, quelle di un ragazzo intelligente e affatto banale, ma che quasi giocasse con le sue parole, non so se a nascondersi o raccontarci solo parte della “verità”. Già lo scorso febbraio a Torino nella pancia del Palavela Fabio mi aveva sorpreso per il piglio diverso nelle sue parole, per la fermezza delle due risposte.

Il tutto s’è amplificato a dismisura a Parigi dopo il match contro Rosol. Una partita che ho visto quasi interamente da bordo campo, e che Fabio vinse giocando meglio, superando difficoltà tecniche e momenti di tensione per le deliberate provocazioni del ceco, che Fognini rimandò al mittente restando in campo estremamente focalizzato; match preludio alla bellissima partita contro Nadal sul centrale, totalmente di un altro livello rispetto alla serataccia romana sempre contro Rafael. Fabio in quella press conference confermò la mia sensazione, che Rosol lo stesse provocando e che i due si fossero “presi”; ma il modo in cui Fognini restò in campo con testa e gambe mi sorprese non poco. Inoltre Fognini rispose con estrema precisione ad alcune considerazioni tecniche sul suo gioco, su qualche aggiustamento tattico, e su come stesse vivendo quel momento positivo. Una lucidità di analisi e fermezza che non gli apparteneva, figlia di nuove certezze, forse di uno scatto di maturità e di nuova consapevolezza dei propri mezzi.

Qua sta la chiave di tutto. Sono proprio questi gli ingredienti “magici” che ha aggiunto alla sua prestazione, poiché tra il Fabio esaltante e vincente degli ultimi tornei su terra battuta e quello altalenante (a volte vicino all’“irritante”) di qualche tempo addietro non c’è stata un’importante differenza tecnica, e nemmeno tattica. Dal punto di vista del gioco puro, Fognini non aveva granché da imparare. Gli unici aspetti in cui mi pare migliorato è nella capacità di uscire dalla diagonale del palleggio con un lungolinea o con un cross ad alta percentuale, commettendo davvero pochi errori; inoltre lo trovo più aggressivo, lungo e continuo alla risposta, riuscendo così a non perdere campo e restando coi piedi vicino alla riga fondo gli è più facile imporre le sue qualità balistiche. Se vogliamo è più tosto quando è messo in difesa, sparacchia via raramente palle ad alto rischio e riesce a ribaltare meglio lo scambio, e anche le percentuali di servizio sono migliori. Ma qua si rientra nelle qualità mentali ed agonistiche, più che tecniche.

Fognini pare maturato come persona. E’ più consapevole della sua differenza e sa farla fruttare in campo. Tiene alto il livello del suo tennis per un minutaggio maggiore, con pochi cali di tensione. E questo non vuol dire solo meno errori intensi come palle tirate fuori o in rete; meno errori come gestione del gioco e dello scambio. E’ molto lucido, tira il colpo al momento migliore leggendo meglio il gioco, cogliendo l’attimo corretto per lasciar andare il braccio. Crea paradossalmente meno meraviglie balistiche ma butta via ben pochi scambi, e con palle difensive più consistenti resta più attaccato alla partita, anche quando finisce sotto. Una serenità e lucidità sostenuta anche da una condizione fisica molto buona, direi mai così buona.

I meriti di questa evidente crescita sono principalmente suoi, ma un applauso vigoroso va senza indugio al suo attuale coach José Perlas, sapiente (e paziente) maestro iberico che ha lavorato in passato con campioni come Ferrero, Moya, Albert Costa, Coria e da ultimo Nicolas Almagro, che ha compiuto un importante salto di qualità; ma tutti i giocatori nella lista hanno ottenuto proprio con Perlas grandi risultati e aggiunto qualcosa al proprio gioco come mentalità, segno evidente di un allenatore che lascia il segno. Perlas è il direttore d’orchestra, ma importanti sono stati tutti gli elementi del suo team, sempre più affiatato e coeso, che l’ha aiutato enormemente a crescere come persona e come atleta. Chi è potuto star accanto a lui in questo momento magico ha parlato di un Fognini sereno, sorridente, ma allo stesso tempo estremamente focalizzato sul tennis e sul fare tutto al meglio per rendere in campo. Il suo torneo ad Umag spiega tante cose del “nuovo” Fognini. Con due successi consecutivi portati a casa, e con una location che tra mare, hotel, divertimenti vari e clima balneare ispira un po’ a “staccare la spina”, vivendo sì un torneo ma in modo un po’ più rilassato del solito, Fognini ha voluto fortemente tenere ogni routine vincente, senza disperdere la minima energia fisica e mentale al di fuori di allenamenti e partite. Nessuna voglia di andare a far baldoria o concedersi un minimo di svago in un torneo che offre infinite occasioni per farlo. Niente. E’ restato in hotel con il suo team e gli amici fidati, magari passando una bella serata ridendo e giocando a carte, ma tenendo sempre quel sottile filo di trance che ti lega alla prestazione e ti fa arrivare al match successivo con la carica giusta per dare il meglio.

Che è successo allora in America? Dopo la clamorosa e vincente striscia di luglio, il cemento dei due Master 1000 nord americani ha lasciato l’amaro in bocca, inutile negarlo. Si sperava che la scia positiva portasse altre perle. Non è accaduto, ma ci sono anche delle attenuanti (non per gli atteggiamenti, sia chiaro, parlo di dati tecnici). Di sicuro il ligure è arrivato alla finale di Umag stremato fisicamente, con la necessità di ricaricare le pile. Inoltre la terra battuta per come Fabio sa governare la palla, tutte le sue rotazioni e soprattutto per come sa cambiare ritmo resterà sempre la sua condizione migliore, quella in cui è capace di esprimere tutta la qualità del suo tennis e fare la differenza. Sul cemento, dove serve ancor più ritmo, potenza e costanza, ancora i meccanismi sono da affinare. Ha tutti i mezzi per giocarsela anche sul duro, ma non è peccato dire che forse non arriverà mai alle stesse punte di rendimento del rosso, o lo farà a sprazzi. Per il prossimo US Open è bene restare con i piedi per terra, sperando che la testa di serie lo aiuti ad evitare un esordio insidioso. Inoltre è bene ricordare ai critici più accesi che la crescita in uno sport a suo modo unico come il tennis è una cosa complessa, che quasi mai avviene in linea retta, semmai a scale. Si costruisce pian piano, gradino dopo gradino, su nuove certezze solidificate. Quelle che tutti ci auguriamo che Fabio abbia cementato dentro di sé. E pazienza se ogni tanto esploderà tutta la sua rabbia agonistica, magari condita da qualche atteggiamento eccessivo… Il tennis di Fognini è un concentrato intrigante di adrenalina e seguirlo non è mai un film già visto. Non ci si annoia mai, lontano anni luce dai quei banalotti e robotizzati giocatori sempre uguali a se stessi, che producono match piatti, che scivolano via silenziosi e inosservati. Fognini è energia, è traiettorie improvvise e vincenti. A volte è un terremoto che esplode, o un ottovolante che corre senza freno. L’importante è che qualche sconfitta inattesa non scalfisca le nuove certezze. E che Fabio riesca ad imbrigliare la sua esuberanza nel modo più positivo possibile non disperdendo energie mentali preziose, restando il più possibile focalizzato sui match e sul suo tennis. Perché questo nuovo e vincente Fognini non resti solo uno splendido ed indimenticabile sogno di mezza estate…

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